11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 giugno 2010

901


M
ai, nel corso della propria lunga, intensa esistenza, di quel continuo susseguirsi di avventure attraverso le vie del mare e della terra, paludi maledette e venefiche zone vulcaniche, impervie cime montuose e sterminati deserti privi di vita, Midda Bontor aveva offerto riprova di temere la morte, in un sentimento, in un coraggio, che non avrebbe dovuto essere frainteso come derivante da sprezzo nei confronti di tale conclusivo appuntamento della vita di qualsiasi mortale, quanto, piuttosto, nella quieta consapevolezza di tale ineluttabilità, tale da rendere vano, per quanto umano e naturale, qualsiasi paura, qualsivoglia inquietudine nel confronto con il medesimo.
Accettata, infatti, la certezza rappresentata da tale traguardo, da simile obiettivo, quale sgomento avrebbe mai potuto restare nel rapporto con esso? Qualsiasi ansia innanzi all'idea della propria dipartita non sarebbe, allora, risultata paradossale nel paragone con altri consueti appuntamenti propri di qualsiasi mortale, quali la necessità di riposo, quella di nutrimento o quella di soddisfare la propria sete?
Temere la morte, nella mentalità della donna guerriero, da sempre avrebbe sol significato temere la vita e, in ciò, negarsi di vivere i giorni, numerosi o scarsi, che gli dei avrebbero concesso di godere su questa terra. Ed ella non aveva mai desiderato privarsi di un solo, effimero istante della propria esistenza, nella brama di trarre, addirittura, il massimo da essa, da ogni proprio singolo gesto, da ogni parola pronunciata e da ogni pensiero formulato.

« Ti dispiacerebbe riservarci quel minimo, formale rispetto tale da condividere con noi questo tuo assurdo pensiero?! » insistette Be'Tehel, in reazione al riflessivo silenzio nel quale ella si era chiusa, a cercare quieto confronto con i propri pensieri, i propri desideri, sino a quel momento della necessaria nitidezza che, altresì, era stata anticipata dal suo compagno.

Sol qual precisa, esatta, nonostante tutto, avrebbe dovuto essere pertanto giudicata l'analisi di Be'Tehel nel merito di quei pensieri in lei non ancora pienamente maturati, non ancora completamente delineati, e pur, ormai, inevitabili, quanto lo stesso battito del suo cuore, il medesimo respiro del suo petto. Se pur correttamente avrebbe dovuto essere giudicata follia suicida qualsiasi ipotesi rivolta a condurre quel migliaio di anime, fra uomini e donne, che a lei offrivano quotidiano riferimento, in una guerra aperta contro il faraone, contro gli eserciti di quel dio in terra con i quali non avrebbero mai potuto competere neppur in una misura di dieci volte quella attuale, destinandoli semplicemente, banalmente tutti al massacro, tutt'altro che parimenti avrebbe potuto essere analizzata, almeno innanzi al di lei sguardo, l'eventualità di un'azione individuale, di una missione in solitario, per raggiungere il medesimo obiettivo. In un mondo, in una realtà nella quale nessuno avrebbe osato supporre di poter affrontare il potere di un dio, qual pur era infatti giudicato il sovrano, se non affiancato da un esercito tanto numeroso da giungere sino a coprire orizzonte, mai avrebbe potuto essere concepita l'ipotesi di doversi proteggere da un singolo uomo o, ancor meno, una singola donna che, in conseguenza di ciò, avrebbe potuto anche riservarsi maggiori occasioni di successo rispetto a un più numeroso contingente.

« Quindi si torna ad Amoth-Rahes? » sorrise il figlio del deserto, accogliendo tale idea, non ancora esplicitata e pur assolutamente esplicita, dimostrando maggiore pragmatismo rispetto al compagno, privo di concreto entusiasmo e, pur, anche privo di effettivo rifiuto nel confronto con una simile prospettiva, tale da concedere loro un ritorno all'azione, alla ventura da troppo tempo esclusa dalle proprie vite.

Nel mentre in cui Be'Tehel, in quegli ultimi mesi, aveva trovato la propria serenità nell'insperata unione con la propria compagna e comandante, Ma'Sheer non si era certamente fatto mancare occasione di diletto personale, alternandosi golosamente fra almeno tre diverse amanti: a differenza del fratello d'arme, tuttavia, il carattere del mercenario dalla pelle color d'ebano avrebbe potuto essere considerato estremamente prossimo a quello della stessa Figlia di Marr'Mahew e, in ciò, non tre, ma neppure trenta appassionate complici d'amore, avrebbero potuto soddisfare l'inquietudine propria del suo animo, la stessa che, dopotutto, gli aveva negato la possibilità di condurre una quieta vita in Shar'Tiagh al pari dei propri familiari, votandosi, altresì, alla professione di mercenario. Per tale ragione, egli, pur non rinnegando stolidamente il concreto pericolo che una simile, balorda idea avrebbe imposto su di loro, non avrebbe potuto neppure ignorare una sincera, onesta bramosia nel merito di quell'occasione di nuova sfida, di nuova competizione, nell'aver ormai ampiamente superato ogni iniziale senso di smarrimento, ogni timore derivante dal confronto con quell'epoca passata, del quale, comunque, era rimasto vittima al loro arrivo in quel tempo per loro estraneo.

« Mio malgrado non riesco a cogliere alcuna ragione di entusiasmo a tal riguardo… » espresse il mercenario shar'tiagho in risposta al breve intervento del compagno, pur chiaramente volto ad avallare quella proposta ancora inespressa « Non desidero usurpare il polemico ruolo da sempre proprio di Ma'Sheer, ma credo sia necessario ricordare a tutti i presenti quanto si è conclusa negativamente la nostra precedente visita alla capitale? O forse credete che, dopo nove mesi, il faraone abbia rinunciato all'idea di condannarci a morte? »

Ad anticipare, allora, una qualsiasi eventuale replica dell'altra figura maschile presente all'interno di quella tenda, a presenziare a quell'incontro che, improvvisamente, aveva assunto i toni di un consiglio di guerra, fu tuttavia la voce della donna guerriero, la quale, tornando finalmente a proporsi all'interno di un discorso che in lei aveva avuto origine, volle definire una propria personale posizione evidentemente fraintesa da parte degli interlocutori, come chiaramente stava emergendo da quell'ultimo sviluppo dell'argomento in oggetto di quella loro discussione.

« In verità, la vostra partecipazione a questa impresa non è prevista… » dichiarò, con tono pacato, non necessitando di alcuna particolare enfasi per riuscire a catturare l'attenzione dei propri compagni o imporsi sulle loro personali posizioni, per quanto apertamente in contrasto alla sua, come in quello stesso momento.
« Cosa vorresti dire?! » reagì immediatamente Be'Tehel, rifiutando con forza, con fermezza, qualsiasi ipotesi quale quella da lei così suggerita, qual pessimo sviluppo di una già sgradita proposta.
« Se credi di poter andare a divertirti senza di me ti sbagli di grosso. » negò anche Ma'Sheer, incrociando le braccia al petto in segno di risoluto contrasto a qualsiasi eventuale proseguo senza la propria presenza, confermandosi qual non meno desideroso rispetto a lei di potersi impegnare nella missione che, tanto rapidamente, stava allora prendendo forma, nonostante la particolare genesi della medesima « O, dopo tutte le belle parole che hai speso per continuare a ricordarci il nostro essere ancora impegnati in missione per conto di lord Be'Gahee, come sei solita chiamarlo, vorresti ora rinnegare l'esistenza di un comune vincolante impegno in tal senso? »
« Ehy… ehy… ehy! » esclamò il mercenaro shar'tiagho, non apprezzando l'esclusione dal giuoco a cui, nelle parole del compagno, sembrava essere stato destinato « Non vorrei apparire pedante, nel ricordare come sono stato io il primo a gettarsi dietro di te in quella fossa colma di scorpioni giganti! Se c'è qualcuno che qui ha diritto a prendere parte a questa pazzia, quello sono proprio io… per la furia di Se'Hekm-Et! » imprecò, sinceramente irritato dal comportamento tenuto dal proprio pari in quel momento.
« Raffredda i tuoi bollenti spiriti, Be'T… nessuno desidera rubarti la bella se è questo che credi. » ridacchiò il figlio del deserto, divertito dalla gelosia così, forse inconsciamente, dimostrata dall'altro « Consideravo ovvio che dove andasse uno di noi, andassero tutti. Soprattutto se si tratta della nostra amata comandante… » specificò, non mancando di tentare di stuzzicarlo nel porre un evidente accento sul particolare aggettivo scelto per indicare la mercenaria dagli occhi color ghiaccio.
« Calmatevi entrambi, piuttosto. » riprese voce Midda, con intonazione immutata rispetto a prima, per quanto, forse, concedendosi una nota di maggiore severità verso i propri interlocutori, raramente considerati quali subalterni in quelle ultime tre stagioni ma, ora, necessariamente da tornare a trattare qual tali « Temo che abbiate equivocato la mia disponibilità al dialogo, la mia apertura verso di voi: nei termini del nostro contratto non esiste alcun concetto di democrazia… io comando, voi eseguite. » si impose come mai, prima di allora, si era riservata la possibilità di fare nei riguardi di quella coppia « E se io decido che la vostra partecipazione a questa impresa non è prevista, potete esser certi che non verrete con me! »

martedì 29 giugno 2010

900


S
e tre mesi erano stati sufficienti per trasformare una landa di pianura sino ad allora disabitata in una cittadella fortificata colma di fervente attività umana, il doppio di tale tempo, sei mesi, non si dimostrò altrettanto adeguato per trasformare la popolazione di disperati della medesima in un esercito degno di tale nome. E, sebbene la Figlia di Marr'Mahew, tutt'altro che ingenua, tutt'altro che sciocca, non avrebbe mai preteso di formare in sì breve tempo un'invincibile armata a partire da semplici ex-contadini, ex-allevatori, ex-artigiani, ex-servitori, l'assenza del raggiungimento di un concreto risultato dopo oltre tre stagioni dall'inizio di quella vicenda, dalla loro fuga dalle carceri della capitale Amoth-Rahes, non avrebbe potuto che far gravare su di lei l'ombra di un ben misero fallimento.

« Ancora poche settimane e sarà trascorso un intero anno dal nostro arrivo in questo tempo… in quest'epoca perduta. » ricordò Midda, prendendo voce in direzione dei propri due compagni, di coloro che, all'inizio di tutta quella vicenda, erano suoi semplici, e indesiderati, subalterni, e che, ormai, dopo tanto tempo trascorso insieme, un concreto primato per lei, avrebbero potuto essere considerati al pari di una vera e propria famiglia « E dove anche, generalmente, mi considero una donna sufficientemente paziente, il pensiero di non essere ancora riuscita a portare a termine l'incarico per il quale siamo giunti sino a qui non può evitare di lasciarmi turbata, inquieta… »

A sei mesi dalla sua riconquistata libertà di movimento, i traumi conseguenti alla duplice frattura da lei riportata avrebbero dovuto essere considerati un lontano ricordo, una memoria sì spiacevole e pur relegata a un passato lontano. In quelle ultime due stagioni, ella aveva completamente recuperato la propria abituale forma fisica, la propria consueta prestanza, ritrovando fortunata e gradita conferma di quanto le sue gambe avessero recuperato la propria perfetta mobilità, avessero riconquistato il proprio naturale vigore, la propria necessaria agilità, permettendole di riprendere il ruolo di incredibile donna guerriero al quale mai avrebbe desiderato rinunciare nonostante il trascorrere del tempo, il passare degli anni. E proprio l'irrefrenabile corso delle stagioni, nonostante tutto, non sembrava essere ancora in grado di vincerla, di negarle di poter ancora essere superiore a qualsiasi avversario, in velocità, in forza, in destrezza, nonostante per lei la giovinezza si stesse proponendo sempre più quale un'epoca passata, nel vedere i suoi tre già stupefacenti decenni di vita approssimarsi in maniera estremamente pericolosa all'incredibile traguardo rappresentato dai quarant'anni.

« E…? » domandò Ma'Sheer, invitando in ciò il suo comandante a esprimere l'effettiva ragione alla base della riunione così da lei richiesta nell'intimità della propria tenda, ancora rimasta, nonostante ogni proposta in senso contrario, unica dimora entro la quale ella avrebbe accettato di vivere.

