Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
martedì 30 giugno 2020
3323
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Non scherzavi nel dire che Nissa ti odia… » sottolineò Lys’sh, rivolgendosi all’amica, nonché alla diretta interessata dei discorsi che, ancora a debita distanza, stava allor promuovendo la loro antagonista, preparandosi all’attacco a discapito della città, discorsi che, in grazia al proprio udito, e alla potente voce della stessa, ella aveva potuto seguire alla perfezione, udendoli quasi come se Nissa fosse stata lì, in piedi, accanto a lei « … non credevo potesse esistere un risentimento simile in qualcuno. Forse, addirittura, supera persino quello che io avevo per Nero. »
« E Nero era colpevole di aver quasi completamente sterminato il tuo pianeta d’origine, uccidendo tutta la tua famiglia… » puntualizzò Duva, non avendo potuto seguire altrettanto puntualmente le parole di Nissa e, ciò non di meno, ritrovandosi a offrire fiducia al giudizio dell’amica ofidiana, in misura utile a preoccuparsi, francamente, di quanto odio avrebbe potuto animare il cuore della loro antagonista « … giusto per non dimenticare di chi stiamo parlando. » soggiunse, ad argomentare il senso del proprio intervento.
« Appunto. » annuì la prima, piegando le estremità della propria bocca priva di labbra verso il basso, in un’egualmente palese smorfia di disappunto.
« Vi ringrazio. » sorrise sarcasticamente la donna guerriero dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco, accanto alle sorelle d’arme « In effetti, non vi foste voi due a rammentarmi quanto Nissa mi odia, potrei forse dimenticarmelo. »
Midda Bontor, dall’alto delle mura della città, si voltò a osservare le fantasiose forme colorate alle proprie spalle, in un misto di inquietudine e di rammarico: inquietudine per il timore di non poter essere in grado di tenere federe al proprio ruolo di Campionessa, salvando quella capitale dall’apparentemente ineluttabile distruzione; rammarico per la consapevolezza del ruolo che, ancora una volta, stava spiacevolmente giocando a discapito di Lysiath, se pur, almeno in questa occasione, non propriamente in maniera volontaria. Anzi… esattamente in maniera non volontaria!
Purtroppo, che quanto stesse accadendo avesse a doversi intendere conseguenza di una sua scelta ponderata, piuttosto che di una sventurata fatalità, poco o nulla avrebbe avuto a importare nel rapporto con l’esito finale della questione: e dopo che ella, molti anni prima, aveva privato Lysiath di una delle proprie risorse più importanti, per quanto pur sottovalutata nel proprio valore; ella, ora, stava rischiando di privare Lysiath di molto altro… tipo della propria stessa libertà e del proprio diritto a esistere.
« C’è da dire che non porto propriamente fortuna a Lysiath… » sospirò la Figlia di Marr’Mahew, con aria mestamente rassegnata « Ogni volta che io passo da queste parti, le mappe della regione finiscono per dover essere modificate. » ammise, a offrire libero sfogo al proprio senso di colpa.
Spostando poi il proprio sguardo alle mura della città, schierati lungo le stesse non poté ovviare a cogliere gli uomini e le donne che, allora, avrebbero combattuto accanto a lei per la difesa di quel luogo: meno di un migliaio di anime, le loro, lì disposti con evidente irrequietudine lungo quella cinta fortificatrice, a osservare con aria smarrita la terrificante disparità esistente fra le proprie forze e quelle avversarie, disparità a confronto con la quale, necessariamente, non avrebbe potuto che essere loro promesso un triste fato di morte laddove, così come stavano lì impegnandosi a presentarsi, avessero insistito a voler offrire loro battaglia.
Unica consolazione, unica possibile speranza a confronto con una situazione altresì disperata, non avrebbe quindi potuto mancare di offrirsi l’idea di quanto, al loro fianco, altri non fosse che la celebre Ucciditrice di Dei, ascesa ora al ruolo di Campionessa di Lysiath, e, in questo, pronta a compiere tutto il necessario per sostenerli in quel conflitto, per proteggere la loro città, e tutti i suoi abitanti, a confronto con quella devastante minaccia. Ma se ella, in tutto ciò, rappresentava, allora, una consolazione per tutti loro, un effimero bagliore di speranza all’alba di quello che avrebbe potuto essere l’ultimo giorno di Lysiath e l’ultimo giorno delle loro esistenze, certamente non avrebbe avuto a dover ignorare la necessità di rivolgere loro una parola d’incoraggiamento, e una parola utile a dimostrare quanto ella, in quel frangente, avesse a doversi considerare presente al loro fianco, e pronta a compiere proprio quanto da loro atteso e anche di più.
« Figli e figlie di Lysiath! » richiamò quindi la loro attenzione, con voce imperiosa non meno rispetto a quella della propria gemella « In questa giornata, si scriverà la Storia della vostra città! » dichiarò, con parole oneste, prive di gratuita enfasi, laddove, obiettivamente, in quel giorno la Storia di Lysiath avrebbe avuto a essere scritta, tanto nel bene, quanto all’occorrenza nel male, o, addirittura, nella propria ultima pagina « Non voglio arrogarmi il diritto di dire “nostra” città, perché io sono giunta qui, lo sapete, come una straniera, recando con me soltanto l’annuncio di questo mesto evento… » specificò, per onestà intellettuale « … ma se io, al pari delle mie due amiche, siamo pronte a offrire la nostra vita nella difesa di queste mura, pur straniere; sono certa del fatto che a maggior ragione tutti voi, che qui vivete, e che qui, magari, siete anche nati, o avete visto nascere i vostri figli, non mancherete di combattere al nostro fianco con egual spirito di sacrificio. »
Duva aggrottò appena la fronte innanzi alla peculiare scelta di argomenti offerti dall’amica: pur comprendendo quanto, quel peculiare momento, avesse necessariamente a richiedere un discorso, e un discorso motivazionale, che potesse infondere coraggio in quegli uomini e in quelle donne, ella, personalmente, avrebbe forse omesso di riferirsi in maniera così insistente alla morte, in termini tali da farla apparire quasi ineluttabile nella propria occorrenza.
Ma forse, in un mondo come quello, animato da idee e morali a volte decisamente aliene a quelle con le quali ella era nata e cresciuta, quel genere di discorso non avrebbe avuto a doversi fraintendere così sbagliato… e, anzi, avrebbe avuto a doversi considerare il solo, unico e utile approccio alla questione.
« Non voglio mentire dicendo che vinceremo sicuramente. Che respingeremo di certo i nostri avversari. E che tutti noi, questa sera, ci ritroveremo in piazza a festeggiare il nostro mirabile trionfo, bevendo vino e cantando le gesta propria di questa gloriosa giornata. » proseguì ella, quasi in risposta ai dubbi dell’amica, motivando in tal maniera la propria peculiare scelta di parole « E’ possibile, è probabile, è certo che molti fra noi non rivedranno più i propri cari: io stessa ho lasciato i miei due figli, e l’uomo che amo, in quel di Kriarya, e prego Thyres affinché mi dia la possibilità di tornare da loro. Ma questo pensiero non mi negherà la possibilità di combattere qui, ora, per la difesa di Lysiath e di tutti quegli altri figli, di tutti quegli altri compagni e compagne che, dall’alto di queste mura, noi desideriamo proteggere. Anzi… è proprio questo pensiero a motivarmi maggiormente, e a motivarmi a dare tutto quanto io posso per assicurare loro un domani in contrasto a questa piaga. »
In quale altro modo poter descrivere, ormai, la propria gemella, se non qual una piaga?
Crudele da parte sua, forse, nel ben ricordare quanto ella fosse stata corresponsabile per la sua morte, e unica colpevole per il suo ritorno in vita: ma che Nissa Bontor, ormai, avesse trasceso la propria natura umana e fosse divenuta qualcosa di più, qualcosa di peggio, e qualcosa pari a una pestilenza… beh… difficilmente avrebbe potuto essere negato.
« Combattiamo insieme, figli e figlie di Lysiath! » incalzò quindi, levando il proprio pugno destro al cielo, a lasciar risplendere il metallo cromato dello stesso nel confronto con i primi raggi di quel nuovo sole, quasi come avesse lì improvvisamente preso fuoco e stesse ardendo della fiamma stessa del coraggio che, in quel momento, ella sperava potesse essere stato ispirato nei cuori di tutti loro « Combattiamo insieme in nome della vita. Combattiamo insieme per la luce e per il nostro diritto a goderne, oggi e ancor molti altri anni a venire! Combattiamo insieme per Lysiath e per tutti i suoi abitanti! »
lunedì 29 giugno 2020
3322
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Pur ancora a distanza dalla capitale, Nissa colse immediatamente la figura della propria gemella sul torrione, a osservare nella propria direzione esattamente come ella stava osservando nella sua, con un parallelismo speculare a modo suo inquietante, soprattutto a ben riconoscere il profondo antagonismo esistente fra quelle due donne, e quelle due donne, entrambe, semplicemente straordinarie. Perché se leggendaria, indiscutibilmente, Midda era divenuta in grazia all’incredibile follia delle proprie gesta, egualmente degna del mito avrebbe comunque avuto a dover essere considerata la sua meno celebre gemella, e quella figura rimasta per lungo tempo volontariamente più discretamente nell’ombra, a edificare, prima, e consolidare, poi, lontano da occhi indiscreti, il proprio dominio sui mari del sud, creando dal nulla la propria nazione pirata. Una nazione che, ormai, ella aveva purtroppo perduto… e che pur, in un macabro ma universale principio di compensazione, le era stata altresì restituita, in quel frangente, con quella nuova nazione, e quella nazione di non morti, in grazia all’aiuto della quale, alla guida della quale, avrebbe allora potuto edificare un regno di gran lunga superiore a quello che la morte le aveva negato.
Così, non soltanto ipotizzare, quanto e piuttosto lì visualizzare, l’ombra di un nuovo confronto, di una nuova battaglia, fra due tanto prodigiose figure, non avrebbe potuto ovviare a risultare sconcertante e terribile, quasi qual una guerra fra dei. E una guerra fra dei che avrebbe veduto qual proprio scenario la pacifica Lysiath, la più impreparata, fra tutte le capitali della pur belligerante Kofreya, a qualcosa del genere.
« Sbaglio o le porte della città sono ancora chiuse…? » cercò retorica conferma Nissa, apostrofando a uno dei propri luogotenenti, il più prossimo, in quel momento, alla propria posizione.
« Non sbagli, mia signora. » confermò questi, annuendo appena.
« Poco male. » si strinse ella fra le spalle, minimizzando l’ostacolo così costituito da quella pur temibile barriera « Anzi… meglio così. » si corresse persino, ribaltando completamente il proprio giudizio a tal riguardo « Se già, di per sé, Lysiath non rappresenta certamente la sfida più interessante che questo regno avrà a riservarci, l’idea di conquistarla per semplice resa avrebbe reso il tutto a dir poco imbarazzante, tanto per i suoi abitanti, quanto e forse peggio per noi. » puntualizzò, aggrottando appena la fronte.
Una fronte, quella di Nissa, lì tornata a offrirsi praticamente perfetta a confronto con i primi raggi di quel nuovo sole, scevra da qualunque ombra di putrescente piaga al pari del suo viso e del suo intero corpo: un corpo, in effetti, il suo sì mirabile nella pienezza della propria maturità, e più prossimo all’età propria di Rín rispetto a quella della sua gemella, che non avrebbe potuto ovviare a ispirare intensi sentimenti in chiunque si fosse ritrovato, all’occorrenza, a confronto con lei, nulla palesando, nulla tradendo, dell’evidenza del proprio stato, della propria condizione, e della propria condizione di non morta, suggerendo, al contrario, forse e persino maggiore vivacità rispetto a molti fra coloro altresì considerabili qual effettivamente vivi.
E Nissa stessa, pur morta, non avrebbe potuto negare di sentirsi straordinariamente viva, a confronto con quella nuova, insperata occasione per riscattare il proprio nome, per raccontare la sua versione della storia, e di una storia che, sino a quel momento, aveva veduto necessariamente protagonista la propria gemella, anche in grazia a quell’assurdo gesto di sacrificio da lei compiuto… e un gesto che, pur, chiaramente a nulla era stato poi concretamente utile, se il mondo, comunque, aveva proseguito egualmente in percorsi tanto folli da vederla, addirittura, riportata in vita in quell’inedita condizione.
« Ascoltatemi. » richiamò quindi l’attenzione degli uomini e delle donne al proprio seguito, lasciando ruggire la propria voce dal profondo del proprio petto, e imponendola, in ciò, nella frizzante aria mattutina, con l’irruenza propria di un tuono, e di un tuono l’eco del quale, persino, raggiunse le mura di Lysiath.
A quell’ordine, il già ordinato esercito alle sue spalle, quell’eterogenea mole di persone provenienti dalle più diverse regioni di quel mondo e non soltanto, idealmente divisi sotto ogni aspetto, e pur lì riuniti da un comune desiderio di rivalsa a discapito della Figlia di Marr’Mahew, di colei che, in primo luogo, aveva negato loro la vita; ebbe a scuotersi e a imporsi un ancor più rigoroso stato d’attenzione, e d’attenzione verso colei che per prima aveva dato riprova di meritare la loro fiducia, la loro fedeltà, impedendo loro di disperdersi in maniera caotica e priva di qualunque prospettiva, e riorganizzandoli in quella nuova forma, in quella nuova realtà, in quella nuova nazione, e in quella nuova nazione che, presto, si sarebbe imposta non soltanto su quella provincia o in quel regno, ma sull’intero continente, nell’assenza, obiettiva, di qualunque possibilità, per chiunque, di contenerne la minaccia.
« Ognuno di noi aveva la sua storia. Ognuno di noi aveva le sue ambizioni. Ognuno di noi aveva le sue speranze. Ognuno di noi aveva le sue motivazioni. Insomma: ognuno di noi aveva la sua vita. » proclamò Nissa, rammentando loro ancora quanto già perfettamente a tutti noto, e quanto pur, era importante, non avessero a dimenticare per il successo di quanto, allora, sarebbe stato loro richiesto di compiere « Mia sorella Midda Bontor ha privato ognuno di noi di tutto ciò, ha privato ognuno di noi della vita. E non faccio fatica a credere che non vi sia qualcuno fra voi che, in questo momento, non le strapperebbe volentieri il cuore dal petto a mani nude, per ripagarla di ciò. E non faccio fatica a credere che non vi sia, ancora, qualcuno fra voi che, proprio per questa ragione, non abbia a sollevare dubbi sul perché della mia richiesta, dell’unico dogma che vi ho imposto. » sancì, proseguendo nel proprio discorso « Quello di non avere a torcere neppure un capello a colei responsabile delle nostre morti! »
A conferma di ciò, e di quanto, malgrado ogni fiducia, malgrado ogni fedeltà da lei ispirata, in molti fra loro non avessero a condividere il senso di quell’imposizione, un quieto brontolio ebbe lì a levarsi dalle schiere lì radunate. Un brontolio che, comunque, non ebbe a preoccupare Nissa e che, al contrario, la motivò a proseguire in quanto, così, stava lì asserendo…
« Oggi uccideremo chiunque troveremo entro quelle mura. Uccideremo uomini e donne, anziani e bambini, nobili e popolani, sacerdoti e prostitute. Nessuno sopravvivrà al nostro passaggio. Nessuno. Tranne una persona. Tranne Midda Bontor, mia sorella! » ribadì pertanto, con tono fermo, malgrado ulteriori rumoreggiamenti a confronto con il nome della stessa « Ancora non abbiamo idea di come abbia a funzionare la nostra attuale condizione. Non sappiamo se coloro che uccideremo diverranno necessariamente come noi… e l’ultima cosa che, in questo momento, potremmo desiderare è offrire questo inaspettato dono dell’immortalità anche alla mia spiacevole gemella. »
I borbottii, prima in opposizione all’idea di preservare in vita la Figlia di Marr’Mahew, improvvisamente mutarono direzione, allineandosi alle parole scandite da Nissa: in effetti, per quanto tutti loro null’altro desiderassero se non la morte della loro antagonista, nessuno fra loro avrebbe desiderato rischiare di farla divenire loro pari, di concederle quella maledizione, o benedizione che dir si potesse volere. E, in questo, tutti non avrebbero quindi potuto che essere d’accordo con l’idea di ovviare a qualunque azione a suo discapito, laddove ciò avesse significato correre tale pericolo…
« Conosco bene la mia gemella. L’ho perseguitata per una vita intera. » riprese ancora Nissa, con un sorriso palesemente sadico sul volto, animata soltanto da sentimenti di rancore e di odio per la propria antagonista, per quella nemesi giurata « E vi posso assicurare che, per imporle davvero sofferenza, non è necessario ucciderla: è necessario uccidere tutti gli altri, e costringerla a restare l’ultima donna vivente in un mondo estinto. » dichiarò, in un manifesto a dir poco raccapricciante, e allor più che utile a entusiasmare gli animi di tutti coloro lì a lei circostanti « E questo è esattamente ciò che noi faremo! »
domenica 28 giugno 2020
3321
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Se una cosa si fosse dovuta criticare di Nissa Bontor, tale non avrebbe potuto certamente essere la mancanza di fede ai propri impegni, alla parola data, anche e soprattutto laddove tale parola avesse a dover essere intesa quale una terrificante minaccia. E di questo, proprio malgrado, la sua gemella Midda Bontor avrebbe potuto esserne indubbia testimone.
Nel giorno in cui Nissa le aveva promesso che mai avrebbe avuto pace, che mai si sarebbe potuta affezionare a qualcuno senza che ella avesse a sopraggiungere a uccidere il malcapitato, la sventurata o i disgraziati di turno, ciò si era imposto sulla sua vita al pari di una vera e propria maledizione, una condanna a morte sancita a punirla, in eterno, per quanto inteso al pari di un tradimento del proprio affetto, di quell’incommensurabile amore sororale che, con la propria infantile fuga notturna, con quell’allontanamento da casa alla ricerca del proprio futuro, del proprio destino, ella aveva oscenamente rinnegato. E mai, da quel giorno, Nissa era venuta meno al proprio impegno, impegnandosi a eliminare, un dopo l’altro, ogni suo amico, ogni suo affetto fosse stata in grado di raggiungere, fallendo solo nei confronti di coloro i quali, come Ebano, suo antico amante, ritiratisi per tempo in luoghi troppo lontani, troppo inaccessibili, estranei al mondo e sconosciuti a chiunque: dopotutto, per quanto dedita al proprio impegno persecutorio a discapito della sorella traditrice, neppure Nissa avrebbe potuto vantare di essere onnisciente, ragione per la quale, poche, rare eccezioni alla letale regola generale avrebbero potuto pur essere prese in esame. Escluse, tuttavia, queste poche, rare eccezioni, interminabile avrebbe avuto a dover essere intesa la lista delle persone uccise da Nissa, direttamente o indirettamente, persone che, addirittura, talvolta, ella si era persino divertita prima a torturare psicologicamente, a lei sostituendosi in grazia alla loro assoluta somiglianza. Così, per esempio, era stato con Salge Tresand, il primo amore della propria gemella, con il quale Nissa, dopo averla resa sterile, si era addirittura, e non senza una certa vena sadica, divertita ad avere un figlio, a imporre un altro, e più marcato sfregio a discapito della propria antagonista. E così, ancora, era stato con lady Nass’Hya, moglie di lord Brote di Kriarya, colpevole di essere divenuta amica di Midda e, in questo, punita con la morte, e con la morte per mano di chi, a tutti gli effetti, da lei altri non riconosciuta se non qual la stessa Midda Bontor.
No. Nissa Bontor non era certamente contraddistinta da mancanza di fede ai propri impegni, alla parola data. E, in questo, laddove aveva preannunciato alla propria gemella e alle sue amiche il proprio arrivo alle porte di Lysiath all’alba del nuovo giorno, ella non manco, appunto, di giungere all’alba del nuovo giorno, e di giungere conducendo seco la propria sconfinata armata di non morti.
« Per tutte le lune di Ronn-Ha’G… » strabuzzò lo sguardo Duva, a confronto, dall’alto di uno dei torrioni di Lysiath, con la vastità di quell’esercito, e di quell’esercito che già la notte del giorno precedente era apparso infinito e che, con la luce di quel nuovo giorno, non poté che risultar, se possibile, ancor più smisurato « Ma quanti sono…?! »
« Se sono coloro che temo siano, dovrebbero essere veramente tanti… » sussurrò Midda, storcendo le labbra verso il basso « … tipo tutti color che ho ucciso nel corso della mia vita, in questo e in altri mondi. »
« D’accordo. » annuì l’altra, con aria necessariamente sconvolta a confronto con tutto ciò « Forse non avevano tutti i torti a considerarti al pari di una piaga. » ammise, a metà fra il divertito e l’ironico, non priva, in tal senso, di una certa, incontrovertibile, inquietudine.
« Ora inizi a credere anche tu che il titolo di Oscura Mietitrice mi si possa addire… non è vero?! » aggrottò la fronte l’altra, tristemente malinconica a confronto con l’evidenza di simile verità.