Probabilmente proprio nel confronto con il pensiero dell'irrecuperabile perdita di tempo, di mesi, e presto anni, che tutto quello stava rappresentando, sarebbe potuto essere individuato quale movente principale di quella sua confessata inquietudine, di quella sua concreta insoddisfazione, espressione non tanto del sentito insuccesso nel recupero degli scettri del faraone, o, parallelamente, nel rovesciamento del potere del medesimo, quanto, piuttosto, della consapevolezza su di lei imposta in maniera sempre più prepotente del vanificarsi delle possibilità di ritornare, un giorno, al proprio tempo, alla propria naturale realtà, e, con essa, alla vita che là aveva abbandonato. Impossibile sarebbe allora stato non ammettere come ella, in passato, mai avesse affrontato una situazione simile, mai avesse combattuto contro un potere sì vasto, sì prevaricatore, espressione non tanto di un nemico perfettamente delineato, di un avversario chiaramente presentatosi innanzi a lei, quanto, piuttosto, di un'oscura e sconosciuta ombra proiettata sul suo fato, non diversamente dall'intervento di un dio maledetto che in contrasto a ogni sua libertà, a ogni suo desiderio di autodeterminazione, aveva deciso di dimostrarle i limiti insuperabili della propria stessa umanità.

« E sinceramente non so per quanto sarò in grado di far finta di nulla, di concedermi quieta e tranquilla in attesa di quel giorno lontano nel quale riusciremo a spingere la maggior parte della popolazione a rinnegare il proprio falso dio in nome della propria libertà… » sospirò ella, serrando le labbra e storcendo la bocca verso il basso, in uno sfogo che sarebbe potuto essere considerato quasi infantile, privo di qualsivoglia effettiva possibilità di rivalsa, e pur innegabilmente necessario in quello stesso momento « … inizio a essere davvero stanca di questa vita: la tranquillità non fa per me, e, per quanto ribelli, per quanto rivoluzionari possiamo considerarci, la nostra quotidianità, negli ultimi nove mesi, è stata scandita da ritmi troppo lenti, propri non di una guerra, quanto, piuttosto, di una riconquistata pace. »

Difficile sarebbe stato per la mercenaria definire con precisione i propri sentimenti nel confronto con quello sgarro impostole da un ancora sconosciuto avversario, le proprie concrete emozioni nel merito di quanto aveva perduto. Una parte della sua mente, probabilmente folle, forse impazzita in conseguenza di quegli eventi, per quanto da lei tale mancanza di sanità non fosse ancora stata riconosciuta, raramente smetteva di torturarla, di straziarla, evocando innanzi ai suoi occhi color ghiaccio immagini di una vita mai vissuta, nel corso della quale, similmente a ora, ella era stata catapultata fuori dal tempo e dallo spazio, senza neppure poter godere di qualsivoglia compagnia, di alcuna ulteriore avventura, sino a un lento smarrimento nell'oblio. Concentrandosi, combattendo contro simili miraggi, tali incubi, ella era sempre in grado di riconquistare la propria salute mentale nel rimembrare come una tanto violenta condanna le fosse stata imposta in conseguenza di un'onirica esperienza derivante dal contatto con il sangue della chimera, potente e pericoloso talismano da lei adoperato tempo prima per il compimento di una propria missione, nel recupero della corona perduta di una tirannica regina appartenuta a un passato ormai dimenticato: ciò nonostante, al di là di quanto cosciente ella potesse essere in grado di concedersi nel confronto con tali falsi ricordi, il sentimento di smarrimento proprio di simili pensieri non avrebbe potuto evitare di continuare a torturarla, facendole temere il presente passato nel quale le era così stato imposto di vivere.

« Vorresti forse disinteressarti dello stato dei nostri uomini, di coloro al nostro comando, che a noi hanno affidato il loro futuro e le loro vite, e dichiarare improvvisamente guerra al faraone, in una battaglia che mai saremo in grado di vincere? » intervenne Be'Tehel, non potendo evitare di rifiutare, intimamente, la posizione da lei espressa nel merito dell'impossibilità a tollerare ulteriormente la loro attuale condizione, là dove, fosse dipeso da lui, mai avrebbe interrotto la meravigliosa vita accanto a lei, così donatagli dal fato.

In non rari momenti di disperazione, quando il timore che quell'incubo lontano potesse alfine prendere il sopravvento, scaraventandola realmente lontano da tutto e da tutti, la presenza dello shar'tiagho si era fortunatamente dimostrata comunque in grado di donare alla mercenaria la quiete perduta, restituendole un contatto con una realtà nella quale non sarebbe comunque mai rimasta sola, non avrebbe mai vissuto unicamente nei ricordi di un passato privo di speranze di ritorno. La loro storia, la loro relazione, se analizzata dal personale punto di vista di Midda, sarebbe potuta essere sicuramente letta con occhio critico, tale da rimproverarla di star abusando del sentimento riconosciutole da quell'uomo, di almeno una decina d'anni più giovane di lei, qual surrogato per tutti gli amori perduti, per tutti gli amanti abbandonati nel proprio passato futuro, primo fra tutti i quali, indubbiamente, sarebbe dovuto essere citato Be'Sihl, il compagno con il quale ella era giunta entro i confini shar'tiaghi e dal quale, tuttavia, si era subito allontanata.
In verità, simile egoismo, non era mai stato celato a colui divenuto proprio attuale compagno di letto, oltre che d'armi, in un confronto che, forse, sarebbe potuto essere giudicato privo di romanticismo, ma che, sicuramente, sarebbe stato anche considerato estremamente onesto, a definizione di un rapporto maturo fra due adulti consenzienti. Dopotutto, anch'egli bramoso di potersi ritagliare un ruolo nella vita di quella donna, non aveva mancato di confessare di aver forse approfittato di un momento di debolezza in lei per riuscire a farsi accettare in un ruolo nel quale, in diverse situazioni, in contesti estranei a quell'isolamento temporale da loro così vissuto, non sarebbe probabilmente mai stato accolto: improbabile, in tutto questo, sarebbe pertanto stato indicare il loro quale un rapporto d'amore, per quanto, probabilmente, la complicità, l'affetto, la passione che erano stati in grado di conquistare reciprocamente, di ritrovare l'uno nell'altra, non avrebbe potuto lasciare dubbio alcuno in eventuali osservatori esterni, primo fra tutti, naturalmente e obbligatoriamente, lo stesso Ma'Sheer, terzo protagonista di quel loro comune esilio.

« Non metterei mai in pericolo la vita di nessuno in un'impresa priva di possibilità di ritorno. Dovresti saperlo bene… » rimproverò, con tono enfaticamente offeso, in direzione del proprio amante, non potendo accettare di essere accomunata a un tale pensiero, a una simile ipotesi esterna alla propria stessa natura « Mai accetterei di guidare un attacco prematuro, un'offensiva destinata a tramutarsi in una semplice mattanza. »

Non parole retoriche, prive di concreto valore, avrebbero dovuto essere soppesate quelle da lei allora pronunciate, quanto, piuttosto, trasparenti dell'essenza stessa del suo animo, del suo cuore, che in molti avrebbero potuto ritenere incapace di pietà verso i propri avversari, ma che, se pur forse tale, indubbiamente sarebbe dovuto essere considerato incapace di viltà verso i propri alleati, verso coloro accolti sotto la propria ampia ala protettiva, che mai avrebbe abbandonato, e ancor meno indirizzato, verso un triste destino di morte, neppure se, a compenso dell'assenza di tale scelta, fosse stata la sua stessa vita. E se neppure la stessa Figlia di Marr'Mahew, in quel preciso momento, avrebbe potuto individuare il fine ultimo dei propri intimi desideri, di quell'assurdo richiamo verso la ventura, verso il pericolo dal quale, dopotutto, si era per troppo tempo allontanata, almeno di quell'unica, semplice e pur non scontata, verità non si sarebbe mai potuta dire incerta, là dove, senza alcuna esitazione, avrebbe sacrificato se stessa piuttosto di porre in pericoloso uno solo dei suoi protetti.

« Hai ragione. Non metteresti mai in pericolo la vita di nessuno… » ripeté lo shar'tiagho, con tono improvvisamente divenuto funereo, nell'aver intuito, probabilmente ancor prima di lei, il solo obiettivo verso il quale ella avrebbe presto maturato consapevolezza, offrendo riprova di aver ben appreso le dinamiche proprie della mente della propria compagna, le stesse in conseguenza delle quali, dopotutto, era stato da lei subito conquistato « … ma la tua? »

lunedì 28 giugno 2010

899


« I
o… » prese voce la Figlia di Marr'Mahew, per tentare di offrire, alfine, risposta al proprio compagno, involontariamente interrompendo, in ciò, il canto in corso e riportando, senza desiderio di prepotenza, senza volontà di prevaricazione alcuna, il silenzio all'interno della vasta piazza, in conseguenza della diffusa bramosia, per chiunque, di poterne ascoltare la voce, sentirne le parole « Oh… beh… » esitò in conseguenza di tale improvvisa quiete, forse ritrovandosi a essere, per la prima volta nella propria esistenza, in sincero imbarazzo nel confronto con il pubblico, posta dopotutto in una situazione decisamente insolita per una come lei « Thyres… »
Intuendo in lei, invero senza eccessivo sforzo, l'evidente imbarazzo, Ma'Sheer tentò allora di spezzare la palpabile tensione derivante da quel momento, spintonando il proprio fratello d'arme, posto sul fronte a lui antitetico rispetto alla mercenaria, e rivolgendosi nella sua direzione con fare volutamente, e falsamente, polemico: « Cosa ti avevo detto?! Quelle dannate torri non dovevano essere esagonali ma quadrate! Ma tu mai a darmi retta, presuntuoso che non sei altro… »
E Be'Tehel, cogliendo l'intento del compare, sorresse il giuoco così proposto, per quanto dubbioso sull'utilità del medesimo: « Veramente sei stato tu a insistere a fare tutto esagonale, mentre io avrei preferito delle forme più semplici. Non tentare di scaricare la colpa di tutto questo su di me, se ci tieni a conservare quella dannata cresta! » replicò, spintonandolo a propria volta.
« Come hai definito la mia acconciatura, arrogante d'uno shar'tiagho?! » reagì il figlio del deserto, ora premendosi, appena, contro la donna guerriero, quasi fosse da lei frenato nella volontà di impedire il loro scontro « Ringrazia tutti i tuoi dei che Midda mi sta trattenendo, o altrimenti… »
« O altrimenti cosa, sottospecie di galletto?! » replicò l'altro, ora trattenendosi a stento da scoppiare a ridere e non mancando di stringersi, a propria volta, contro la compagna sul fronte a lei opposto « Sei tu che dovresti ringraziare gli dei, ove ella sta arrestando i miei passi e non i tuoi! »
« D'accordo! D'accordo! » esplose, alfine, la donna guerriero, tendendo di colpo le proprie braccia e proiettando, in ciò, l'uno lontano dall'altro, alla propria destra e alla propria sinistra, in un gesto che non mancò di generare sincera ilarità nel pubblico, fra i loro spettatori che avevano assistito con animo incerto a quel confronto, non cogliendone il tono volutamente e grottescamente enfatizzato che ne avrebbe dovuto evidenziare la totale infondatezza « Avrei compreso il concetto anche senza che vi foste strusciati in tal mondo contro di me, lussuriosi maniaci che non siete altro… » lì rimproverò, sorridendo, tuttavia, in tali parole, per non permettere alcun equivoco attorno ai propri toni.

Innegabile guadagno per entrambi i protagonisti di quell'intermezzo comico, infatti, fu quello derivante dal ricercato contatto fisico con la Figlia di Marr'Mahew: un'occasione loro generosamente perdonata, che non avrebbe dovuto essere tuttavia considerata sì ovvia, sì naturale, qual forse l'abbondanza delle forme della medesima avrebbe potuto spingere erroneamente a pensare degli animi eccessivamente maschilisti, là dove a chiunque altro e in qualunque altra situazione, probabilmente, sarebbe stato spezzato almeno un braccio a giusto compenso per tanta arroganza.