Secondo-fra-tre, non il “suo” vicario, ma quello facente riferimento all’altra Anmel Mal Toise, alla nemica di Maddie, aveva fatto veramente un ottimo lavoro, nello spingerla a rievocare un simile esercito alla vita: una scelta quasi poetica, da parte sua, nel coinvolgere non qualche anonima figura non meglio riconoscibile giusto per far numero, quanto e piuttosto tutti coloro contro i quali ella aveva combattuto e vinto, e vinto a prezzo di sangue, nel corso della propria esistenza. Era stato intelligente e crudele, quel dannato vicario, nel porla in tutto ciò a confronto con l’enormità della propria colpa, la somma di tutti gli errori compiuti nel corso della propria vita e mai realmente riconosciuti qual tali, se non forse, giustappunto, in quegli ultimi mesi, da quando, proprio malgrado, ella aveva dovuto iniziare a fare i conti con l’eredità propria della regina Anmel, con il retaggio da lei reso proprio e, in ciò, con la duplice, e antitetica, natura di Portatrice di Luce e di Oscura Mietitrice. E proprio quando ella, per votarsi al servizio della vita ancor prima di quello della morte, aveva persino deciso di rifiutare di affiancarsi a un qualsivoglia genere di arma; quella sadica entità si era così impegnata a porta di fronte all’ineluttabilità del proprio passato, all’evidenza di tutto ciò che ella aveva fatto, e che, certamente, non avrebbe mai potuto cancellare, con tutto l’impegno del mondo.
E così, per quanto ella non avesse avuto mai occasione, nel corso della propria esistenza, di pentirsi per un solo omicidio da lei commesso, figlia di un mondo nel quale, dopotutto, la vita di una persona avrebbe avuto a esser valutata in misura inferiore a quella propria di un soffio d’oro, e di un mondo nel quale, ancora, la moralità non avrebbe avuto a dover intendere, effettivamente, qual omicidio, qual assassinio, una morte nel corso di un combattimento, di una battaglia o di una guerra; improvvisamente, posta innanzi alla minaccia di un futuro, di un destino da Oscura Mietitrice, degno dell’originale Mal Toise e, forse e persino, a lei superiore, così come la stessa non si era fatta scrupolo di augurarle, ella non avrebbe potuto mancare di rivedere le proprie posizioni, e quelle posizioni a confronto con l’evidenza delle conseguenze delle quali non avrebbe potuto ovviare a maturare un prima sconosciuto senso del pudore, un prima inimmaginato imbarazzo.
« Sono i miei sensi a ingannarmi… oppure sono praticamente tutti ritornati in condizioni di completa normalità…?! » domandò Lys’sh, prendendo voce a interrompere quel discorso privo di una qualche utile destinazione, per riportare l’attenzione delle compagne a qualcosa di più utile, almeno nell’immediato di quel non facile momento « La mia vita, lo sapete, non è un granché… ma non percepisco più quell’osceno tanfo di morte che li aveva contraddistinti l’altra notte! »
« In effetti… » confermò Duva, per poi aguzzare la vista a cercare di meglio cogliere, malgrado la non facile distanza, la situazione fisica dei loro antagonisti « … da così lontano, servirebbe un binocolo per esserne certi, ma credo e temo proprio che di zombie, quelle creature, abbiano ormai ben poco. »
« Ottimo… ho creato la commistione perfetta fra i non morti del mio mondo e i membri della Sezione I. » sospirò Midda, scuotendo nuovamente la testa, a meglio esprimere tutta la propria malinconica contrarietà a quella situazione « E l’ho applicata a tutti coloro i quali, nel corso della mia esistenza, sono caduti per mano mia… ossia gente che già, in vita, probabilmente non avrebbe potuto che essere risentita nei miei confronti, e che ora, con l’aiuto di Nissa, non avrà certamente a costituire nulla di buono… non per me, non per il resto della vita in questo pianeta. »
Purtroppo, giunte a quel punto, ogni recriminazione sarebbe stata vana, avendo a concernere qualcosa nel merito della quale alcuna operazione, alcuna scelta, alcuna decisione avrebbe potuto andare a influenzare, in un modo o nell’altro..
Motivo per il quale, allorché concentrarsi sul passato e su tutti gli errori commessi, dei quali avrebbe potuto dirsi consapevole o meno; quanto di meglio la Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto fare, sarebbe stato iniziare a concentrarsi esclusivamente sul momento presente e, con esso, su tutto ciò che sarebbe stato necessario compiere non soltanto per tentare di resistere all’assalto di quell’armata e, all’occorrenza, all’assedio che sarebbe allor conseguito, ma anche, e ancor più, per vincere quella sfida, dal basso della propria più svantaggiata situazione personale.
sabato 27 giugno 2020
3320
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Obiettivamente bizzarra avrebbe avuto a doversi intendere la situazione generale di Nissa Ronae Bontor, in un’assurda incoerenza di fondo fra la propria condizione fisica e la propria condizione mentale. Perché se, istante dopo istante, minuto dopo minuto, ora dopo ora, la sua condizione fisica, al pari di quella di tutti gli altri propri compagni non morti, stava mirabilmente andando a migliorare, vedendo tutti loro recuperare sempre più integrità nei propri corpi, e in quei corpi che, almeno inizialmente, avrebbero avuto a doversi intendere putrescenti, e che ormai, invece, sarebbero dovuti essere considerati praticamente integri, equivalenti a come avrebbero potuto vantare di essere prima della propria morte; allo stesso modo, in maniera inversamente proporzionale, istante dopo istante, minuto dopo minuto, ora dopo ora, la sua condizione mentale, stava rendendosi sempre più confusa, passando da una straordinaria chiarezza d’intenti iniziale a sempre maggiori dubbi, sempre maggiori esitazioni via via che il tempo passava.
Prima del proprio ritorno alla vita, o, quantomeno, a qualunque cosa potesse essere quella che allora ella stava vivendo, vi era solo l’oscurità a colmare i suoi ricordi. In un primo momento, invero, un’oscurità assoluta, inconsapevole persino della propria stessa dipartita, quasi non fosse mai occorsa e quasi, lì, in quella Biblioteca, ella si fosse appena svegliata, necessariamente intontita, dopo un lungo sonno, e un lungo sonno che l’aveva vista passare dalla propria isola, da Rogautt, sino a quel luogo inizialmente neppur meglio identificato. Solo dopo qualche istante, la prima immagine a fare nuovamente capolino all’interno della propria coscienza era stata quella della propria stessa morte, e di quella morte allor occorsa per mezzo della spada della propria gemella, e di quella spada sulla quale, praticamente, si era ritrovata quasi impalata. Ineluttabile, in ciò, un certo risentimento a discapito della propria gemella, e di colei che, in ciò, avrebbe avuto a doversi intendere responsabile non soltanto per i problemi che ella aveva avuto in vita, ma, addirittura, per la propria stessa morte e, in ciò, per quanto, ancor, conseguente a essa. Insomma: una quieta e solida sequenza di forti motivazioni utili per avere a riprendere, ancora da morta, il medesimo approccio avuto in vita, e quell’approccio volto unicamente a impegnarsi a rendere quanto più possibile miserabile l’esistenza della propria parente.
Più il tempo passava, tuttavia, e più nuovi ricordi riaffioravano alla mente, quasi come al mattino successivo a una brutta serata alcolica. Così, a distanza ormai di qualche ora dal proprio ritorno in circolazione, Nissa non soltanto aveva meglio rammentato le circostanze relative alla propria prematura e violenta dipartita, ma, anche, aveva rammentato di esserne stata, in buona sostanza, l’artefice. Suo figlio, il suo amato primogenito, era morto. Ed era morto in conseguenza alla follia di un oscuro spirito che si era insinuato in lei, che aveva iniziato, da tempo, a ispirarle strani pensieri, assurde fantasie: per sconfiggere tale spirito, per liberarsi di tale sempre più opprimente possessione, ella si era così votata al suicidio, qual a tutti gli effetti era stato il suo, nella speranza che, dalla follia di quell’oscena spirale di dannazione e morte potessero restare escluse, quantomeno, le sue figlie, le gemelle…
… Mera Ronae e Namile…
… che fine potevano aver fatto?
Ragion avrebbe voluto che fosse stata proprio sua sorella a prendersele in carico, non soltanto qual unica famiglia loro rimasta, quant’anche e soprattutto nel confronto con la propria, palese, responsabilità nella partecipazione alla sua morte. Purtroppo Nissa conosceva bene Midda. La conosceva, probabilmente, meglio di quanto Midda stessa non avrebbe potuto vantare di conoscersi, di comprendersi. E, in questo, avrebbe avuto a doversi intendere certa di quanto, sicuramente, le due bambine non erano entrate a far parte della sua quotidianità, affidate, nel migliore dei casi, alle cure del loro anziano padre, ammesso che fosse ancora in vita, o di qualche altro non meglio conosciuto parente, un cugino dimenticato nella loro isola natale.
Ovviamente Nissa non avrebbe potuto vantar alcuna certezza a tal riguardo. Ma il fatto stesso che ella stesse offrendosi ancor impegnata, palesemente, nella propria consueta quotidianità, in quella vita girovaga e scapestrata che da sempre aveva inseguito, affiancandosi a compagnie più o meno improvvisate e, pur, mai a lei legate da reali vincoli famigliari, non avrebbe potuto mancare di confermare quel sospetto dal sapor di certezza, quell’assioma, ancor prima che ipotesi, sulla forza del quale avrebbe avuto a potersi fondare tutto il proprio risentimento per lei, tutta la propria bramosia volta a vederla soffrire, a costo di spazzare via, in ciò, l’intero mondo a lei circostante. Forse, ma soltanto forse, se l’intero Creato avesse cessato di esistere, Midda avrebbe avuto, alfine, a veder placata l’irrequietezza del proprio animo, accettando di fermarsi, accettando di porre la parola fine a quel viaggio iniziato troppi anni prima, decenni in effetti, in quella notte in cui, senza troppe remore e, anzi, con una bugia sulle labbra, ella l’aveva abbandonata, ancora bambina.
Giunto il tramonto del primo giorno della loro nuova vita, per l’appunto, i corpi di Nissa e di tutti i suoi nuovi fratelli e sorelle, in quella negromantica rinascita, avrebbero avuto a doversi intendere, ormai, praticamente indistinguibili rispetto a quelli posseduti in vita, ancor segnati, nelle proprie carni, dalle più evidenti cause delle relative morti, ma ancor intenti a rigenerarsi, a risanarsi in termini tali per cui, di lì a breve, certamente, anche quelle ferite sarebbero scomparse, rendendoli del tutto indistinguibili da coloro che erano stati un tempo. Ma se pur, esteriormente, la loro apparenza era stata ripristinata, interiormente tutti loro erano ben consapevoli di quanto nulla, in essi, fosse più come un tempo: i loro cuori non battevano, il loro sangue non circolava all’interno di vene e arterie, i loro petti non abbisognavano di respirare, né, tantomeno, i loro stomaci di cibo o acqua. Allo stesso modo, la loro pelle non percepiva freddo o caldo, proponendosi indifferente tanto al tepore del sole diurno, quanto al freddo e all’umidità della notte incalzante; né le loro membra sembravano accusare affaticamento o le loro menti stanchezza: esistevano, ed esistevano in quanto tali, scevri da tutto ciò che era mai stata per loro vita, e pur, a modo proprio, nuovamente in vita. Perché se pur non mangiavano e non bevevano, se pur non avrebbero avuto necessità di respirare né avrebbero potuto essere feriti da arma mortale; le loro menti ragionavano, formulavano pensieri, a volte articolati e a volte, magari, stupidi, a volte arrabbiati e a volte ironici o, persino, divertiti… esattamente così come sarebbe stato per qualunque essere vivente…
… era quella la tanto temuta morte…?
No ovviamente no!
Quella non era la morte, così come non era neppure la vita. E pur, forse, essa avrebbe avuto a doversi intendere qualcosa di meglio persino rispetto tanto all’una, quanto all’altra: del resto, una quieta condizione di esistenza, e di esistenza immortale, aliena a qualunque caducità della carne, a qualunque limite proprio della vita, non era forse ciò che, normalmente, era solito esser attribuito agli dei…?!
« Cosa siamo diventati…? » domandò un uomo rivestito con il vivace rosso proprio della Confraternita del Tramonto, una delle più vaste organizzazioni mercenarie di tutta Kofreya, evidentemente caduto, come tutti loro, sotto i colpi della Figlia di Marr’Mahew, per chissà quale ragione, in chissà quale occasione, rivolgendosi a colei che, per prima, aveva dimostrato di possedere un certo margine di controllo sulla situazione, nel momento in cui alcun altro avrebbe saputo, realmente, cosa fare o, soprattutto, perché mai farlo « Siamo ancora noi stessi… o siamo dei mostri che assomigliano a ciò che eravamo…?! »
Nissa, a tale questione, non ebbe esitazione a rispondere, riservandosi l’occasione di un lungo, di certo espressivo e pur non fisiologicamente necessario, sospiro: « Come dal primo giorno delle nostre passate esistenze fino all’ultimo, ora e per sempre siamo e saremo ciò che vorremo: questa è l’unica legge che io accetterò mai di riconoscere, con buona pace di uomini e dei. »
venerdì 26 giugno 2020
3319
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« E’ finita. » commentò con soddisfazione Lys’sh, a margine di quegli eventi, ora con tono di voce leggermente più marcato e quietamente udibile anche da Duva e da un paio di sconosciuti loro circostanti.
« … come…?! » esitò un uomo accanto a loro, non comprendendo il senso di quel proclama e di quel proclama in favore del termine dello scontro, per quanto, in apparenza, ancor ben distante, benché la Figlia di Marr’Mahew avesse allor appena condotto a segno un piccolo successo.
« Osserva… » lo invitò allora Duva, invitandolo, con un lieve movimento del capo, a non spostare lo sguardo dall’evoluzione degli eventi, e di quegli eventi che, anch’ella, in accordo con l’amica, non riteneva avrebbero avuto a svilupparsi ancor per molto tempo.
In effetti, quasi in concomitanza alle parole delle due donne, delle due sorelle d’arme dell’Ucciditrice di Dei, ella ebbe lì a muovere il proprio secondo, e definitivo attacco, sfruttando il momentaneo vantaggio reso proprio da quel primo colpo, e quel momentaneo vantaggio che, oltre a concederle il proprio antagonista finalmente disarmato, lo avrebbe ancor più mostrato obbligatoriamente disorientato da quell’assurdo corso degli eventi, e quell’assurdo corso che, contrariamente a ogni razionale aspettativa, aveva appena visto una piccola donna, per lo più disarmata, riuscire a imporgli dolore fisico… a mani nude! Non sprecando, quindi, quell’occasione favorevole, la piccola donna scattò con nuova, mirabile agilità, rapidità, e precisione di movimento, al fine di arrampicarsi, letteralmente, lungo il corpo dell’antagonista, solo per giungere all’altezza del suo collo e lì, con tutta la forza propria del suo braccio mancino, e di quel braccio di carne e ossa che alcun dubbio avrebbe potuto vederle riservato nel merito della legittimità della propria vittoria, cingere, da dietro le di lui spalle, quel collo taurino, e cingerlo con forza, a impedire non tanto la sua respirazione, quanto e piuttosto la risalita di sangue al cervello e, in tal modo, a imporgli un’obbligata perdita di sensi.
E se pur egli non mancò, a tal punto, di agitarsi, di smuoversi nel tentare di afferrarla, di raggiungerla, di strapparsela di dosso, la disparità di dimensioni fra loro ebbe, lì, a esprimersi a proprio esplicito svantaggio, nell’imporgli una certa difficoltà d’azione, e una difficoltà d’azione enfatizzata, ancor più, dalla mole ipertrofica dei propri muscoli, e da quella mole ipertrofica tale da non concedergli sufficiente libertà di movimento per così come sarebbe stato allor utile per raggiungere la propria antagonista. E così, senza colpo ferire, letteralmente, ella pose fine a quell’incontro al primo sangue, non tanto, effettivamente, ottenendo da lui del sangue, quanto e piuttosto escludendolo, prepotentemente, dal confronto, nel precipitarlo, proprio malgrado, nelle tenebre dell’incoscienza.
E il tonfo con il quale tale conclusione fu segnata, risuonò incredibilmente all’interno della pur vasta e affollata piazza, nel silenzio generale che pur, in quel preciso frangente, si era venuto a creare attorno a loro, con un pubblico lì persino incapace, allora, di respirare, quasi un singolo fiato avrebbe potuto impedire loro di seguire, adeguatamente, l’evolversi degli eventi.
Fu così che, confermando la previsione di Lys’sh, l’incontro ebbe a finire. Ed ebbe a finire mostrando il colossale figlio dei regni desertici centrali a terra, privo di ogni barlume di coscienza, e la sua antagonista intenta a risollevarsi in piedi alle sue spalle, o, per meglio dire, dalle sue spalle, senza che, comunque, alcuna particolare esultanza venisse da lei offerta a celebrare quel successo: da parte sua, del resto, nulla di tutto ciò sarebbe stato meritevole di entusiasmo, nell’aver comunque, tutto quello, rappresentato soltanto una vana perdita di tempo a margine di una situazione nella quale il tempo non avrebbe avuto a poter essere sì scioccamente sprecato.
E se pur ella non ebbe a celebrare la propria vittoria, la folla lì circostante non esitò a farlo per lei, esplodendo, sonoramente, in un entusiastico boato.
« Lord Masshiad… il tuo campione è sconfitto! » dichiarò quindi la donna guerriero, enfatizzando, con il tono della propria voce, la parola “tuo”, a evidenziare quanto quell’uomo, pur apprezzabile avversario, avesse a doversi considerare campione solo ed esclusivamente per il signore della città e, chiaramente, non per il resto della popolazione locale, per così come, del resto, l’esultanza collettiva avrebbe avuto a poter comprovare, legittimandola qual Campionessa in misura sicuramente maggiore di quanto non avrebbe mai potuto considerarsi legittimato il suo predecessore, lì steso a terra.
« Non ho veduto il suo sangue. » puntualizzò egli, aggrottando la fronte a far emergere quel dettaglio, e quel dettaglio pur palesemente irrilevante nell’ordine di misura della situazione in generale, e nell’ordine di misura di un duello necessariamente allor terminato, e terminato con l’incontrovertibile sconfitta di Qa’Ruam.
Fu allora, però, che Midda Bontor colse al volo l’occasione offertale da quelle parole, e da quelle parole volte a recriminare su qualcosa di inconsistente, per riprendere voce e per approfittare della situazione al fine di rivolgersi a tutti i presenti e, idealmente, a tutta la cittadinanza della capitale…
« Non sono venuta sino a Lysiath per pretendere il sangue di qualcuno dei suoi figli, per diritto di nascita o di adozione. » proclamò ella, ad alta voce « Al contrario, io sono venuta qui per ovviare a vani spargimenti di sangue. Sono venuta qui per salvare la città da una minaccia che incombe su di essa, e che, all’alba di domani, potrebbe trasformare questa meravigliosa capitale, questa antica urbe dalla duplice natura, dal ricco passato, dal prospero presente e dal luminoso avvenire, in un triste e sanguinolento mattatoio. » sancì, decidendo di ricorrere a parole forti, sì, e pur, allora, speranzosamente utili a non permettere ad alcuno di poter minimizzare la gravità della situazione, per così come ella desiderava promuoverla, ad anticipare le misure che, di lì a breve, brevissimo, avrebbe avuto a pretendere fossero attuate per il bene di tutti loro « Il mio nome è Midda Namile Bontor, già Campionessa per la città di Kriarya. E domando ora al signore di Lysiath, a tutti i suoi nobili lord, e alla sua intera popolazione, di poter essere riconosciuta qual Campionessa di questa città, per permettere a essa, e a tutti i suoi abitanti, di sopravvivere alla dura prova che avrà ad attenderla fra poche ore! »
Masshiad storse le labbra verso il basso.
Dall’alto della propria alterigia, se fosse stato costretto a ridurre a una singola indicazione l’elenco delle cose che egli non avrebbe potuto sopportare nel corso della propria vita, certamente tale indicazione avrebbe avuto, allora, a dover riguardare coloro i quali, a prescindere dalla sua volontà, si impegnavano a tentare di forzargli la mano, per ottenere dei vantaggi, per vedersi riconosciuto un proprio, personale, tornaconto. E, in quel frangente, Midda Bontor stava chiaramente forzandogli la mano, rivolgendosi non soltanto a lui, ma a tutto il concilio dei nobili e all’intera popolazione per potersi veder riconosciuto quel titolo e, con esso, l’autorità che ne sarebbe conseguita: un’autorità superiore alla propria, un’autorità superiore a quella di chiunque altro in città e, paradossalmente, fosse sopraggiunto in quel momento lo stesso sovrano di Kofreya, superiore persino a quella del re, nulla potendole essere negato per l’assolvimento del proprio compito, e del proprio compito di tutela di quella capitale e dei suoi abitanti.
E per quanto lord Masshiad non avesse mai avuto ad apprezzare realmente di essere il signore di Lysiath, certamente non avrebbe mai voluto vedere la propria autorità venir sovrastata da alcuno… e, non di certo, da un’avventuriera arrivista sopraggiunta preannunciando imprecisate sciagure per l’immediato futuro della propria capitale.