« Beh… però ne è valsa la pena… » commentò Ma'Sheer, ridacchiando verso di lei per nulla pentito della malcelata malizia contenuta nel proprio gesto.
« Vorrei ben sperarlo. » aggrottò ella la fronte, socchiudendo gli occhi color ghiaccio con fare sornione « Non si trova dovunque una come me. »

In contrasto a qualsiasi ballata, a qualsivoglia epica che avrebbe potuto segnare quel momento, quell'importante appuntamento, non un formale discorso, non un'orazione degna del ruolo d'alcalde da lei così occupato, fu quella che caratterizzò quella giornata, quella prima occasione d'incontro fra la donna guerriero e la popolazione della città a cui ella aveva offerto vita, quanto, piuttosto, un confronto scherzoso fra lei e i propri compagni, definendoli, in ciò, non quali i superbi, stolidi comandanti che avrebbero pur potuto rivelarsi alfine essere, ma semplicemente e meravigliosamente confermando a chiunque lì presente l'impressione già loro offerta, già loro concessa in quelle ultime settimane, nei mesi in cui, se pur indirettamente, avevano avuto a che fare con quella straniera dalla pelle color avorio, dai capelli corvini e dagli occhi di ghiaccio. Un sentimento di familiarità, di cameratismo, quello che, non con altisonanti parole, non con complessi discorsi, ella fu in grado di ispirare in coloro già pronti a seguirla nel difficile cammino verso la libertà di un intero popolo dall'oppressione del proprio governo, che seppe tramutare più di duecento anime, dai differenti passati, dalle più variegate esperienze di vita, in una compagine coesa, compatta, più di qualsiasi cittadinanza e, forse, ancor più di qualsiasi esercito, per quanto, ancora estremamente lontani sarebbero potuti essere considerati dal divenire effettivamente tale. Un sentimento, in ciò, estremamente importante, se non addirittura fondamentale, in assenza del quale qualsiasi iniziativa, qualsiasi impegno, pur rivolto all'ideale più alto, più assoluto, qual sarebbe potuta essere considerata la stessa autodeterminazione, sarebbe stata inevitabilmente volta alla sconfitta, alla disfatta, ma che, allora, grazie a simile ispirazione, avrebbe altresì potuto effettivamente guidare quegli uomini e quelle donne, e tutti coloro che ancora avrebbero aderito in futuro, a diventare una reale minaccia per il dominio del faraone, del proclamatosi dio in terra del regno di Shar'Tiagh, del popolo eletto. Perché qualsiasi dio, reale o fittizio esso sarebbe potuto essere considerato, mai avrebbe potuto sopravvivere ai propri fedeli, mai avrebbe potuto esistere al di fuori della fiducia riconosciutagli, e, con tale assoluta regola, legge inviolabile al pari dell'alternanza fra il giorno e la notte, del susseguirsi della vita con la morte, anche Amothis VI si sarebbe presto ritrovato a duro confronto.
E più di chiunque altro presente in quel giorno, incantato, ammaliato da Midda e da tutte le emozioni da lei derivanti, sarebbe comunque dovuto essere considerato Be'Tehel, a lei sì prossimo, a lei rimasto sempre vicino in quel lungo periodo di convalescenza, e pur, nel proprio cuore, nel proprio animo, sempre sofferente per eccessiva lontananza, per una distanza esistente fra loro che avrebbe volentieri voluto colmare. Quanto, infatti, inizialmente per lui vissuta qual semplice infatuazione verso un'immagine pur carismatica, pur esemplificativa dell'emancipazione femminile ricercata negli uomini del suo popolo nelle proprie donne, egli era consapevole si stesse trasformando, ora dopo ora, giorno dopo giorno, in una passione sempre più forte, in un sentimento forse folle, forse privo di speranza, ma che, ormai era certo, qualsiasi fosse potuto essere il loro futuro, qualsiasi fosse potuto definirsi il loro destino, mai lo avrebbe abbandonato, mai avrebbe smesso di animare il suo cuore, lasciandolo trepidare per lei, per un suo semplice sguardo, per una sua pur scherzosa parola, qual quelle lì loro rivolte in quel giorno che, anche e soprattutto per lui, sarebbe solo potuto essere di incredibile festa, di illimitata gioia, per il ritorno alla vita di quella compagna meravigliosa.

« Per Ha'Tho-Er… » sussurrò egli, in un alito inudibile, in un sospiro incomprensibile, che pur spontaneo, naturale e irrefrenabile non poté evitare di sorgere dal profondo del suo animo e del suo cuore « … io credo di amarti, Midda Bontor… forse dal giorno stesso in cui, per inseguirti, mi sono gettato fra quegli scorpioni giganti. E, ora come allora, sono pronto a tutto per te… » esplicitò, quasi soffocato dalle proprie stesse emozioni.

Un'ammissione, una confessione onesta, sincera, che pur, inevitabilmente e volutamente, non riuscì a raggiungere né l'attenzione della destinataria di tali parole, né chiunque altro, nel disordine, nella confusione che non avrebbe potuto evitare di caratterizzare quel momento di generalizzato giubilo.

« Be'Tehel? » domandò la mercenaria, volgendosi a lui nell'intuirne comunque il movimento labiale « Hai forse detto qualcosa? » lo invitò a ripetersi, realmente ignorando quanto a lei allora rivolto.
« No… nulla di importante… » mentì il mercenario shar'tiagho, scuotendo la testa e concedendole un tranquillo sorriso a minimizzare la questione « Semplicemente stavo ringraziando gli dei tutti per l'incredibile dono a noi riconosciuto in questa importante giornata. »

domenica 27 giugno 2010

898


T
ale sviluppo, perfettamente percettibile all'attenzione di chi si ritrovò a viverlo, vide allora il sorgere di molte nuovi edifici in legno, tali da modificare radicalmente l'aspetto stesso di quell'angolo di mondo, nonché la precisazione di chiare strutture sociali, prima di allora volutamente ignorate in quanto non ancora similmente necessarie per il coordinamento dell'attività umana lì presente. Fu così che, nel mentre in cui la popolazione locale venne accuratamente divisa in precisi ruoli, compiti, professioni che non avrebbero dovuto più essere svolte nella prospettiva di un possibile guadagno economico, di un immediato tornaconto personale, quanto, piuttosto al solo fine di contribuire alla lotta comune, accanto a tre nuovi dormitori, del tutto identici al primo creato, furono anche eretti i primi due edifici in pietra di quel villaggio, da molti ormai considerato quale la sola casa a cui avrebbero mai potuto offrire riferimento.
Il primo fra essi, posto nelle immediate vicinanze dell'ormai obbligatoriamente allargato magazzino, fu concepito quale un'architettura semplice, incomparabile alla maestosità consueta delle terre shar'tiaghe e, probabilmente, più prossimo alla rozza, e pur pratica, architettura propria della maggior parte degli edifici kofreyoti, nel lontano futuro da cui Midda era giunta. Tale costruzione, invero, non fu comunque elevata per semplice diletto, per vano compiacimento di coloro che in essa posero i propri sforzi, quanto, piuttosto, all'importante scopo di ospitare, al proprio interno, la prima fucina della resistenza: mai dimentica, dopotutto, dello scopo della propria missione, dei termini dell'incarico accettato da Amie, non rivolti a dar vita a una semplice colonia shar'tiagha su quel confine dimenticato, quanto, piuttosto a formare l'esercito di liberazione in contrasto al blasfemo potere del faraone, la donna guerriero non avrebbe potuto rimandare ulteriormente la fondazione di quell'armeria, grazie alla quale i fabbri già arruolati avrebbero potuto sin da subito porsi all'opera, nell'importante compito di plasmare armi per la loro causa, per la loro rivoluzione.
Il secondo, sorto alle spalle della statua della dea Ba’Seht-Et, fu altresì proposto nel rispetto dei canoni propri di quella cultura, di quella gente, sebbene, necessariamente privato dell'oro che pur, altresì, avrebbe probabilmente abbondato in una corrispettiva presenza all'interno di una delle grandi città del regno, tanto in quel lontano, e dimenticato, passato, quanto nel più ancor lontano, e sospirato, futuro. Tale architettura, al pari della fucina, non fu elevata per una volontà meramente retorica, quanto, piuttosto, in un desiderio del tutto equivalente a quello che stava caratterizzando la fondazione della stessa armeria, sebbene rivolgendosi non tanto a un piano strettamente materiale, quanto, piuttosto, a un livello spirituale dell'esistenza: così, dopo lunghi secoli di interdizione per qualsiasi luogo di culto esterno alla fede nel faraone, fu edificato il primo tempio dedicato a un antico dio. E proprio la scelta nel merito all'identità della particolare divinità alla quale votare tale delubro, non fu, per la Figlia di Marr'Mahew, sì ovvia qual pur, successivamente, sembrò essere, nell'individuazione del nome della dea Se'Hekm-Et, signora della guerra.

Divinità prive d'ogni ragione,
dal fuoco e dalla terra create,
di tremendo scempio furon cagione
quali tante furie incontrollate:
tale fu la prima generazione,
in epoche presto dimenticate.

Tre mesi, alfine, erano quindi trascorsi. Tre lunghi mesi nel corso dei quali, con infinita pazienza, la donna guerriero, responsabile di tutto quello, aveva atteso nella propria tenda la guarigione dei propri arti fratturati, consapevole di quanto qualsiasi prematuro movimento sarebbe potuto rivelarsi un terribile azzardo, destinato ad allungare i suoi tempi di recupero, se non, peggio, di complicare una coppia di fratture fortunatamente non troppo gravi, non destinate a menomarla a vita. Tre rapidissimi mesi nel corso dei quali, con il fervente lavoro di tutti coloro lì sopraggiunti, e il puntuale controllo dei due mercenari sempre presenti in prima fila a risolvere qualsiasi questione, l'insediamento era divenuto villaggio e il villaggio era divenuto cittadella.
Quella così presentata innanzi agli occhi di Midda, in quel per lei già speciale giorno, appuntamento di personale rinascita nella riconquista della propria indipendenza, della propria libertà ad attraversare il mondo tanto messa in dubbio dalla violenza dei colpi subiti, non fu l'immagine di un gruppo di profughi disorganizzati, un campo nomade privo di qualsiasi regola o ordine, quanto piuttosto un borgo fortificato.
Protetta da una prima cinta su pianta esagonale, attualmente in legno ma che, ben presto, sarebbe divenuta muratura, l'intera area da loro occupata, quel piccolo pezzo di terra clandestinamente strappato all'influenza del potere sovrano, si poneva, ormai e infatti, custodito da sei alti torrioni posizionati ai sei vertici così formati. Ognuna di tali torri di sorveglianza, secondo sue esplicite volontà a simile proposito, era stato allora dedicata a un diverso dio o dea dell'amplio pantheon shar'tiagho, nella ferma e inalterata volontà di fondere i principi del culto di quel popolo, da lei non osservato e pur prudentemente rispettato, anche, solo, in coerenza con il proprio attuale incarico, nonché con il proprio personalissimo debito con il dio Ah'Pho-Is per il favore riconosciutole, con ogni aspetto della quotidianità, primo fra tutti il compito di vigilanza su quella piccola città e su tutti i suoi abitanti.
Al centro esatto dell'esagono delineato dalle mura, era il piazzale principale, quello ove ella stessa si stava ora mostrando a tutti e dove tutti si erano spontaneamente riuniti nella sola volontà, nell'unico desiderio di poter finalmente incontrare colei nel cui nome, nella cui ispirazione, si erano riusciti a estraniare all'oppressiva dominazione da sempre imposta su tutti loro, e prima di loro sui loro genitori, sui loro nonni e sui genitori dei loro nonni, per così tante generazioni da aver, sostanzialmente, perduto concreta memoria sull'epoca della loro effettiva libertà. Tale piazza, concepita nella propria estensione non solo al fine di garantire loro occasione di raduno, quanto, piuttosto, di esercitazione, si poneva unicamente adornata, nel proprio centro, dalla sola tenda rimasta eretta all'interno di quei confini, dimora in cui, in quei giorni, in quelle settimane, in quei mesi, aveva soggiornato la mercenaria e dalla quale, in verità, era decisa a non traslocare neppur ora che il riposo forzato che ne aveva caratterizzato quell'ultima stagione avrebbe dovuto intendersi qual concluso. Non bramosa, infatti, di potere alcuno, nonostante il proprio indubbio ruolo di condottiere, di comandante, e, invero, anche di alcalde per quella gente, per oltre duecento anime destinate ancora a crescere, a veder incrementate le proprie fila, ella non si sarebbe potuta riservare volontà di sorta nel merito di una dimora diversa dall'umiltà, dalla povertà propria di quella stoffa ingiallita, che pur aveva sinceramente imparato a detestare con tutte le proprie energie in quel periodo di arresto obbligato. Chiunque altro al suo posto, probabilmente anche i suoi stessi compagni mercenari in quell'avventura, i quali effettivamente non ne avevano immediatamente condiviso la decisione, avrebbe non solo rifiutato di permanere ancora in una tale dimora, ma quantomeno preteso di poter essere trasferiti all'interno di stanze adatte a definirne l'importante ruolo, non da ultimo fra i servitori, ma da primo fra i sovrani: in ciò, tuttavia, la dona guerriero non si sarebbe riuscita a considerare poi migliore del monarca contro il quale, per quanto priva di particolare idealismo alla base di tale decisione, aveva accettato di combattere, proponendosi, se pur con vesti diverse, del tutto equivalente a lui.
Superato l'immediato e iniziale confronto con la piazza e i suoi occupanti, lo sguardo della mercenaria, ormai solo apparentemente glaciale, nell'essere altresì animato da sincera commozione, aveva immediatamente ritrovato contatto con tutti gli edifici eretti secondo le sue disposizioni, negli esatti punti in cui ella aveva indicato, nonostante fosse isolata da mondo intero al momento della loro edificazione: il magazzino, ormai a sua volta eretto in muratura; il tempio, con numerose statue rappresentative di variegati dei e dee attorno alla propria intera estensione; l'armeria, recentemente estesa con la creazione di una seconda fucina ad affiancare la prima oberata di lavoro; i cinque dormitori in legno e, ultimo in ordine cronologico, ma, per questo, non meno importante, l'inizio della fondazione di una nuova architettura, destinata a ospitare, al proprio interno, un vasto complesso di stalle equine. Inoltre, se solo le barriere erette ai confini cittadini non le avessero ostacolato lo sguardo, ella era perfettamente conscia che avrebbe potuto osservare, appena oltre il termine del borgo cittadino, i recinti popolati di capi d'ogni genere di capo d'allevamento e, ancora, i campi coltivati, nei quali, ormai, non solo verdure di rapida produzione si sarebbero a lei offerte, ma anche, probabilmente, i primi germogli di grano, grazie ai quali, entro il termine dell'estate, avrebbero potuto procedere alla prima mietitura e alla produzione autonoma del pane.

sabato 26 giugno 2010

897


Q
uasi a voler rispondere in sua vece, sopperendo al silenzio, alla laconicità in cui, in quel momento, la donna guerriero si era pur ritrovata a essere costretta, qual per lei incredibile conseguenza alla sincera emozione derivante da quel confronto, tutti gli shar'tiaghi lì radunati innanzi a lei, nella piazza principale di recente costruzione, presero allora voce, forse in un atto premeditato, forse in una reazione spontanea, impossibile a definirsi, intonando un antico canto, memoria di un'epoca lontana quand'ancora i nomi degli dei era loro concesso di pronunciare. Non una ballata qualsiasi, tuttavia, non una cronaca come altre, quella che, in breve, coinvolse persino lo stesso Be'Tehel nell'enfasi delle proprie parole, quasi tutte ormai apprezzabili, e apprezzate, anche dalla stessa mercenaria, sempre più confidente, più padrona della lingua locale, per quanto inevitabilmente non del suo corretto accento, quanto, piuttosto, la narrazione dell'origine del mondo per come definita dalla loro cultura, dal loro credo: un evidente omaggio, un chiaro ringraziamento, pertanto, agli dei, oltre che alla loro attuale guida, per ciò che essi avevano permesso loro di realizzare in quella landa prima abbandonata, del tutto disabitata.

Di chiunque sia, figlio o figlia,
non si conceda di dimenticare
come del mondo ogni maraviglia
debba sempre con amor ricercare
la propria sola, unica famiglia,
nel grande cielo e nel vasto mare.

Le risorse materiali che erano state offerte a Midda e ai suoi compagni al momento del loro arrivo in quel luogo, a malapena in grado di sopperire alle esigenze di tre individui, mai avrebbero potuto sostenere i bisogni di altre persone: non una dozzina, non un centinaio, non, certamente, tutte quelle lì presenti in quel momento, di ogni sesso o età.
In ciò, la prima importante, fondamentale e inderogabile necessità nella quale la donna guerriero aveva impiegato le risorse umane a lei giunte insieme alla principessa Amie, in occasione del suo primo ritorno, era stata la realizzazione di quelle infrastrutture fondamentali per il loro stesso mantenimento. Così, nel mentre in cui un primo, profondo pozzo era stato scavato nel fertile suolo shar'tiagho, alla ricerca di una falda acquifera dalla quale poter trarre quotidianamente quel bene irrinunciabile, quel tesoro inestimabile, un magazzino era stato eretto secondo precise disposizioni della stessa mercenaria, tale da poter mantenere al proprio interno le riserve di cibo e di legname che i cacciatori e i boscaioli avrebbero successivamente dovuto preoccuparsi di mantenere costantemente rifornito.
Acqua, alimenti e legna, destinata a eventuali costruzioni o, più semplicemente, a divenire combustibile per alimentare i loro fuochi, erano stati infatti da lei individuati quali i bisogni primari del loro accampamento, più importanti, persino, della realizzazione di qualsivoglia tetto sopra le loro teste: se, infatti, per dormire, essi avrebbero potuto tranquillamente continuare ad accontentarsi di qualche coperta sparsa sul morbido terreno erboso, in ciò sicuramente favoriti dalla stagione estiva e dal suo clima mite, accogliente, la possibilità di conservare il cibo, adeguatamente essiccato, lontano da possibili predatori, o di accumulare una risorsa estremamente versatile qual la legna, non sarebbe potuta essere giudicata qual confutabile.

Ur e Ut erano, in origine,
di tutto padroni e possessori,
quando per amor, o per prurigine,
della terra e del fuoco i cuori
essi divennero scaturigine,
e, del Creato, soli genitori.

Solo in occasione della venuta della seconda comitiva di profughi, quasi doppia, in termini strettamente numerici, rispetto alla prima, lì ugualmente condotta dalla figlia del faraone e dai propri fedeli custodi, la donna guerriero aveva ritenuto fattibile, oltre che ormai necessario, preoccuparsi nel merito dell'evoluzione di quel loro insediamento, comprendendo come fosse divenuto indispensabile abbandonare l'iniziale concetto volto alla realizzazione di un semplice campo d'addestramento per un futuro esercito, in favore di un vero e proprio insediamento umano.
In conseguenza a tali bisogni, le brande, precedentemente disposte sopra la terra e sotto il cielo, avevano pertanto rapidamente ceduto posto alla realizzazione di un primo grande dormitorio comune, un edificio del tutto similare al magazzino, destinato a offrire occasione di riparo per tutti gli esuli lì sopraggiunti. Una scelta forse discutibile quella da lei compiuta nel richiedere l'erezione non di piccole abitazioni personali, quanto, piuttosto, di un casermone popolare, che ella giustificò innanzi ai propri compagni, ormai facenti le veci di luogotenenti, come utile alla socializzazione di coloro che lì erano stati condotti per divenire membri attivi di una resistenza organizzata: per quanto potenzialmente completamente estranei, sconosciuti verso i quali non riservare alcun interesse o fiducia per il timore di poter essere traditi dai medesimi, nel ritrovarsi a essere, in tal modo, costretti a non riservarsi alcun segreto, a non concedersi alcuna possibilità di intimità, essi avrebbero dovuto, per desiderio o per forza, sviluppare rapidamente un sentimento di cameratismo, che li avrebbe uniti in maniera naturale ancor più di qualsiasi possibile ideologia loro destinabile.
Contemporaneamente all'edificazione di quella seconda, grande struttura in legno, le direttive da lei fornite spinsero, inoltre, la comunità così in formazione alla faticosa aratura dei primi campi e alla meno impegnativa definizione dei primi recinti, nel desiderio, nella volontà di poter affiancare alla caccia, all'epoca ancora esercizio primario per il loro sostentamento quotidiano, attività agricole e d'allevamento, tali da offrire nei loro piatti anche la presenza di qualche verdura, oltre alla pur sempre gradita selvaggina.
E, ancora, sempre in tal periodo, Midda non rinunciò a domandare all'attenzione un paio di ex-artigiani, scultori precedentemente impiegati nel produrre continue effigie del faraone, di impegnarsi nella costruzione di un piccolo altare in onore della dea Ba’Seht-Et, che, all'interno del pantheon shar'tiagho, sapeva essere protettrice del focolare domestico. In simile decisione, ella si dimostrò allora desiderosa di proporre, nella quotidianità di tutti quei candidati ribelli a lei così condotti, la possibilità della riscoperta di un rapporto con le proprie divinità, in netta negazione a ogni falso e idolatrico culto nei riguardi della figura del faraone, concedendosi perfettamente consapevole di quanto, soprattutto in chi rimasto privo di tutto all'infuori della propria stessa vita, la fede negli dei si sarebbe potuta proporre più coinvolgente, più carismatica, di qualsiasi ipotetica fede negli uomini, offrendo, pertanto, a tutti loro una ragione concreta, ideologica e, addirittura, teologica, per la quale non abbandonare la causa lì abbracciata.

Ru e Tu, in tal modo generati,
si mostrarono perfetti rivali:
anche se entrambi affezionati
fra lor le lotte furon abituali,
e sino a quando non arrestati
la lor guerra non conobbe eguali.

La terza "era" di quel processo di rapida civilizzazione, breve e pur federe riproposizione dello storico, epico cammino di qualsiasi grande civiltà nel corso dei secoli, forse nei millenni, qual, dopotutto, sarebbe potuto essere considerato ciò a cui Amie aveva dato origine, Midda aveva offerto ispirazione e Ma'Sheer e Be'Tehel avevano imposto un coordinamento pratico, aveva allora definito quell'insediamento, inizialmente privo di qualsiasi possibilità identità, quale un concreto villaggio, ritrovandosi a essere composto, ormai, da un centinaio di anime.

venerdì 25 giugno 2010

896


A
ssunta, in tal modo, dalla figlia del faraone con l'esplicito compito, il solo fine, di porre in essere un movimento coeso, coordinato e controllato di resistenza, di rivolta contro il potere sovrano, Midda trascorse il resto della propria convalescenza, il periodo di riposo entro il quale fu pur costretta dalle fratture subite alle proprie tibie, dividendo le proprie giornate fra personali attività fisiche, quale il proprio quotidiano allenamento a cui ella mai avrebbe rinunciato, pur costretta necessariamente a limitarlo alla parte superiore del proprio corpo, e professionali attività intellettuali, quali, invece, quelle necessarie a pianificare le tappe utili a trasformare un insieme eterogeneo di poveri e diseredati provenienti da ogni zona del regno, in un esercito degno di tale nome. La sua mente, ancor prima del suo corpo, fu pertanto coinvolta in simile impegno, nel mentre in cui a Ma’Sheer e a Be’Tehel fu delegato, per ovvie ragioni, il lato pratico della questione, fungendo, sostanzialmente, da suoi esecutori e in questo particolare, ella dovette riconoscerlo, prestandosi con particolare spirito di collaborazione, nell'accettare la sua esperienza, la formazione a lei concessa da una vita intera trascorsa fra campi di battaglia e combattimenti di ogni tipo, e nel non porre in continua discussione, in continuo dubbio, ogni sua scelta.
Tre mesi, quelli che trascorsero prima che la Figlia di Marr'Mahew fosse in grado di tornare a camminare e, in ciò, a mostrarsi al pubblico dei propri seguaci, ai quali non si sarebbe mai potuta rivelare qual ferita, impossibilitata a muoversi in maniera indipendente, nel concedere altrimenti un messaggio decisamente erroneo, negativo per la loro causa, che non furono pertanto sprecati e che non la videro, a dispetto di ogni critica personale da lei formulata in proprio stesso contrasto, qual priva di utilità nello sviluppo degli eventi.

« Thyres… a nessuno viene in mente che se avessi voluto dovermi preoccupare di un certo genere di questioni, avrei fatto l'alcalde e non la mercenaria?! »

Per quanto, al termine di quella vicenda, di quegli eventi effettivamente destinati a definire la Storia non solo di un popolo, di una nazione, quanto, piuttosto, di un intero continente, come solo successivamente anche a lei stessa fu terribilmente chiaro, il solo giudizio che le sarebbe potuto essere rivolto per quanto compiuto, per quanto organizzato, con l'impiego del proprio intelletto, della propria abilità strategica, ancor prima che della propria agilità o della propria forza, sarebbe dovuto esser solo più che positivo, estremamente complesso, almeno in quei primi tre mesi, fu per lei gestire l'incarico accettato, il compito fatto proprio, in una frustrazione, in un intimo scontento, che più volte la spinse a una tale esclamazione qual unica valvola di sfogo consentitale.