Purtroppo, in quel particolare frangente nel quale egli stesso aveva avuto a spingere la propria interlocutrice, e aveva avuto a spingerla con la speranza di un esito differente, e opposto, a quello nel quale si era sviluppato e concluso il conflitto fra Qa’Ruam e la medesima Midda, egli non ebbe a potersi riservare molte alternative, a meno di non voler cercare un’improbabile deriva autoritaria sulla città. E una deriva a confronto con la quale, probabilmente, i primi ad abbandonarlo sarebbero stati proprio i suoi supposti gregari, quei nobili che, ben comprendendo la palese fine del suo mandato, non avrebbero certamente esitato a ripudiarlo in favore di un’altra, più affascinante, figura.
giovedì 25 giugno 2020
3318
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Proprio animata da un tale intento, da una simile volontà, una volta compresa la sequenza dei suoi colpi, quel progresso apparentemente imprevedibile, e pur costante, che avrebbe veduto alternare un fendente dopo uno sgualembro roverso, e un tondo dritto dopo un ridoppio roverso, così come, anche, un montante dopo uno sgualembro dritto; ella non si limitò più a seguire l’evolvere proprio di quell’offensiva, quanto e piuttosto ad anticiparla, e ad anticiparla per porsi, di volta in volta, non soltanto al di fuori della traiettoria di quei colpi sempre più terribili, quanto e piuttosto a portata di mano per reagire agli stessi, e per impegnarsi, quindi, a privarlo di quella pesante spada doppia, da lui maneggiata con la banalità con la quale, forse, chiunque altro avrebbe potuto gestire una spada corta. E sempre più terribili, invero, apparivano quei colpi nella crescente demotivazione psicologica che ella stava riuscendo a fomentare in lui, in un successo obiettivamente molto pericoloso, soprattutto ove, da parte propria, sarebbe stato sufficiente un banale errore, un semplice momento di distrazione o, peggio, di rallentamento, per essere raggiunta da quella lama, e da quella lama che, allora, non avrebbe certamente dimostrato pietà alcuna nei suoi riguardi, nel migliore dei casi mutilandola oscenamente, più di quanto non avesse già compiuto in passato la sua cara gemella Nissa, nel giorno in cui la privò del proprio arto destro, la sfregiò sul fronte sinistro del volto e, soprattutto, la rese sterile; o, peggio, uccidendola sul colpo, laddove, in fondo, una spada così pesante avrebbe potuto facilmente dividerla in due in un sol fendente.
L’inasprirsi di quel confronto, istante dopo istante, ovviamente non mancò di essere colto anche dal pubblico antistante, a iniziare da coloro i quali maggiore confidenza avrebbero potuto vantare nei riguardi dell’arte della guerra, prime fra tutte Duva e Lys’sh, e via via proseguendo in favore anche delle persone più estranee a ciò, e pur in grado di ben comprendere quanta furia, quanta rabbia quell’uomo stesse lì ponendo in ognuno dei propri gesti, e di gesti che, per quanto la propria avversaria avesse a doversi riconoscere disarmata e, persino, impegnata a non ricorrere al proprio arto metallico, stessero lì invocandone a gran voce il sangue e, all’occorrenza, la morte.
« Mio signore… forse dovremmo intervenire e interrompere lo scontro, prima che possa tradursi in una carneficina. » arrivò, addirittura, a suggerire una delle guardie al servizio del signore della città, preoccupato, obiettivamente, all’idea non tanto della possibile morte di Midda Bontor, quanto e piuttosto dell’ineluttabile reazione che, all’occorrenza, avrebbe potuto sconvolgere il pubblico a confronto con tale evento, conscio di quanto, almeno sino ad allora, il pubblico si fosse dimostrato animato da un chiaro favore per la donna guerriero, ragione per la quale, forse, non avrebbe avuto a doversi intendere saggio farla assassinare sotto al loro appassionato sguardo.
« E’ una sfida regolare. » sancì per tutta riposta lord Masshiad, scuotendo appena il capo « Interromperla ora, oltre a umiliare i contendenti, non risolverebbe la questione alla base di questo scontro. E dovremmo ricominciare tutto da capo… »
« Ma dovrebbe essere una sfida al primo sangue, non all’ultimo. » insistette la guardia, aggrottando appena la fronte a confronto con i colpi sempre più feroci dello sconosciuto Campione della città.
« Gli incidenti possono occorrere anche durante una sfida al primo sangue. » minimizzò il signorotto, stringendosi appena fra le spalle « Chiunque ne è consapevole… »
“Incidenti…” ripeté mentalmente l’altro, scuotendo appena il capo e non riuscendo, obiettivamente, a trovarsi d’accordo con il proprio lord, per quanto egli stesso avrebbe avuto a dover essere elencato fra coloro i quali, nel recentissimo passato, si era ritrovato posto a obbligato riposo da un violento attacco di quella stessa donna, e di quella stessa donna che, pur tramortendolo, non aveva comunque attentato alla sua vita o alla sua incolumità, con un incedere ben diverso da quello che, lì, stava allor contraddistinguendo Qa’Ruam.
Nel frattempo di ciò, comunque, la ferocia di quegli attacchi non stava riuscendo a riservarsi alcun reale risultato, ragione per la quale, ineluttabilmente, nel colosso d’ebano, la furia non avrebbe potuto che continuare a crescere.
E fu a seguito di un ridoppio roverso, quando ella si ritrovò a essere certa sarebbe quindi seguito un tondo dritto, che decise di attuare il proprio azzardo. E un azzardo che, allora, ebbe a concretizzarsi in un rapido movimento non tanto di elusione, quanto e piuttosto di offensiva, e di offensiva, in ciò, diretta a un preciso, piccolo punto celato fra l’enorme braccio e il voluminoso petto dell’uomo, in prossimità alla sua ascella, e un piccolo punto nel quale avrebbe lì avuto a doversi intendere presente un nervo, e un nervo che, ove opportunamente stuzzicato, avrebbe allor imposto un dolore insopportabile al medesimo, e un dolore che, con un po’ di fortuna, l’avrebbe allora sorpreso al punto tale da costringerlo a perdere il controllo sulla propria arma, lasciandola cadere a terra.
Certo: se soltanto ella avesse potuto fare ricorso al proprio braccio destro l’intera questione sarebbe stata molto più semplice, e semplice nella misura nella quale si sarebbe limitata a bloccare il progresso di quella spada, strappandogliela poi dalle mani e riducendola a pezzi, non diversamente da come già aveva riservato proprio a lord Masshiad poco prima. Ma così facendo, la sua vittoria sarebbe stata subordinata all’impiego di quel braccio, e di quel braccio intendibile qual stregato dalle ristrette possibilità di comprensione del pubblico lì antistante. E l’ultima cosa della quale, in quel frangente, ella avrebbe potuto abbisognare, sarebbe stata un’accusa di stregoneria, a confronto con la quale difficilmente avrebbe mai potuto poi rivendicare il ruolo di Campionessa di Lysiath.
Dovendo agire altrimenti, ella non avrebbe potuto, in tutto quello, ovviare completamente a qualche rischio, primo fra tutti il rischio di non riuscire, obiettivamente, a raggiungerlo, a raggiungere il punto nevralgico, o a imporgli sufficiente stimolazione, nella tracotanza di quella muscolatura, da provocare quella scarica di dolore utile a disarmarlo. Ma se nella propria vita ella avesse dovuto sempre aspettare di essere sicura di riscuotere successo nel proprio operato, difficilmente sarebbe mai arrivata a essere la donna che era divenuta, probabilmente neppure fuggendo di casa quella notte di tanti, tanti lustri prima.
E se nessuno avrebbe potuto attendersi quell’evoluzione, quella particolare scelta da parte sua, a partire dallo stesso Qa’Ruam, almeno una persona, tuttavia, avrebbe avuto lì a doversi intendere in quieta attesa di ciò: Lys’sh, la quale, contraddistinta dalla propria consueta attenzione all’evoluzione degli eventi, non soltanto aveva già intuito a sua volta quella quieta ripetibilità di colpi da parte dell’uomo, ma, ancor più, aveva intuito quanto anch’essa, sicuramente, dovesse averla colta e potesse essere interessata a sfruttarla e a sfruttarla a proprio vantaggio. E nell’escludere un qualche impiego del suo arto meccanico, a confronto con una tanto palese disparità fisica, soltanto un’azione più mirata avrebbe potuto riservarsi una qualche speranza di successo: una leva, magari, o, per così come lì, in quel momento, stava occorrendo innanzi al suo attento sguardo, la sollecitazione di un nervo.
« Bravissima! » si complimentò la giovane donna rettile, sussurrando fra sé e sé a confronto con tutto ciò, un attimo prima che ciò avvenisse.
E quando l’idea ebbe a essere tramutata in azione, quanto tutti videro fu l’ennesimo ridoppio e, subito dopo di esso, la Figlia di Marr’Mahew comparire, improvvisamente, quasi fra le braccia del proprio antagonista, solo per andarlo a colpire, in maniera estremamente mirata, in prossimità all’ascella.
Un colpo apparentemente semplice, un colpo ipoteticamente inutile. E pur un colpo che, allora, vide il gigantesco Qa’Ruam emettere un alto grido di dolore, nel mentre in cui, per così come da lei auspicato, la sua destra fu costretta ad aprirsi, e a lasciar ricadere pesantemente a terra quell’arma non meno colossale rispetto a lui.
mercoledì 24 giugno 2020
3317
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
“D’accordo… una spada mi farebbe comodo.”
Un’ammissione semplice e intellettualmente onesta, quella che Midda volle rendere propria innanzi all’evidenza della situazione, e di una situazione nella quale, volendo oltretutto ovviare a impiegare il proprio arto destro per evitare contestazioni a posteriori, ella non avrebbe potuto negare l’evidenza di un chiaro svantaggio a confronto con un nemico armato, e un nemico, oltretutto, armato di una sì temibile arma.
Ciò non di meno, l’assenza di una spada al proprio fianco, per quanto spiacevole, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa ragione utile per arrendersi, né fisicamente, né tantomeno psicologicamente. Certo: ella non avrebbe potuto ovviare a provare una sincera nostalgia all’idea della spada bastarda che per lunghi anni l’aveva accompagnata in mille e più avventure, e quella spada, oltretutto, dono di un fabbro suo amico e legata, in ciò, a una storia, e a una storia molto particolare. Ma la nostalgia di quella propria vecchia compagna di ventura non avrebbe potuto in alcun modo ritrovarsi a essere giustificazione per arrendersi innanzi alla situazione… anzi. Entro certi versi, ciò avrebbe avuto a dover essere piuttosto inteso qual sprone emotivo utile a incalzare oltre, a dimostrare a sé stessa, e agli dei tutti, di essere ciò che ella era a prescindere dalla presenza di una spada al proprio fianco, così come della possibilità di impiegare le straordinarie capacità di quel braccio robotico conseguenza del suo periodo fra le stelle del firmamento.
Ovviamente, per quanto non demotivata, quindi, dalla disparità impostale dalla dinamica propria di quel confronto, per un lunghissimo, primo arco temporale, la Figlia di Marr’Mahew si ritrovò comunque costretta a rendere proprio un approccio difensivo ancor prima che offensivo, reagendo in maniera passiva alle azioni attive del proprio antagonista, con la necessità di eluderne i gesti, di evaderne gli attacchi, sottraendosi, di volta in volta, ai fendenti e ai montanti, ai tondi, agli sgualembri e ai ridoppi, con tutta la propria agilità, con tutta la propria rapidità e, perché no?..., con tutta la propria eleganza in ciò, offrendo, allo sguardo del pubblico, quella che quasi avrebbe avuto a potersi fraintendere qual una bizzarra danza ancor prima che l’evidenza propria di un combattimento.
E a margine di ciò, per quanto, per l’appunto, intellettualmente onesta con se stessa nell’ammettere, con estrema semplicità, quanto una spada avrebbe potuto farle allor comodo; ella non mancò di ricorrere a tutto il proprio brioso mordente al fine di rifiutare qualunque addebito psicologico in quel confronto, proponendosi, al contrario, a proprio quieto agio in quella situazione, quasi nulla di diverso avrebbe potuto sperare di ottenere in quel frangente…
« Ora comprendo il perché di quei muscoli… » ironizzò a un certo punto « … sono il minimo indispensabile per poter sollevare in aria quell’assurda spada! »
« Hai mai pensato di passare a qualcosa di più pratico…?! » suggerì in un altro momento « … che ne so, un tronco d’albero o qualcosa del genere. Di certo sarebbe più maneggevole rispetto a quell’oscena arma! »
« Forse, se tu preferissi qualcosa di meno impegnativo, potresti riuscire a essere un po’ più rapido nei tuoi movimenti… » ipotizzò ancora « … per carità: è vero anche che con la mole che ti devi trascinare dietro, è già tanto che tu riesca, in effetti, a muoverti. »
Al di là di quelle facili provocazioni, comunque, la donna guerriero non avrebbe potuto negarsi di riconoscere al proprio avversario un giusto attestato di stima per tutto il suo impegno, e un impegno tutt’altro che fine a se stesso: i suoi movimenti, in effetti, avrebbero avuto a doversi intendere tutt’altro che lenti, la sua abilità con quella immane spada tutt’altro che scontata e, obiettivamente, anche la sua ipertrofica muscolatura non stava lì risultando, per lui, di particolare ostacolo nel proprio incedere. Insomma: chiunque fosse quel Qa’Ruam, al di là della propria giovane età, non era certamente uno sprovveduto. E se soltanto non ci avesse lasciato la pelle prima del tempo, avrebbe potuto vantare di possedere tutte le carte in regola per poter divenire, in futuro, un nuovo Ebano, in una facile associazione mentale, o, comunque, un guerriero egualmente celebre.
Ovviamente, però, sarebbe potuto crollare il cielo prima che ella potesse ammettere una qualunque forma di stima nei suoi riguardi… soprattutto nel mentre di quel combattimento. E non per qualche particolare motivazione d’orgoglio, quanto e piuttosto per non negarsi l’unica risorsa che ancora avrebbe potuto vantare a confronto con lui in quel frangente: l’impegnarsi a demolirlo psicologicamente ancor prima che fisicamente, piantando in lui il seme del dubbio e del dubbio di non poter essere in grado di vincerla a prescindere da tutto il proprio sforzo, da tutto il proprio più che onesto impegno.
Del resto, la di lei fama leggendaria, ancor prima che sulle proprie mirabolanti imprese, avrebbe avuto a doversi intendere fondata proprio sulla di lei capacità a lasciar credere di non poter essere vinta. Tecnica che, del resto, ella aveva quietamente appreso nel corso degli anni da tutte le creature contro le quali si era ritrovata schierata, creature notoriamente contraddistinte da descrizioni quali “invincibile” o, meglio ancora, “immortale”, salvo poi, puntualmente, cadere sotto i colpi della sua spada.
“Basta che ora non diventi io la creatura…” si ritrovò a ponderare nel profondo del proprio cuore, anche in riferimento all’irrisolto, e probabilmente irrisolvibile, nodo dell’eredità propria della regina Anmel Mal Toise e di quell’eredità che, non di buon grado, l’aveva così vista mutare potenzialmente fronte, passando dalla schiera degli eroi, a quella, purtroppo, dei mostri.
Ovviamente il suo avrebbe avuto a doversi intendere un giuoco pericoloso, in una sfida fisica e psicologica al proprio antagonista, e in una sfida che si sarebbe, quindi, giuocata tutto sulla di lei prontezza di riflessi in risposta alla fantasiosa iniziativa del proprio antagonista, così come sulla tenacia di entrambi a non arrendersi, a non permettere a quell’apparente stallo di demotivarli.
Ma se ella, dalla propria, avrebbe potuto pur vantare la serenità mentale propria di chi perfettamente conscia dei suoi limiti, e di quei limiti che aveva avuto occasione di esplorare, ampliamente, nel corso degli anni, e di lunghi anni di sfide improbabili se non, addirittura, impossibili; egli, proprio malgrado, avrebbe avuto a difettare in tal senso, proponendo, piuttosto, l’irrequietezza propria della gioventù, e di quella gioventù tale per cui se il risultato non fosse stato ottenuto al più presto, la questione avrebbe avuto a perdere di senso. E così, istante dopo istante, minuto dopo minuto, l’ago della bilancia, inizialmente in potenziale sfavore della Figlia di Marr’Mahew, non poté che muoversi, via via, a suo sostegno, suggerendo quanto, alla fine, la sfida sarebbe stata vinta, per l’appunto, da lei se non fosse stata intrapresa una nuova iniziativa da parte dell’uomo.
« Cagna maledetta… » gemette quindi Qa’Ruam, a denti stretti, in un sussurro che pur non sfuggì alla donna, ritrovando in lei soltanto ragione di quieta soddisfazione a confronto con il crescente nervosismo dell’antagonista « … vuoi smetterla di saltare come un grillo e affrontare con serietà questa sfida…?! » la incalzò, in un’accusa quasi ridicola, e pur, allora, più che trasparente di quanto il di lei approccio lo stesse cuocendo psicologicamente a puntino.
Fu allora che, effettivamente, la donna guerriero iniziò a cambiare il proprio interesse, non più puntando semplicemente all’evasione da quegli attacchi ma a qualcosa di più. E a qualcosa che, con il favore degli dei, o anche senza, a lei poco ciò era da sempre interessato, l’avrebbe potuta portare a porre la parola fine su quel confronto, concedendole così e speranzosamente l’occasione utile per preoccuparsi della vera sfida alla quale, tutti loro, avrebbero avuto a dover rivolgere le proprie attenzioni, le proprie premure.
martedì 23 giugno 2020
3316
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Per Rahkis… » imprecò il colosso, dimostrandosi ancora cosciente dopo quell’attacco e, in ciò, già palesandosi più che degno d’ammirazione da parte della stessa donna guerriero, la quale avrebbe avuto a doversi considerare certa che egli sarebbe crollato, e sarebbe crollato a terra come un sacco di patate in conseguenza alla violenza da lei riversata contro la sua cervice, evidentemente più dura di quanto non avrebbe già potuto apparire « … sei agile, per essere una vegliarda! »
« Se accetti un consiglio, al posto tuo eviterei di insistere ancora a lungo sul tema della vegliarda… » commentò per tutta risposta la Figlia di Marr’Mahew, riacquistando posizione eretta dopo essere necessariamente rotolata a terra in un paio di capriole a seguito di quel colpo acrobatico « … io posso ancora ancora tollerare, ma non sono certa che la mia amica accetterà tranquillamente la cosa a lungo. »
In verità, da parte di Qa’Ruam, non avrebbe potuto mancare di proporsi, in quel frangente, una certa stima a confronto con l’evidenza di quanto accaduto, in un gesto così fluido, con naturale, e pur così atleticamente ammirabile, il quale, proprio in quanto posto in essere da una donna non più esattamente giovanile nella propria età, non avrebbe potuto che suscitare una certa, giusta, considerazione e considerazione di lode, al di là del proprio, rispettivo, ruolo di avversari in quella sfida.
Ammirazione o meno che, tuttavia, avrebbe avuto a poter animare la mente dell’uomo in quel frangente, ella era, e restava, un’avversaria, e un’avversaria che egli avrebbe dovuto abbattere, pena non soltanto la sconfitta in quell’incontro ma, peggio, la perdita di qualunque credibilità stesse lì cercando di riservarsi in quanto guerriero. Certo: sfidare l’Ucciditrice di Dei non avrebbe avuto a dover essere inteso, in tal senso, una scelta savia, nel ben considerare la lunga, interminabile sequenza di suoi predecessori in tale sforzo, e sforzo da lei, puntualmente, vanificato. Ciò non di meno, egli non avrebbe mancato di impegnarsi con tutte le proprie energie a tal fine, nella speranza, in ciò, di poter quindi legare il proprio nome, per sempre, non soltanto alla gloria del titolo di Campione di una capitale kofreyota, quanto e soprattutto all’idea di colui che aveva sconfitto Midda Bontor.
Così, quasi nessun colpo fosse stato imposto alla sua nuca, al di là di quanto, invece, era appena avvenuto, Qa’Ruam non si perse d’animo e, dopo aver lasciato, in ciò, a lei l’onore e l’onere della prima mossa, scelse, sicuramente in maniera troppo avventata, di tentare di accaparrarsi, a propria volta, un successo a di lei discapito. Un errore, da parte sua, non soltanto a livello pratico, ma anche e ancor più a livello teorico, laddove, in effetti, sebbene l’iniziativa fosse stata pretesa, nel precedente attacco dalla donna guerriero, tale iniziativa era stata da lei abilmente gestita, rigirata nella propria stessa dinamica, in termini tali per cui, allorché una prima mossa, quella di lei avesse ad apparire, piuttosto, qual una prima reazione, sfruttando l’impeto di un attacco improbabile, qual quell’affondo privo di spada, al solo scopo di smuoverlo, di costringerlo ad agire e, in ciò, di spingerlo a scoprirsi per così come era accaduto e per così come, ancora una volta, e in maniera decisamente troppo avventata, egli non tardò a volersi nuovamente riservare occasione di fare.
Così, quando il colosso d’ebano si spinse a discapito della donna, caricandola pesantemente con la propria mirabile mole, e una mole il semplice impatto con la quale avrebbe potuto non soltanto travolgerla ma, all’occorrenza, persino ucciderla, quasi la carica di un toro; ella ebbe a poter godere della piacevole occasione di una nuova possibilità di reazione a suo discapito, in quello che, obiettivamente e da sempre, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual il suo più importante punto di forza in un duello. E restando immobile sino all’ultimo, quasi avesse a doversi intendere atterrita dalla violenza di quella carica e dalla dolorosa promessa che la stessa stava rendendo propria in ciò, ella ebbe ad agire soltanto all’ultimo istante utile, scomparendo, quasi letteralmente, dalla di lui traiettoria solo per ricomparirgli prima di lato e poi alle spalle, e lì cercare, con un nuovo movimento perfettamente misurato, con un nuovo calcio, una nuova occasione di offensiva a suo discapito.