« Ti continui a lamentare, ma riesci comunque a risolvere qualsiasi problema ci si presenti innanzi… » aveva più volte evidenziato, sottolineato, Be'Tehel, nell'intervenire in puntuale replica a simili esplosioni emotive da parte della compagna, e immaginando, senza fatica alcuna, come ciò sarebbe dovuto esser considerato non tanto qual effettiva reazione ai problemi loro offerti, quanto, piuttosto, alla stanchezza per lei sempre crescente derivante dal suo stato di immobilità « Puoi insistere quanto desideri, ma non puoi ignorare come tu sia nata non solo per comandare degli eserciti… quanto, piuttosto, per guidare interi popoli.. »

In verità, per quanto esperta avrebbe potuto oggettivamente proporsi in contesti bellici, ciò che ella si ritrovò a dover allora gestire, non sarebbe potuto essere considerato al pari di un esercito neppure con l'impiego della più sfrenata fantasia, ponendola qual punto di riferimento, effettivamente, per un popolo, così raggruppato attorno al suo stesso nome dal continuo proselitismo attuato con impegno innegabile da parte della principessa Amie e dei suoi collaboratori, sparsi in tutto il Paese. Un popolo, quello che avrebbe potuto considerare proprio, che ella non avrebbe potuto semplicemente impegnarsi ad addestrare al combattimento, all'uso delle armi e alle tattiche di guerra e guerriglia, quanto, piuttosto, che avrebbe dovuto impegnarsi a far sopravvivere anche in quella loro condizione di paria, di esuli volontari dalla propria stessa terra nel nome di un sogno, di una speranza di vita migliore al di fuori dell'influenza negativa del faraone.
Impossibilitati a restare a contatto con un qualsiasi segno di civiltà, di vita, là dove troppo facilmente si sarebbero potuti offrire alle guardie, ai soldati pur scatenati sulle loro tracce dall'ira del monarca assoluto, del dio in terra a capo di quel regno, al momento della propria fuga i tre mercenari erano stati condotti, da Amie e da un drappello di suoi fedeli, sino ai limiti meridionali del regno, là dove, nell'assenza di particolari ragioni a simile proposito, mai, prima di loro, si era spinto un qualsiasi interesse coloniale da parte del popolo eletto. Lì riconosciuta loro una relativa sicurezza di pace, di serenità, ciò che a Midda e ai suoi compagni era stato inizialmente offerto non sarebbe potuto essere considerato effettivamente molto, nel conteggiare un paio di tende, qualche capretta, una piccola scorta di legna e una non propriamente corretta indicazione nel merito della direzione verso la quale sarebbe potuta essere loro proposto un laghetto d'acqua potabile: ben misere risorse, con le quali, comunque, i tre affrontarono senza il benché minimo problema le prime settimane, ritrovandosi, oggettivamente, in condizioni estremamente più agevoli rispetto al loro precedente periodo di isolamento, quello da ricercato al seguito degli ordini di Ma'Sheer.
L'equilibrata quiete da loro così inizialmente raggiunta, tuttavia, fu purtroppo posta immediatamente a dura prova al momento dell'arrivo del primo convoglio di disperati lì condotti dalla principessa al proprio ritorno, quello stesso evento stesso in conseguenza del quale la donna guerriero era stata costretta a definire in maniera esplicita il proprio rapporto con Amie. E la necessità di offrire occasione di sopravvivenza, ancor prima che di concreta e dignitosa vita, ai loro primi seguaci, aveva pertanto costretto sin da subito la stessa Figlia di Marr'Mahew ad abbracciare quello che, effettivamente, sarebbe potuto allora essere considerato un ruolo da capo villaggio, o alcalde così come era definito in alcune isole a lei particolarmente care, a ponente rispetto al regno di Kofreya, per quanto pur mantenendosi a debita distanza dal rapporto con il pubblico attorno a sé, e, in ciò, proponendosi estremamente simile a una sorta di oracolo ancor prima che a un borgomastro, per quanto, nonostante tale particolare situazione, la sua autorità non fu mai posta in discussione, non venne mai messa in dubbio da alcuno dei suoi protetti. In conseguenza dei bisogni primari così impellenti su di loro, quell'insediamento nomade, in quelle settimane, in quei mesi, era stato, lentamente ma inesorabilmente, trasformato, assumendo i connotati di un villaggio, prima, e di una cittadella, poi, e venendo plasmato giorno dopo giorno, istante dopo istante, in egual misura dalla mente della donna guerriero e dall'impegno di tutti coloro lì radunati, sotto la costante supervisione dei due mercenari unici concreti portavoce della sua volontà.
In conseguenza a tanto impegno, il giorno in cui, trascorsi tre mesi dalla loro mancata condanna, evitata solo in grazia del suo sacrificio, fortunatamente solo temporaneo, ella poté riprendere a camminare, e, finalmente, ebbe occasione di lasciare la tenda nella quale, nonostante tutto, si era ostinata a continuare a vivere, nell'ignorare ogni invito a trasferirsi in un alloggio migliore, ciò che vide attorno a sé non poté che compensarla, sinceramente e concretamente, per tutti i suoi sforzi in un ruolo addirittura spesso odiato, più volte ripudiato, e pur mantenuto proprio, gratificandola ben più di quanto, probabilmente, non avrebbero potuto fare i sacchi di pietre preziose che pur aveva più volte ipotizzato poter tornare a domandare alla loro ultima mecenate, a dispetto di ogni accordo inizialmente stipulato. Un appagamento non tanto da considerarsi conseguenza dal quadro offerto da oltre duecento persone, di ogni età, di ogni estrazione sociale, sebbene in prevalenza ex-servitori, in trepidante attesa per quello stesso momento, per quello stesso giorno, in un appuntamento da molti ormai neppur sperato, in un'occasione non creduta possibile, nell'incontro con colei nel cui nome si erano tutti lì radunati, dal momento in cui ella, in tutta onestà, avrebbe altresì preferito rinunciare a tanta attenzione nei propri riguardi, quanto, piuttosto, da rilevarsi derivante dall'immagine di quello stesso mondo così concessole, una realtà da lei, sino ad allora, solamente immaginata nella propria mente, e più volte tracciata su numerosi fogli di papiro insieme alle indicazioni utili per realizzarla, e della quale, nonostante la consapevolezza dei lavori occorsi, mai avrebbe potuto immaginare potesse essere divenuta concreta realtà.

« Allora? » sorrise Ma'Sheer con fare scherzoso, schierato accanto a lei insieme al proprio compagno, non alla ricerca di condivisione per la gloria pur propria di quel momento, ma, piuttosto, per essere, comunque, lì pronto a sorreggerla nel caso in cui la sua scelta di tornare a camminare si fosse rivelata prematura, azzardata « Che cosa ne pensi? Secondo me ce la siamo cavati discretamente… ma, a questo punto, credo che solo il tuo giustizio possa definire la questione in maniera assoluta. »

giovedì 24 giugno 2010

895


T
re mesi: in tale misura poté essere quantificato il prezzo dell’incredibile vittoria riportata dalla Figlia di Marr’Mahew nel confronto del colosso nero di nome Ma’Tahr.
Suo malgrado, infatti, non appena le venne concessa libertà dalle catene che l’avevano mantenuta appesa al soffitto, negandole, prima di quel momento, la sostanziale possibilità di raggiungere il suolo sotto di sé e, in ciò, poter verificare l’effettiva portata del danno subito, la donna guerriero fu costretta a confrontarsi con la spiacevole, e temuta, verità rappresentata dalla frattura dei propri arti inferiori, qual forse inevitabile conseguenza della violenza, dell’impeto sconvolgente del carnefice da lei pur alfine ucciso. Sua fortuna, altresì, al pari di altre già subite in passato, quali conseguenze delle proprie imprese, delle proprie avventure sempre sospinte oltre ogni umano limite, anche tali fratture non si erano rivelate a lei imposte in una misura sì grave, sì irreparabile, dal rischiare di comprometterla per il resto della propria vita, coinvolgendo certamente entrambe le sue tibie senza, tuttavia, lasciar emergere qualche particolare scomposizione delle ossa al punto da farle temere una difficile, o impossibile, guarigione. Ciò che, comunque, fu necessario, obbligato, ove anche tale prospettiva sarebbe da lei stata accolta con concreto ribrezzo, con reale rifiuto, fu allora un lungo periodo di riposo, di forzata immobilità per lei: una convalescenza che non solo la vide, forse correttamente, considerarsi quale un peso per i propri compagni di ventura durante la loro fuga, l’allontanamento dalla capitale, ma che, ancor peggio, la portò erroneamente a giudicare quale del tutto vana ogni propria successiva possibilità di collaborazione con loro, dove anche, accanto a un non desiderato ruolo di evocativa rappresentanza, ella si dimostrò in grado di affiancarne uno sostanziale ed efficace organizzazione tattica.
L’evocativa rappresentanza involontariamente offerta alla causa comune, in verità, trovò la propria principale forza, la propria primaria energia, nello stesso feroce combattimento che tanto aveva domandato pegno alla mercenaria, una lotta il cui eco, nel corso di quell’ultima stagione, aveva ovviamente e inevitabilmente avuto occasione di diffondersi in maniera estremamente rapida, di bocca in bocca, qual già leggendaria presentazione del coraggio, dell’audacia di quegli stranieri, i quali, all’attenzione di tutti, risultarono chiaramente lì inviati dagli dei per uno scopo preciso, con un mandato definito. In ciò, si dimostrarono pertanto confermate le più rosee aspettative di Amie, la quale ebbe allora occasione di rendere Midda qual inizialmente inconsapevole e, dopo esser stata informata a tal riguardo, decisamente recalcitrante, simbolo della loro causa, della resistenza che proprio attorno a lei e ai suoi compagni era stata così incentrata.

« Non so con chi tu creda di aver a che fare, principessa… ma a me non piace essere sfruttata a mia insaputa, soprattutto perché, in tal caso, finisce sempre che io non riesca a guadagnarci nulla. » aveva protestato la donna guerriero, nel giorno in cui, quattro settimane dopo la loro fuga dalla capitale, la giovane Amie era tornata a fare capolino conducendo al proprio seguito una prima schiera di disperati, rinnegati loro pari, che, privati di ogni speranza, non avrebbero avuto nulla da perdere nell’unirsi a quell’iniziativa in divenire, rivelandole, così, l'iniziativa di cui l'aveva resa ignara protagonista « Se credi di poter utilizzare gratuitamente il mio nome per dar vita alla tua rivoluzione, ti sbagli di grosso. »
« Scusami. Vorrei cercare di comprendere… il tuo problema è l’assenza di un qualche guadagno materiale nella partecipazione a un evento destinato a cambiare per sempre le sorti di una nazione?! » aveva commentato la giovane, non cogliendo l’accenno contenuto della prima parte dell’affermazione della propria interlocutrice per soffermarsi, altresì, sulla seconda « Possibile che tu non riesca a provare alcuna vergogna per questa tua venialità, per tanta ingordigia? »
« Nella mia vita ho vissuto così tanti eventi destinati “a cambiare per sempre le sorti di una nazione”, da non riuscire più a entusiasmarmi per l’annuncio dell’ennesimo. » aveva replicato la mercenaria, per tutta risposta, offrendo un sorriso sornione e malizioso verso di lei « Per non scoraggiarti, evito di sottolineare quanti pochi, fra quegli eventi, abbiano raggiunto un qualche concreto risultato. » aveva immediatamente aggiunto, strizzando l’occhio sinistro con fare complice « E, poi, è particolarmente facile per chi ha già tutto accusare una povera mercenaria di venialità e ingordigia… non trovi? »
Arrestando quasi immediatamente quella che, in reazione, sarebbe probabilmente stata un nuovo attacco verbale verso quella figura per lei considerata indubbiamente irritante, Amie si era allora ritrovata costretta a rielaborare quell’ultima asserzione, ricollegandola in maniera naturale al termine poc’anzi adoperato dalla stessa interlocutrice per definirla: « M-ma… » aveva balbettato, non riuscendo a evitare di strabuzzare lo sguardo in sua direzione « Come… come mi hai chiamata prima?! »
« Principessa? » aveva ripetuto, con fiera soddisfazione, nell’ottenere conferma di quelli che avrebbero dovuto essere considerati suoi sospetti sin dal giorno della loro evasione dal carcere, in un’ipotesi sicuramente azzardata, e pur tale da giustificare tanto potere a lei riservato nel cuore del dominio del faraone, là dove il potere e l’influenza del medesimo avrebbero dovuto essere considerate più forti, più incisive « Non so se è il termine giusto per indicare la figlia di un faraone… con quale attributo dovrei indicarti, mia cara Amie?… nell’ipotesi tutt’altro che ovvia che tale sia effettivamente il tuo nome… »

La sostanziale organizzazione tattica richiesta all’attenzione della Figlia di Marr’Mahew dalla principessa, effettivamente tale in quanto unica figlia del faraone e della sua prima moglie, della grande sposa reale qual lì era definita a distinguerla da eventuali altre mogli che egli avrebbe potuto richiedere qual proprie per qualsiasi divina ragione, fu l’effettivo e concreto risultato dell’incontro così occorso fra la donna e la giovane in quel giorno, tale da definire un’intesa alla base della quale il compenso, richiesto dalla donna guerriero alla propria nuova mecenate, avrebbe dovuto essere giudicato definito da una cifra tanto irrisoria, destinata non tanto a coprire l’impegno loro richiesto, quanto, piuttosto, a formalizzare, entro chiari e determinati termini, l’effettiva natura del rapporto così fra loro ricercato.
Personalmente, non avesse dovuto fare i conti con i propri compagni di ventura e, in particolare, con la figura di Be’Tehel, tanto legato alla propria nazione e, in ciò, emotivamente coinvolto in misura estrema in quella particolare questione, in quel contesto sì inatteso e pur terribilmente reale nel quale si erano ritrovati a essere in conseguenza di forze, di poteri la natura dei quali era per loro ancora ignota, la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio non si sarebbe fatta scrupolo alcuno, probabilmente, a richiedere almeno due sacchi colmi di pietre preziose per se e per ogni proprio collaboratore, qual pur minimale, e ancora inadeguato, ma pur facilmente trasportabile, compenso per un’impresa qual quella loro domandata. Ben lontana dal potersi considerare idealista, o dal poter, ancor meno, accettare l’esistenza di una qualche forma di idealismo nel proprio prossimo, ella mai avrebbe potuto, neppur per un istante, concedersi di credere nella buona fede, nell’onestà, di cui Amie aveva pur insistito di voler ammantare la propria impresa, il proprio tentativo di far crollare il regno del padre, al solo scopo di concedere al proprio popolo, a tutte le fasce allora oppresse, occasione di riscatto morale e sociale. Del resto, il pensiero che, alla base di tale desiderio, fosse dovuto essere individuato un semplice capriccio di un animo infantile, una brama di potere personale di un cuore ambizioso, o, piuttosto, una qualsivoglia vendetta nei confronti di un genitore incompreso da una mente malata, mai avrebbe potuto interessare alla mercenaria nel momento in cui fosse stata regolarmente assunta per quel nuovo compito, soprattutto e ancor meno nell’intimo, e ovviamente taciuto, confronto con il mai scordato scopo primario per il quale ella aveva abbracciato quell’assurda avventura, quel viaggio pur non coscientemente desiderato oltre il tempo e lo spazio: la volontà di appropriarsi degli scettri rappresentativi del divino potere del faraone sull’intera nazione.
Consapevole di come, tuttavia, mai Be’Tehel avrebbe accettato l’ipotesi di una smisurata ricompensa per rendere un servigio tanto importante al proprio Paese, in uno dei momenti forse più importanti della sua stessa Storia, per quanto ignoto tanto a lui, quanto a qualsiasi altro suo connazionale appartenente alla sua stessa epoca, ella aveva preferito limitare al minimo gli attriti interni al gruppo, pur senza rinunciare, in tutto e per tutto, a una possibilità guadagno, fosse anche solo per se stessa e per Ma’Sheer, evidentemente meno patriottico rispetto all’altro, utile a non dimenticare loro di qual sola sarebbe dovuta essere giudicata la loro professione e la loro stessa natura, non appartenente a quell’epoca e a quel luogo.

mercoledì 23 giugno 2010

894


« I
l regno del popolo eletto, un tempo caro agli dei, è ormai irrimediabilmente corrotto. » definì tristemente ella, alfine concedendosi un lungo sospiro e rassegnandosi, in ciò, a offrire loro una ragione per riconoscerle concreta fiducia nella propria disponibilità al confronto, nonostante l'iniziale ritrosia ad accettare qualsiasi interrogativo « I faraoni, in passato primi fra tutti i sacerdoti, sommi pontefici della nostra religione, hanno smarrito ormai da tempo la propria fede, disconoscendo ogni divinità, ogni credo, al di fuori di quello dedicato alla propria stessa persona, al proprio nome. »
« In quanto stranieri forse vi sarete resi conto di come non agli unici, veri dei, del cielo, della terra, del mare e del fuoco siano dedicate tutte le statue sparse nelle nostre capitali, in ogni insediamento, quanto, piuttosto, alle dinastie dei faraoni, alle loro mogli e ai loro figli, che, nel corso dei secoli, si sono susseguiti al controllo della nostra nazione, del nostro Paese, tiranneggiando incontrollati e incontrollabili, più dannosi di qualsiasi piaga, più oppressivi di qualsiasi condanna. » proseguì, storcendo le labbra verso il basso in quello che parve essere simile a un sincero e appassionato sfogo, in aperto rimprovero verso il proprio sovrano con parole che avrebbero potuto sancire per lei un fato ancor più crudele di qualsiasi sarebbe potuto essere stato già riservato ai tre prigionieri « Ciò non può più essere tollerato… non deve più essere accettato. E, nella vostra venuta, nel vostro arrivo, tanto temuto dal nostro attuale faraone, io non posso evitare di leggere un segno, un messaggio inequivocabile. »

Inevitabile silenzio non poté che accogliere tale confessione, simile ammissione, tanto importante, effettivamente grave nei propri contenuti, nelle proprie rivelazioni, da poter essere oggettivamente considerata qual riprova di un reale desiderio di complicità, di collaborazione, da parte della giovane nel confronto dei tre detenuti lì ancora prigionieri, probabilmente in misura ancor più incisiva di quanto sarebbe mai potuta essere giudicato lo stesso impegno lì da lei posto nel tentare di liberarli.
In tali termini, in simile misura, sicuramente, non poté che essere accolto nel confronto con il cuore di Be'Tehel, il quale, in virtù del proprio sangue shar'tiagho, nonché di un indubbio affetto verso la propria nazione, non poté ovviare a un incredibile, incontrollato moto di gioioso orgoglio per tale testimonianza, riprova di come, dopotutto, la Storia si fosse proposta probabilmente più severa del dovuto, più impietosa del necessario, nel negare al suo popolo qualsiasi sentimento di rivolta contro i falsi dei qual, invece, quell'esperienza stava definendo indubbiamente presente. Mai egli avrebbe potuto sperare di ascoltare parole più apprezzabili, e apprezzate, di quelle, capaci di donargli un nuovo sguardo colmo di speranza nel confronto con il proprio stesso retaggio, quell'eredità maledetta, quel peccato originale, che, nonostante tutto, ogni suo connazionale, nel suo tempo, sentiva gravare sul proprio animo, se pur privo di personale colpa, di effettiva responsabilità su quanto i loro blasfemi antenati potessero aver oltraggiato gli dei del loro pantheon con azioni indegne, con un tradimento mai completamente perdonato.
Anche all'attenzione di Ma'Sheer e di Midda, pur meno emotivamente coinvolti rispetto al proprio compagno in simile tematica, in tale atavica questione gravante sui cuori degli esponenti del popolo autoproclamatosi qual eletto, una tanto esplicita e decisa presa di posizione non poté essere ignorata, in quanto trasparente di un sentimento, di una volontà così forte da dover persino essere accolta con sospetto, con diffidenza, nel timore che tutto ciò sarebbe potuto rivelarsi alfine qual una trappola a loro discapito. Tale ipotesi, simile teoria, tuttavia, non impedì loro di votare, distintamente e, pur, comunemente, a temporaneo favore di quella loro giovane interlocutrice e del possibile aiuto che ella avrebbe potuto loro riconoscere, nel confronto con la consapevolezza, con la triste coscienza, di come, al di fuori di quell'occasione, ben poche alternative erano state loro attualmente proposte, al punto da far apparire anche l'eventualità di una nuova trappola qual più apprezzabile, più attraente, rispetto al fato altresì loro così promesso.

« In tutta onestà, io non so chi voi siate, da dove veniate, perché siate qui giunti e, soprattutto, perché il faraone vi tema al punto tale da aver personalmente mobilitato le proprie guardie per decretare la vostra fine.. » riprese Amie, probabilmente incerta su come poter interpretare la laconicità dei propri ascoltatori, quieti nell'osservarla « Non lo so e neppure ho particolare desiderio di scoprirlo. Quanto, invece, è mia speranza, mia bramosia, è poter godere della vostra presenza in questa terra per poter, attraverso di voi, attraverso il simbolo da voi forse involontariamente rappresentato, catalizzare l'interesse di tutti coloro attualmente succubi di questo assurdo sistema verso una speranza di rinnovamento, un futuro migliore. »
« Ciò a cui ambisci è, pertanto, la… la… » tentò di esplicitare la donna guerriero, salvo ritrovarsi incerta sul termine esatto da utilizzare in lingua shar'tiagha per esprimere tale concetto.
« … la rivoluzione. » annuì l'altra, senza ricorrere ulteriormente a mezzi termini, a malcelate verità « Ma per ottenerla ho bisogno di un riferimento forte, un nocciolo guerriero esterno al nostro mondo, alla nostra realtà, e mai contaminato, in ciò, da false dottrine, qual tutti noi, nel bene o nel male, siamo stati costretti a essere. Un punto di riferimento inequivocabile, certo, verso il quale chiunque possa… »
« Per quanto tale questione potrebbe apparire controproducente per noi, per la nostra liberazione… perché non ritieni di poter essere tu stessa tal punto di riferimento? » la interrogò Be'Tehel, lasciandosi avvincere, entusiasmare, dal discorso loro offerto dalla giovane, e pur, proprio in conseguenza di ciò, non riuscendo a cogliere, a comprendere in maniera autonoma, la ragione dell'esigenza della loro presenza, della loro collaborazione, così come presentata « Le tue idee, dopotutto, appaiono assolutamente chiare, perfettamente definite, nel merito di ciò che desideri per il tuo popolo… »

Prima che potesse, però, essere presentata ulteriore replica, qual indubbiamente non sarebbe mancata da parte della destinataria di simili dubbi, ormai apertasi al confronto con i tre mercenari, una breve sequenza di fischi modulati secondo un ordine preciso, e palesemente proveniente da un supporto esterno, forse da ricercarsi persino all'interno del personale in servizio all'interno di quelle carceri, lo stesso che doveva averle garantito la possibilità di giungere sino a loro, pretese la completa attenzione di colei necessariamente ancora identificata qual serva, per quanto ormai difficilmente considerabile tale, mettendola in guardia da un pericolo imminente. Un non trascurabile avviso in conseguenza del quale ogni ulteriore discussione sarebbe dovuto esser posticipata a un momento più idoneo, per offrire spazio all'unica questione di fondamentale importanza in quel confronto verbale.

« Volete vivere o morire?! » definì la giovane, con tono tutt'altro che retorico, nel non voler considerare ovvia, obbligata, la risposta dei tre, alla ricerca di una netta presa di posizione da parte loro non diversamente da come, dopotutto, ella stessa era stata costretta a fare nelle proprie rivelazioni « Decidete ora, perché il tempo a nostra disposizione è purtroppo scaduto. »

E se anche l'intera situazione, così come loro presentata, sarebbe potuta essere ancora giudicata colma di lacune, di zone d'ombra, tali da poter offrire ampio spazio a qualsiasi genere di dubbio, di interpretazione nel merito di quell'intera vicenda, l'istinto di sopravvivenza prevalse allora su ogni filosofia, su ogni ritrosia potenzialmente propria di ogni elemento di quel ristretto gruppo di mercenari, costringendoli a considerare la banale verità di come, tanto nella peggiore, quanto nella migliore delle ipotesi possibili, degli scenari loro riservati dalla proposta di Amie, il loro unico impegno sarebbe inevitabilmente stato il confronto con un nuovo combattimento, con l'ennesima furiosa battaglia all'interno della quale poter decidere nel merito del proprio stesso futuro, in una prova dopotutto non troppo diversa dalle numerose già affrontate, già vinte nel corso di un'intera esistenza, di cui lotta e guerra erano, invero, da sempre state parte fondamentale.