Ovviamente ella non ebbe, realmente, a scomparire e a ricomparire dal percorso del proprio antagonista, sebbene tale non poté che essere l’impressione per la maggior parte dei numerosi testimoni di quella sfida: il di lei movimento, infatti, ebbe a offrirsi tanto rapido, e tanto perfettamente coordinato nelle proprie tempistiche, da non poter mancare di risultare a dir poco sovrumano, seppur semplice espressione di una umanissima preparazione all’arte della guerra o, più precisamente, del combattimento. E solo coloro egualmente preparati in tal senso, prime fra tutti Duva e Lys’sh, poterono allor apprezzare la semplicità della rotazione che ella ebbe a concedere al proprio corpo, quasi un passo di danza, per eludere la carica del proprio antagonista, permettendogli di passarle oltre e, al contempo, caricando quel calcio roteato in grazia al quale spinse il tallone del proprio piede destro a cercare, in maniera estremamente precisa, l’incavo del retro del ginocchio sinistro di lui, con violenza sufficiente, in un punto tanto sensibile, da costringere l’articolazione a piegarsi e, seppur a piegarsi nel proprio naturale verso d’azione, a piegarsi nel momento meno opportuno per lui, e più opportuno per lei, in termini tali da fargli perdere completamente il controllo del proprio stesso movimento, della propria avanzata, e, in ciò, da farlo ruzzolare, sonoramente e pesantemente a terra, quasi travolgendo il pubblico attorno a loro.
Un grido, così, ebbe a sollevarsi non tanto da parte di Qa’Ruam, quanto e piuttosto delle persone che, rapidamente, dovettero balzare di lato nel rischio, altresì, di essere da lui dolorosamente travolte, in una carica che, rispettosa di un palese principio di inerzia, non soltanto non si sarebbe arrestata tanto presto ma, peggio, avrebbe potuto, all’occorrenza, produrre persino qualche ignara vittima collaterale, nello sgradevole impatto con una simile, nerboruta massa…
« Chiedo venia. » apostrofò allora la Figlia di Marr’Mahew in direzione della gente, sinceramente dispiaciuta dell’imperdonabile assenza di controllo, da parte sua, del moto del proprio antagonista in conseguenza all’attacco da lei impostogli, attacco che, fortunatamente, non ebbe comunque a coinvolgere alfine alcun altro al di fuori del diretto interessato « Forse, tuttavia, sarebbe opportuno per la vostra sicurezza che ci lasciaste un po’ di spazio in più… » soggiunse, invitando quindi i presenti, anche con un eloquente gesto delle proprie mani, ad aprirsi maggiormente attorno a loro, per contenere il rischio di nuovi, involontari danni collaterali.
E laddove tutti quanti, senza esitazione alcuna, ebbero lì ad agire, e ad agire immediatamente nei termini da lei richiesti, ciò non poté che far ben sperare la stessa Midda Bontor per il destino di Lysiath, ove la medesima fiducia e il medesimo ascolto le fossero stati egualmente tributati anche nel momento in cui, al termine di quello scontro, ella avesse assunto il titolo di Campionessa di Lysiath e avesse comunicato alla popolazione della capitale il proprio piano, la propria idea per cercare di salvare loro la vita e, al contempo, evitare di rinunciare, completamente, a quell’urbe, concedendo facile vittoria alle folli pretese della propria, rediviva gemella.
Chi, tuttavia, in tal frangente, non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual animato da benevoli propositi verso di lei, avrebbe avuto a dover essere considerato, ovviamente, l’imponente Qa’Ruam, il quale, al di là di tutta la propria sicumera iniziale, stava dimostrando, suo malgrado, l’evidenza dei propri indubbi limiti nel confronto con quella donna, e quella donna che, di lui, si stava così facendo beffe senza, in effetti, neppure entrare nel vivo di un reale combattimento. Ragione per la quale, non desiderando continuare a essere deriso, né esplicitamente, né implicitamente, un ulteriore istante di più, egli decise di non procrastinare ulteriormente la questione, sfoderando la propria colossale spada e impugnandola, saldamente, nelle proprie mani, nella volontà, in tutto ciò, di sfruttare quell’elemento di disparità fra di loro, e quella disparità conseguente alla di lei mancanza di armi al proprio fianco.
lunedì 22 giugno 2020
3315
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Se davvero preferivano che le cose avessero ad andare così… bene: le cose sarebbero andate così. Non sarebbe certamente stata proprio ella a sottrarsi alla prospettiva di una sfida.
« Sono pronta. » confermò la donna guerriero più celebre di quell’angolo di mondo, se non, forse, dell’intero continente, annuendo appena.
Pochi, in quel di Kofreya e regni limitrofi, avrebbero potuto dichiarare, in fede, di non aver mai sentito parlare della leggendaria Midda Bontor: da almeno vent’anni, infatti, le cronache delle sue gesta si impegnavano ad arricchire il già pur praticamente sconfinato repertorio di bardi e cantori, cantastorie e menestrelli, offrendo continui spunti narrativi per animare le serate di grandi e piccini in ogni città, borgo o paesello, in lotta contro una chimera o contro un tifone, contro uno scultone o contro una sirena, senza escludere ovviamente cerberi e gorgoni, anfesibene e ippocampi. Insomma: qualunque genere di creatura, nota e non, mitologica o destinata a diventare tale, avrebbe potuto considerarsi partecipe alle avventure della straordinaria Figlia di Marr’Mahew, in termini tali per cui, obiettivamente, ella stessa avrebbe avuto a doversi intendere già entrata nel mito, seppur ancora in vita.
E se, per diverso tempo, ella era scomparsa dalla circolazione, alimentando ogni qual genere di fantasiosa ipotesi nel merito di quanto potesse esserle accaduto, negli ultimi mesi aveva iniziato a diffondersi la notizia del suo ritorno da un misterioso viaggio. Ritrovarsi, quindi, posti a confronto con una tanto celebre figura, e, addirittura, avere occasione di assistere, in una posizione chiaramente privilegiata, a un suo duello, non avrebbe potuto ovviare non soltanto a incuriosire, ma, addirittura, a entusiasmare il pubblico lì attorno, che si affollò chiudendosi attorno ai contendenti a creare una sorta di arena circolare attorno a loro, e un’arena non costituita da mattoni e pietre, quanto e piuttosto dalla più originale massa di gente. Massa di gente che, comunque, nel giro di quei primi, pochi minuti, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual già cresciuta all’inverosimile, in una rapida diffusione della notizia di quello scontro, e di quello scontro che, nessuno, si sarebbe quindi voluto perdere.
Uno scontro, quello, che, negli intenti propri del signorotto, avrebbe avuto a dover vedere, ipoteticamente, il campanilismo degli abitanti di Lysiath prevalere anche al di sopra della fama della donna, e che pur, purtroppo, non ebbe a manifestarsi nei termini da lui augurati, per così come molte voci di sostegno, di supporto, ebbero a testimoniare in favore della supposta invaditrice, e pur di un’invaditrice decisamente più apprezzabile, agli occhi di una buona parte del pubblico, non soltanto rispetto a quell’anonimo Campione, quanto e piuttosto, anche, rispetto allo stesso lord Masshiad, che pur, nella propria vita e nel proprio ruolo, non aveva mai fatto nulla per meritarsi un qualsivoglia attestato di stima.
Una fiducia, quindi, pura e semplice conseguenza della sua popolarità, e di una positiva popolarità tale, persino, da obliare all’idea che a lei avrebbe avuto a dover essere anche imputata la scomparsa della grande Biblioteca, quella che stavano così tributando all’Ucciditrice di Dei, che non poté mancare di indispettire lo stesso signore di Lysiath, il quale, francamente, non avrebbe potuto immaginare che quella potenziale usurpatrice avrebbe mai potuto vantare un simile seguito fra il popolo. Un seguito che, dal proprio punto di vista, non poté ovviare a essere considerato, francamente, qual molto pericoloso… e pericoloso nella misura utile da spingerlo a prendere in esame altre alternative rispetto al puro e semplice confronto con Qa’Ruam.
« Anche io. » annuì il Campione di Lysiath, avanzando di un passo in direzione della propria avversaria, nel mentre in cui molti, forse e persino troppi, fischi ebbero ad accompagnarne quel nuovo ingresso in scena, e nella scena propria di quella piccola arena all’interno della quale sarebbe quindi occorso lo scontro.
Raramente Midda avrebbe avuto a dover essere riconosciuta solita riservarsi l’onere della prima mossa: non potendo certamente vantare, praticamente a prescindere dal proprio antagonista di turno, né una forza maggiore, né un peso maggiore, né una stazza maggiore, esporsi nell’incognita della prima mossa sarebbe stato, per lei, un arduo scommettere, soprattutto laddove posta, all’occorrenza e come in quel momento, a confronto con una controparte del tutto sconosciuta nelle proprie effettive capacità guerriere. Purtroppo, però, il fattore tempo, in quella giornata ormai giunta quasi al meriggio, avrebbe avuto a dover essere inteso troppo importante per potersi permettere occasione utile a tergiversare, fosse anche e soltanto per attendere che quel colosso d’ebano si decidesse ad avanzare verso di lei; ragione per la quale, quindi, trasgredendo il proprio consueto incedere, ella scelse di rendere propria la prima mossa.
Così, non appena il gigantesco Qa’Ruam ebbe a posizionarsi all’interno di quell’improvvisata arena, ella scattò in avanti, con incedere deciso, procedendo a discapito del proprio avversario per così come avrebbe potuto avere ragione di compiere se soltanto avesse avuto in pugno una spada e, con essa, si fosse ritrovata desiderosa di portare a termine un affondo dritto verso il suo ventre. Purtroppo per lei, in quel momento nessuna spada avrebbe avuto a estendere, a completare il proprio arto mancino, ragione per la quale la scena non poté quasi che apparire parodistica nel veder quello scricciolo di donna avere a slanciarsi, con supposta ferocia priva di pratico riscontro, a discapito del proprio titanico antagonista. E se, a quel gesto, improvvisamente il silenzio più assoluto ebbe a calare nella piazza, quasi tutti stessero lì allor trattenendo il respiro nel timore di potersi, altresì, perdere una qualunque evoluzione della situazione; l’unico a non potersi dire obiettivamente impressionato da tale azione non mancò di essere proprio il Campione, il quale, al contrario, non poté mancare di domandarsi se, all’occorrenza, quella presunta eroina non avesse del tutto perduto il cervello, forse come conseguenza di qualche demenza senile.