« Portaci via di qui… » concordò la Figlia di Marr'Mahew, nell'esprimere pertanto la sola replica per loro ammissibile « … e che qualcuno mi aiuti a camminare lontano da questa cella schifosa, perché, per quanto mi sia insopportabile ammetterlo, dubito di potercela fare da sola questa volta. »

martedì 22 giugno 2010

893


« S
-sì… » sorrise egli, annuendo con sufficiente convinzione a quella richiesta.
« Ottimo! » esclamò ella, nel mentre in cui, ai suoi fianchi, Be'Tehel e Ma'Sheer si dovettero mordere la lingua per trattenere una pur meritata acclamazione in direzione della loro compagna, per l'abilità da lei nuovamente dimostrata in quella situazione tanto critica, nel timore che qualsiasi presa di parola, in quel momento, avrebbe potuto distruggere il fragile equilibrio proprio di quel dialogo « Allora… dovresti, per favor… »

Parole, quella della mercenaria, che non poterono, loro malgrado, trovare occasione di conclusione, nell'essere drammaticamente e prematuramente interrotte, stroncate sul loro nascere, da un suono che si concesse quale a tutti loro estremamente noto, nel provenire dalla sola porta presente in quella cella, dall'unico varco verso il mondo esterno ricavato in quelle sei pareti di solido travertino attraverso il quale pur speravano di poter riconquistare la libertà così loro negata: il fruscio metallico del chiavistello, movimentato allo scopo di poter dischiudere quello stesso uscio.
Per un istante, in tal sventurato sviluppo loro imposto da una sorte considerata avversa, ai tre mercenari, prigionieri di quella buia e stretta stanza, fu negata persino la possibilità di respirare, nella consapevolezza di ciò che sarebbe potuto accadere non appena quanto lì avvenuto fosse stato scoperto dai loro carcerieri, non solo vedendo vanificati tutti i loro sforzi, quanto, peggio, anche il loro stesso futuro. Per quanto, nella particolare quotidianità derivante dal loro mestiere, dalla professione che ognuno di loro aveva liberamente e volontariamente abbracciato, avessero tutti sviluppato, maturato, un rapporto onesto, sincero, trasparente, con il pensiero della propria morte, non eventualità remota, quanto certezza costante e innegabile, alcuno fra loro avrebbe gioito di fronte all'imminenza della medesima, ancor meno quando presentata, offerta, non qual tragica conclusione di una battaglia, di un'impresa degna di essere ricordata, quanto, piuttosto, banalmente condannati e trucidati qual sarebbero allora indubbiamente stati all'interno di quella stanza, impossibilitati a qualsiasi occasione di difesa o di evasione di fronte al nemico.
Anche e soprattutto la Figlia di Marr'Mahew, che più dei propri compagni aveva realmente vissuto ogni giorno della propria vita oltre ogni limite stabilito, in un azzardo continuo con il pericolo, in un ballo costante con la morte, sì consapevole di come, un giorno, avrebbe pur dovuto accettare di presenziare a solo e inderogabile appuntamento comune a tutti, non poté allora sottrarsi a quell'attimo fuggevole, fugace, di inerme attesa, portando i propri occhi color ghiaccio, all'interno dei quali le nere pupille si erano estese al punto da negare quasi integralmente l'azzurro caratteristico delle iridi, verso quella soglia, in un sentimento che ella avrebbe gradito fosse di sprezzante sfida contro ogni destino così stabilito, e che pur, umanamente, non poté che dimostrarsi di timore, di sgomento, quasi di rifiuto verso quell'assurda sventura, non diversamente, dopotutto, dalla reazione propria dei due servitori, ancora a terra sopra il resti maciullati della loro vittima.

« Thyres… non così… non così… » sussurrò la mercenaria, in un alito praticamente inudibile pronunciato nella lingua per lei più consona, in una sincera, sentita invocazione alla propria dea prediletta, nel domandare, nel pregare per un'occasione migliore, per quanto paradossale, ella stessa in primo luogo, avrebbe indubbiamente considerato qualsiasi giudizio nel merito dell'occasione giusta per morire.

E impossibile, per lei, fu allora poter francamente definire se l'identità del volto che, in immediata conseguenza a quell'orazione, si presentò attraverso la porta violata, dimostrandosi qual appartenente non tanto a una guardia, a uno dei secondini ovviamente temuti qual latori di funerea ambasciata, quanto, piuttosto, alla giovane Amie, la bizzarra serva shar'tiagha che già si era loro introdotta poco prima di tanto sanguinoso susseguirsi di eventi, fu lì condotto in virtù di un desiderio esterno a quello della propria dea, sì quieta, sì silenziosa, come il mare da lei stessa tutelato, e pur indubbiamente e amorevolmente presente nella sua vita, come ancora dimostrato, nell'essere pronta a stravolgere, in ogni istante, il corso degli eventi con l'impeto di una gigantesca onda in contrasto a un fragile disegno tracciato sulla sabbia della riva, per concederle un'inattesa speranza, una meravigliosa occasione di vita. Un viso, quello di Amie, che, infatti, per quanto sarebbe dovuto essere considerato potenzialmente avverso, nemico, in quel momento, in quel particolare frangente, ella non poté che accogliere, istintivamente, con concreta gioia, nel non riuscire invero a giudicare quella figura qual lì sopraggiunta per una semplice casualità, per un'assurda coincidenza.

« Tu?! » esclamò Ma'Sheer, reagendo per primo alla vista della nuova arrivata e, in ciò, neppure tentando di celare il proprio stupore, la propria meraviglia nel confronto con quell'immagine.
« Lieta che non vi siate scordati di me… » replicò Amie, avanzando rapida attraverso la breve estensione della cella nel dirigersi alla volta dei tre prigionieri, non offrendo la benché minima attenzione né ai due frastornati servi piegati a terra, né ai due corpi privi di vita lì proposti « Devo supporre che il vostro intento diplomatico non abbia offerto i frutti da voi desiderati. » soggiunse, con tono ironico.
« Chi sei tu… veramente?! » incalzò Be'Tehel, prendendo per la prima volta apertamente voce verso di lei con tali parole, e subito proponendo, in ciò, il solo interrogativo di senso compiuto che sarebbe potuto essere allora rivolto a tale presenza, probabilmente non giudicabile qual avversaria, e pur, nell'incertezza derivante da tal dubbio, neppure accettabile qual alleata.
« Sono colei che vi può condurre fuori di qui. » replicò l'altra, incrociando le braccia sotto ai seni, con espressione trasparentemente annoiata in conseguenza di tanti dubbi a suo riguardo « Ovviamente se preferite attendere di essere giustiziati, vi lascerò quietamente al vostro destino: lungi da me, infatti, pormi qual ostacolo fra una schiera di folli suicidi e il loro mortale proposito. »
« E… qual sarebbe il prezzo a noi richiesto per tanta… benevolenza, per tale generosità…? » domandò Midda, anch'ella al proprio primo confronto verbale diretto con la loro interlocutrice, non nella volontà di contestarne l'indubbiamente utile, e necessaria, presenza, quanto, piuttosto, per comprenderne le personali ragioni, i desideri alla base di un tanto assurdo supporto loro riconosciuto da chi, tanto evidentemente, tanto trasparentemente, non appartenente a una categoria oppressa della popolazione, a dispetto del ruolo nel quale si stava presentando alla loro attenzione.
« Mmm… posti innanzi al pericolo di una condanna praticamente certa, la vostra indole guerriera è tale da spingervi a porre tante questioni su chi presentatasi chiaramente per la vostra salvezza?! » obiettò la loro interlocutrice, con tono trasparentemente indispettito, probabilmente aspettandosi da parte loro maggiore collaborazione, una più vivace dimostrazione di gratitudine per la speranza loro condotta « Credo che, dopotutto, non abbiate realmente bisogno di me in conseguenza di tanto orgoglio. » aggiunse, sciogliendo la postura nella quale aveva conserto le proprie braccia, prima di voltarsi in direzione dell'uscita, a testimoniare quanto superficiale sarebbe dovuto essere considerato il suo interesse verso di loro.
« Non essere… come si dice?!... sciocca… » prese nuovamente voce la donna guerriero, intervenendo prima di qualsiasi altra possibile parola da parte dei suoi compagni di ventura « Tu hai evidente necessità di noi almeno quanto ne possiamo avere noi di te, o non avresti rischiato tanto a venire sin qui in questo momento. Non cercare di ingannarci facendoci credere diversamente… »

Arrestatasi, allora, a meno di un passo dalla soglia, la giovane Amie sembrò soppesare con cura il concetto così espresso dalla propria interlocutrice, probabilmente tralasciando l'implicito insulto così rivoltole in favore di quanto sarebbe dovuto essere considerato un bene superiore, un interesse più grande di un proprio moto d'albagia, d'alterigia, non dissimile altrimenti da quello appena rimproverato al gruppo di prigionieri, sì incapaci di accettare l'occasione loro offerta senza porre inutili dubbi attorno ad argomenti del tutto irrilevanti in quel particolare contesto, in quella pericolosa situazione, nella quale non avrebbero dovuto permettersi di sprecare un solo, singolo e prezioso istante del tempo loro concesso.

lunedì 21 giugno 2010

892


« O
ra calmatevi. » suggerì la donna guerriero in direzione dei due servi ribelli, con tono quieto, quasi premuroso nell'osservarli alfine stremati dalla loro stessa furia così riversata sull'antico padrone « La… questione non è finita. Al contrario, ha da intendersi quale appena incominciata. » scandì, sperando di non errare nell'utilizzo di alcun termine, per quanto, ormai, la confidenza raggiunta con un discreto quantitativo di vocaboli in lingua shar'tiagha le avrebbe dovuto garantire tale occasione senza eccessivi dubbi.

La coppia, tremendamente sporca di sangue e brandelli di organi vari, provenienti dalla poltiglia che poco prima era dotata di vita, di pensiero e di sentimento, restò per un lungo istante come bloccata, inibita in qualsiasi reazione e movimento, forse nel rendersi, alfine, realmente conto delle proprie azioni anche in conseguenza delle parole così rivolte loro.
Nonostante tanta furia, se non, addirittura, proprio in conseguenza di tanta rabbia a caratterizzato la loro rivolta in contrasto al burocrate, tale, in ciò, da annichilire qualsiasi possibilità di raziocinio, di pensiero cosciente a tal riguardo, quanto occorso non avrebbe potuto essere per loro considerato consueto, normale, quotidiano, ancor meno di quanto non sarebbe potuto essere giudicato il gesto della donna guerriero in reazione contro l'altra vittima del rapido precipitare degli eventi all'interno di quella cella. In ciò, pertanto, il ritorno a un clima più moderato, a una situazione più tranquilla, non avrebbe potuto evitare di porre i due assassini in confronto diretto con le conseguenze della propria ferocia, della crudeltà lì dimostrata a danno di un loro connazionale, e, peggio ancora, di una figura di potere all'interno della capitale, catapultandoli nel vortice di una duplice ragione di sconcerto, di concreta crisi, divisi fra il pensiero dell'orrendo crimine di cui si erano macchiati e, inevitabilmente, quello delle conseguenze del medesimo, che a già tale sconcertante realtà avrebbe allora associato loro un'indubbia condanna, in conseguenza della quale non sarebbero stati colpiti e puniti solo loro, ma, peggio ancora, tutta la loro famiglia, tutti i loro parenti, qual esempio per chiunque avrebbe potuto maturare altri pensieri rivoluzionari.

« Li abbiamo persi. » constatò il mercenario shar'tiagho, meditabondo nell'osservare il blocco psicologico e fisico in cui i loro, forse involontari, complici sembravano essere ricaduti.
« Dannazione… » sussurrò il figlio del deserto, storcendo le labbra a quella prospettiva « Dobbiamo trovare un modo per liberarci da queste catene, prima che qualcuno possa accorgersi di quanto è accaduto e lanciare un allarme: non ci sarà offerta un'altra occasione più propizia rispetto a questa. » sottolineò, esprimendosi non a torto in simile conclusione.
« Ehy… » esclamò la Figlia di Marr'Mahew, in direzione dei due servi, per cercare di richiamarne l'attenzione, nel desiderio di riportarli, per amore o per dovere, a contatto con il mondo da cui sembravano essere intimamente fuggiti, rifiutando di accettare coscientemente quanto accaduto « Come vi chiamate? »

Alcuna risposta, tuttavia, si offrì alla mercenaria, prospettando una pessima possibilità di sviluppo per quell'intera vicenda, nell'eventualità di non poter trovare collaborazione in quelle due sconvolte figure così come sarebbe sicuramente stato auspicabile riuscire a ottenere.
Midda, dal canto proprio, oltre all'immediato problema della liberazione delle proprie braccia, requisito indispensabile per ambire a qualsiasi possibilità di fuga, era cosciente che, non appena tale ostacolo fosse stato aggirato, superato, in un modo o nell'altro, ella si sarebbe suo malgrado ritrovata a doversi confrontare con le conseguenze, ancora discretamente celate, dello scontro con il carnefice. I colpi subiti, la violenza di quei colossali pugni proiettati con disperata foga contro le sue ginocchia e le sue tibie, non avrebbe infatti potuto essere considerata priva di ripercussioni e, ove anche, in quel momento, ella stava riuscendo a mantenere sotto controllo il dolore accusato, molto presto avrebbe dovuto comprendere quanto grave sarebbe dovuta essere giudicata la sua effettiva condizione. Fosse stata realmente fortunata, graziata dalla benevolenza degli dei, forse avrebbe evitato di scoprire spiacevoli e compromettenti fratture ai suoi arti inferiori o, peggio ancora, alle loro articolazioni, riuscendo a riprendersi semplicemente con un po' di riposo: in caso contrario, la situazione per sé, e per i propri compagni, nel confronto dei quali sarebbe divenuta un grave peso, si sarebbe proposta certamente di complessa gestione.

« Parlo con voi. » insistette, nel desiderare l'attenzione dei due servi, prima che potesse essere troppo tardi per ottenere benefici dalla medesima « Io mi chiamo Midda… qual è il vostro nome? » tentò nuovamente di domandare, in quella che sarebbe potuta essere accolta come una domanda decisamente futile, una richiesta inutile in quel momento, ma che pur avrebbe potuto permetterle di stabilire un rapporto umano con i propri interlocutori, così come aveva appreso nella propria esperienza con casi del genere, come molti, dopotutto, erano da lei stati colti nei campi di battaglia, al termine di un cruento scontro fra fazioni avverse.
Ancora silenzio.
« E' inutile… sono completamente andati. » ribadì Be'Tehel, non negandosi sincera commiserazione per quella coppia, costretta a confrontarsi con emozioni contraddittorie qual sole avrebbero potuto caratterizzare il primo omicidio della propria esistenza « Per chi non è abituato alla morte, uccidere non è mai naturale… »
« In verità, piuttosto che compatire loro, dovresti compatire noi stessi. » replicò la mercenaria, aggrottando la fronte a quelle parole « A doversi considerare innaturale, è la nostra confidenza con l'assassinio… non la loro estraneità. » accennò, in un tema filosofico e morale che, tuttavia, in quel momento non avrebbero potuto approfondire, nell'urgenza derivante da altre priorità « Ehy! Mi volete ascoltare?! » riprese, immediatamente, nel non voler disperdere ulteriormente la già scarsa attenzione lì presente.

A quell'ennesimo richiamo, prima che a Ma'Sheer fosse riconosciuta l'occasione di una nuova imprecazione formalmente utile a sottolineare il proprio personale dissenso a quella mancanza di reattività da parte dei loro soli, possibili complici, uno dei due, che la donna guerriero riconobbe quale il precedente addetto allo scrittorio, offrì un vago sentore d'intesa, nel roteare il proprio capo nella loro direzione e nell'osservarli, se pur con sguardo perso, smarrito, probabilmente prossimo a una crisi isterica.

« Salve. » sorride la Figlia di Marr'Mahew, cercando di concedergli la propria espressione più cordiale, più amichevole, forse peccando di ipocrisia in tal frangente, e pur ritrovandosi costretta a far di necessità virtù, nel desiderio di preservare illesa la propria candida pelle delicatamente ornata da spruzzate sparse di efelidi « Midda… Midda Bontor. » si presentò nuovamente, a richiamare il concetto già precedentemente introdotto « E il tuo nome sarebbe…? »
« Be'… Be'Johle. » scandì l'altro, dopo un istante di esitazione.
« Ottimo Be'Johle… e il tuo amico? Sai dirmi come si chiama il tuo amico? » incalzò la donna guerriero, mantenendosi ancora apparentemente serena, tranquilla, per quanto lo sforzo necessario a contenere il dolore derivante dai colpi subiti la stesse stancando a una velocità sempre crescente.
« Be'Tahan. » rispose, reagendo in maniera estremamente meccanica, in conseguenza dell'insistenza della sua interlocutrice, ancor prima che per un concreto desiderio a dialogare con lei, probabilmente neppure rendendosi ormai conto dell'effettiva identità della medesima.
« Be'Johle e Be'Tahan… » annuì ella, cercando di ripetere in maniera più corretta possibile quei nomi, per non storpiarli in maniera eccessiva in conseguenza della propria scarsa confidenza con la lingua locale e dei suoi particolari accenti « Non era difficile presentarci… non è vero? » aggiunse poi, con tono retorico.
« N-no… » balbettò l'altro, nel mentre in cui gli angoli delle sue labbra si incresparono in quella che, allora, parve essere preludio dell'imminente esplosione della crisi peggiore.
« Sai, Be'Johle… io avrei davvero, davvero, davvero bisogno di un attimo del tuo tempo, della tua collaborazione per un piccolo e pur importante… favore. » confidò la donna, mantenendo il proprio sguardo in quello di lui, per quanto quest'ultimo apparentemente cieco, nel desiderio di ricercare un'occasione di contatto visivo, oltre che verbale « Vorresti aiutarmi? »

domenica 20 giugno 2010

891


U
n lungo e, probabilmente, inevitabile momento di silenzio, di assoluta e scioccata immobilità, seguì all’evidenza dell’avvenuta morte del carnefice conosciuto con il nome di Ma’Tahr, colosso dalla pelle color ebano più prossimo a mostro che a uomo, nella propria straordinaria, quasi grottesca, presenza fisica.
Lo sviluppo di quell’evento, la dinamica dei fatti così presentati innanzi agli sguardi attoniti, stupiti, meravigliati di tutti i presenti all’interno di quella cella, a incominciare da quello del magistrato, proseguendo con quelli dei suoi servi e, immancabilmente, coinvolgendo anche quelli dei due compagni della stessa protagonista di tanta furia, prigionieri al pari di lei, era occorso con la stessa inarrestabile violenza usualmente tipica della natura, riservata agli dei e abitualmente espressa dai terremoti più distruttivi o dagli uragani più catastrofici, tale da negare qualsiasi possibilità di umana e concreta accettazione nei suoi stessi confronti.
In quali altri termini poter, altrimenti, definire la sensazionale vittoria riportata dalla donna guerriero in quel confronto, la quale, con la sola forza delle proprie gambe, era riuscita a soffocare, prima, e spezzare il collo, poi, a colui nel confronto con il quale sarebbe apparsa semplice bambina, infante senza alcuna speranza?
A interrompere l’innaturale, e pur necessaria, quiete in tal modo dominante sulla scena, non tanto per rispetto nei riguardi della morte del vinto, o del trionfo della vincitrice, quanto piuttosto, banalmente, per l’incapacità a formulare qualsiasi pensiero di senso compiuto a tal proposito, furono, allora, i due servi lì sopraggiunti insieme al carnefice e al magistrato. Essi, ritornati a esser, per primi, padroni dei propri pensieri, della propria coscienza, così come, probabilmente, non si erano potuti dimostrare essere da anni, o forse sin dal momento della loro stessa nascita, comprendendo l’occasione loro offerta e rinnegando qualsiasi rispetto nei riguardi della divina presenza del faraone, così come già avevano dimostrato di poter fare tanto i contadini che avevano accolto il gruppo di stranieri, quanto l’insolita serva precedentemente giunta alla loro cella per un ipotetico compito di pulizia, neppure concluso, non mancarono di approfittare del momento, di quell’incredibile e insperato sviluppo, ribellandosi, a loro volta, a chi alcun rispetto aveva concesso nel confronto della loro dignità di esseri umani, probabilmente neppur considerandoli effettivamente qual tali. E così, dopo pochi istanti dalla pesante caduta del massiccio cadavere dell’aguzzino, una nuova vita fu pretesa, con violenza, con foga sconosciuta nel corso della prima uccisione, questa volta richiesta non dalla donna guerriero, pur involontaria ispiratrice di tanto ardore, né dai suoi compagni, ancora incerti su cosa poter esprimere nel merito di quanto così occorso, cosa poter supporre per il loro immediato futuro in conseguenza di tale atto di rivolta, quanto, piuttosto, proprio da quella coppia di servi.

« Lurido figlio d’uno sciacallo! » gridò colui sino a quel momento rimasto chino a fungere da seggio per il burocrate, levandosi di scatto dalla posizione a cui era stato costretto fino a quel momento e catapultando, in ciò, il proprio stupefatto carico a terra « Hai finito di spezzarmi le reni con il tuo inutile peso! »
« Che tu sia maledetto! » esclamò l’altro, impiegato sino ad allora qual scrittoio, rovesciando immediatamente la tavola di legno precedentemente sorretta per poterla precipitare in contrasto al malcapitato e attonito scriba « Tu… e tutta la tua stirpe con te! »

Soffocato dallo stupore, dall’enfasi delle emozioni di cieco terrore derivante da quell’inconcepibile rivolta, qual solo sarebbe potuta esser da lui considerata, al magistrato non fu concessa neppure la possibilità di gridare, di invocare un qualche aiuto esterno, venendo subito sopraffatto dai proprio ex-servi, trattati alla stregua di meri schiavi. E nel mentre in cui uno dei due si accanì in suo contrasto con la tavola di legno, sino a quando questa non si frantumò in conseguenza di tanta violenza, di una simile e incontrollabile furia, l’altro non esitò a impossessarsi del ferro caduto dalle mani del carnefice ucciso al momento della sua cattura, unendosi immediatamente al compagno, animato in ciò, forse, dal timore di non poter sfogare a propria volta la frustrazione accumulata in anni di costanti umiliazioni prima dell’ormai inevitabile morte della loro preda. Una fine, quella del magistrato, che per sua fortuna giunse molto prima dell’esaurimento delle energie dei suoi assassini, i quali, nonostante frammenti di osso misti a cervella e interiora di ogni genere, si ritrovarono a essere proiettati in aria in conseguenza del proprio continuo e incessante attacco, non si dimostrarono soddisfatti, appagati, sino a quando le loro braccia non riuscirono più a sollevarsi per dimostrare ulteriore collera, per infierire con nuova brutalità su un ammasso di carne divenuto completamente irriconoscibile, privo di ogni parvenza di umana sembianza.

« Dei… » deglutì Ma’Sheer, sgranando gli occhi in conseguenza di tanta veemenza, di tanta impetuosità, nel dimostrare un sincero sentimento di timore qual pur neppure aveva offerto innanzi alla prospettiva concessagli dal ferro rovente nelle mani dell’ormai defunto Ma’Tahr.
« Io… dei… » concordò Be’Tehel, nel rinunciare a esprimere ogni altra considerazione e nell’osservare quasi con raccapriccio il risultato di quell’atto di rivolta da lui sino a quel momento esclusa, nella consapevolezza di come, almeno per quanto ricordato dalla Storia, il popolo eletto, in quel periodo oscuro, avesse adorato senza riserva alcuna la figura del faraone, giustificando, nel nome della sua divinità, ogni abuso, ogni sopruso, verso chiunque, uomini o dei.
« Lode a Thyres… » sospirò Midda, in netto contrasto con i sentimenti dimostrati dai propri compagni, non tanto nel godere di quella morte sì violenta, quanto, piuttosto, nel ritrovare, in contrasto a ogni ipotesi in senso contrario, la sola reazione da lei attesa in quella coppia di servi.

Probabilmente, a differenza dei propri camerata, ella avrebbe potuto essere giudicata più aperta, più sensibile, all’ipotesi di una rivolta, in quanto insofferente, per propria natura, nel profondo del proprio animo, a qualsiasi forma di limitazione, o totale privazione, del suo libero arbitrio, della sua fiera indipendenza, ragione principale per la quale, persino, ella era solita impegnarsi nelle proprie consuete e incredibili imprese, a dimostrare quanto neppure ciò comunemente definito con il termine “fato”, “sorte” o “destino” avrebbe potuto vincere in suo contrasto, in negazione alla sua volontà. O, forse, più accettabile, più ammissibile, simile idea, tale possibilità, sarebbe dovuta essere considerata per lei, in quanto usualmente immersa in un clima di intestina rivolta, qual solo sarebbe dovuto essere considerato quello pur presente tanto in Kofreya, regno da lei scelto qual propria sede, propria dimora, negli ultimi anni, quanto in Y’Shalf, suo vicino e giurato nemico, così come anche dimostrato dall’esistenza del brigantaggio, nell’uno, e della guerriglia, nell’altro, a comprendere, a riunire in un solo movimento organizzato ogni dissapore del lato più povero della popolazione in contrasto al potere sovrano. O, ancora, in lei, l’improbabile eventualità di quella reazione, di quella violenza, era stato allora incitato dalla bizzarra visita di quell’ipotetica serva giunta sino a loro poco prima del magistrato e del carnefice, lì spintasi non tanto per un improbabile compito di pulizia, quanto, piuttosto a voler ribadire l’esistenza di un desiderio non svelato di resistenza in contrasto al faraone, pur considerato di divina natura in quell’epoca, in quel regno.
Qualsiasi fosse stata la ragione, per lei, a supporto di tale ipotesi, qual ennesimo, e sicuramente non ultimo, azzardo della sua lunga carriera professionale, della sua intesa e incredibile vita qual guerriera e avventuriera, avrebbe dovuto comunque essere giudicata l’offensiva così scatenata in contrasto all’aguzzino nell’istante in cui, altrimenti, segnato sarebbe stato il fato del suo compagno figlio del deserto, là dove essa era stata da lei similmente condotta non solo per salvare lo stesso Ma’Sheer, ma, anche e soprattutto, nella speranza di poter ottenere, in conseguenza della medesima, un improbabile sostegno esterno, là dove, in assenza di esso, e nell’impossibilità a proseguire il suo precedente piano così come sperato, così come desiderato, ben misere sarebbero state le alternative loro offerte in quel particolare frangente. Tale scommessa, fortunatamente, l’aveva allora ritrovata qual vincitrice, in aperta e straorinaria negazione persino alla Storia per come, appunto, conosciuta dai suoi compagni di ventura, e, da loro, a lei più volte illustrata nel corso delle ultime settimane, nel tentativo permetterle di evitare ulteriori e pericolose ingenuità pari a quella inizialmente commessa nel rapporto con le guardie inviate contro di loro.