Conscio di non poter correre, allor, alcun rischio, a meno di non voler prendere in considerazione l’assurda idea di un’improbabile lama invisibile, e di una lama invisibile lì impugnata dalla propria controparte, l’arrogante Qa’Ruam non poté mancare di intendere, a confronto con tutto ciò, l’ennesima conferma di quanto, obiettivamente, quella sfida avesse a intendersi nulla di più di una farsa, per così come subito gli era risultato evidente nel confronto visivo con la propria avversaria. E, senza neppure sforzarsi di avere a estrarre la propria di lama, e una lama che, nelle dimensioni, avrebbe avuto a dover essere intesa qual una spada a due mani per chiunque altro; egli si limitò a piegarsi appena in avanti, pronto per agguantare quel bizzarro animaletto noto con il celebre nome di Midda Bontor.
« E, così, termina il nostro scontro… » suggerì egli, sottovoce, forse rivolgendosi alla propria stessa avversaria, e a quell’avversaria orai giunta fra le sue braccia.
Ma se, un attimo prima, ella avrebbe avuto a doversi intendere praticamente spacciata, un attimo dopo ella ebbe a dimostrare quanto erronea avesse avuto a dover esser intesa una simile semplificazione, erronea nella misura allo a lei utile per scomparire da davanti a quell’uomo ricomparendogli, inaspettatamente alle spalle, dopo aver compiuto un salto degno della più straordinaria atleta, della più fiera acrobata, e una salto che, trovando un primo punto d’appoggio sull’enorme polso teso verso di lei, e un secondo punto d’appoggio sulla di lui vigorosa spalla, la condusse a roteare al di sopra della sua testa, solo, così, per poter guidare entrambi i propri talloni, or uniti, in un doppio calcio, un duplice affondo, dritto in contrasto a quella glabra scatola cranica, con una corrispondenza fra idea e azione così straordinaria da non riuscir a risultare, obiettivamente, umana, per quanto nulla, in tutto ciò, fosse stato compiuto in virtù di abilità estranee alla sua pur semplice natura di comune umana.
Mirabile e doloroso, così, non poté che risultare quel gesto, e quel gesto che vide risuonare quella scatola cranica in maniera quietamente udibile da chiunque attorno a loro, almeno entro il limitare delle prime due o tre file, ritrovandosi poi accompagnato da un’esplosione di esultanza collettiva nel ravvisare quanto, al di là di qualunque possibilità di dubbio, la rossa lì impegnata in combattimento altro non fosse, né più, né meno, che l’incredibile Figlia di Marr’Mahew… la sola che, in tal maniera, avrebbe potuto lascia apparire quasi banale qualcosa di ben estraneo a qualunque senso di banalità.
domenica 21 giugno 2020
3314
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Ne ho sconfitti di più grossi… » banalizzò Midda, ammiccando appena in direzione dell’amica « … e sai che non esagero nel dirlo. » puntualizzò, offrendo riferimento psicologico a un colossale minotauro, o, per meglio dire, tauriano, con il quale, in tempi non lontani, si era ritrovata impegnata a combattere.
« … sarà… » esitò Duva, non desiderando certamente porre in dubbio l’abilità guerriera della propria amica e, ciò non di meno, non potendo neppure ovviare a riservarsi qualche legittimo dubbio sulla semplicità di quella sfida, e di quella sfida a confronto con la quale, personalmente, non avrebbe potuto gradire ritrovarsi… non, quantomeno, senza un adeguato supporto logistico.
A margine, tuttavia, delle perplessità della propria amica, la Figlia di Marr’Mahew decise allora di avanzare ancora di un passo in direzione della controparte, prima di sancire, ad alta voce, affinché tutti potessero udirlo e nessuno potesse riservarsi dubbi di sorta a tal riguardo, il proprio programma.
« Il mio nome è Midda Namile Bontor e la mia storia la conoscete certamente ormai tutti. » annunciò, non soltanto in direzione di lord Masshiad o di Qa’Ruam, quanto e piuttosto di chiunque fosse lì attorno presente in quel momento, dalle guardie cittadine sino ai più semplici e inconsapevoli popolani « Ho domandato al signore di Lysiath di poter essere investita, anche solo temporaneamente, del titolo di Campionessa della vostra città, nel desiderio: non per un capriccio personale, quanto e piuttosto nella spiacevole consapevolezza di quanto, purtroppo, una minaccia sia prossima ad abbattersi contro queste mura e contro ognuno di voi, e nella volontà di tentare di compiere quanto necessario per salvarvi tutti quanti, per così come, molti anni fa, occorse anche in quel di Kriarya. » espose i fatti o, quantomeno, una versione estremamente concisa dei fatti, e pur una versione sufficientemente priva di ambiguità a tal riguardo « E per quanto mi piacerebbe poter condividere la vana illusione di lord Masshiad nel merito delle possibilità del vostro attuale Campione, Qa’Ruam, limitandomi a seguire il consiglio rivoltomi e a fare ritorno a Kriarya; non potrei essere in pace con la mia coscienza se ora lo facessi, abbandonandovi al vostro destino. E al vostro destino di morte. »
« Non esiste minaccia che io non possa sconfiggere. » proclamò Qa’Ruam, evidentemente mancando di umiltà, nel levare le braccia al cielo, a meglio dimostrare, attraverso la possanza dei suoi muscoli, tale presa di posizione « La tua coscienza può restare in pace, Midda Bontor. » suggerì poi, con un sorriso sornione verso di lei « Io sono più giovane di te, più grosso di te, più forte di te… e, in questo, non può esistere sfida che tu possa superare meglio di quanto non potrei fare io! »
« La tua tracotanza tradisce la tua inesperienza, ragazzo. » dichiarò la donna guerriero, scuotendo appena il capo a confronto con tali parole e ricorrendo volontariamente all’uso del termine “ragazzo” per rigirare l’affermazione da lui espressa nel merito della propria giovinezza in suo stesso contrasto, non qual motivo di vanto, quanto e piuttosto qual ragione di demerito « Mi dispiace per te, ma in molti sono stati coloro i quali hanno creduto di potermi vincere, sovente anche giovani gagliardi tuo pari… e, a oggi, nessuno è mai riuscito nel proprio intento, ha mai riportato successo nelle proprie brame in mia opposizione. »
« Desideri forse sfidarmi, vegliarda…?! » sorrise, ribattendo per toni alla sua provocazione.
E se Midda Bontor, a quelle parole, si limitò a inarcare un sopracciglio, ben consapevole di quanto la propria età, nel suo mondo natio, avesse a doversi intendere meritevole di tale definizione, laddove, in fondo, sua nonna Namile non avrebbe avuto a dover essere fraintesa più vecchia rispetto a lei quando ella era bambina; di ben diverso avviso ebbe a essere Duva, al suo fianco, la quale, provenendo da una realtà contraddistinta da un’aspettativa di vita ben più lunga di quella propria di quel mondo, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual abituata a considerarsi già prossima, se non completamente, nella terza età: dal proprio punto di vista, ella, così come Midda sua coetanea, avrebbero avuto a dover essere intese due donne al pieno della propria maturità fisica, in uno stato di grazia che probabilmente di lì a qualche anno avrebbero anche potuto rimpiangere, ma che, attualmente, non le avrebbe mai vedute guardare con nostalgia al passato, e a età più verdi rispetto alla loro.
Ritrovarsi, quindi, a confronto con quel nerboruto giovinastro desideroso di prendersi giuoco di loro dal basso di un’età forse dimezzata rispetto alla loro, non avrebbe potuto che irritare, spiacevolmente, la stessa Duva, in termini tali per cui, non fosse stata certa sarebbe stata la propria sorella d’arme a far rimpiangere a quell’idiota la propria supponenza, si sarebbe certamente impegnata in prima persona a tal senso.
« Certo che desidera sfidarti! » eruppe pertanto, prendendo voce al posto dell’amica, nell’avanzare di un passo verso di lui « E ringrazia che sarà lei a sfidarti e non io… almeno la tua sconfitta sarà legata a un nome importante qual il suo! Perché, se così non fosse, ti giuro che ti trascinerei personalmente nella polvere, costringendoti a baciarmi le suole degli stivali come sola e giusta punizione per te!… »
« … e per fortuna che era dubbiosa nel merito della sfida… » sussurrò Lys’sh, con aria divertita, scuotendo appena il capo a confronto con quelle parole.
A confronto con le parole della seconda donna lì schierata accanto alla Campionessa di Kriarya, il Campione di Lysiath restò per un attimo disturbato, non credendo che, francamente, anche le amiche della celebre Figlia di Marr’Mahew potessero vantare un egual caratterino e una simile bramosia di antagonismo in sua opposizione e, più in generale, in opposizione a un avversario contraddistinto da una fisicità imponente qual la propria, a confronto con la quale tutte loro avrebbero potuto essere quietamente schiacciate in un sol istante. Dopo quell’istante iniziale, tuttavia, egli decise di gettare il capo all’indietro e impegnarsi in una tonante risata, e una risata che esplose direttamente dal profondo della propria gola, risuonando trasparente di tutta la propria più sincera ilarità a confronto con ciò.
« E sia! » accordò egli, annuendo sorridente verso la seconda donna « Dopo che avrò sconfitto la Campionessa di Kriarya, accetterò di sfidare anche le sue compagne senza nome e senta titolo, se esse lo desidereranno. Affinché nessuno possa ulteriormente porre in dubbio mio valore. Non oggi, né mai! »
« Popolo di Lysiath, miei nobili lord e lady della città: la sfida è stata lanciata ed è stata accettata! » proclamò immediatamente lord Masshiad, con il sorrisetto soddisfatto di chi aveva appena veduto ogni pezzo sulla scacchiera muoversi nella giusta direzione, per così come da lui desiderato « Midda Bontor, già Campionessa di Kriarya, sfiderà ora il possente Qa’Ruam, Campione di Lysiath, per rivendicarne il titolo! » insistette, a meglio evidenziare quanto stesse accadendo in favore di coloro i quali, all’occorrenza, potessero non averlo immediatamente compreso, fosse anche e soltanto in conseguenza di una posizione non adeguata a seguire, nel dettaglio, l’evoluzione degli eventi « E che gli dei possano accompagnare il nostro Campione alla vittoria dei giusti, affinché nessuna straniera abbia a poter più avanzare simili, assurde pretese a discapito della nostra straordinaria città! »
Midda lascio il lord libero di proclamare il proprio assurdo manifesto politico, decidendo di non aver a voler sprecare ulteriormente il proprio tempo in futili chiacchiere, preferendo, piuttosto, liberarsi al più presto del Campione, prima, e poi dell’arrogante signorotto, poi: già troppo tempo era stato sprecato, tempo che sarebbe stato utile per attuare il proprio piano, e il proprio piano che, istante dopo istante, vedeva continuamente abbassarsi le proprie possibilità di successo in conseguenza a un tanto, stolido, atteggiamento da parte dello stesso lord Masshiad, e di tutta la messinscena che, così, aveva voluto riservare alla popolazione della capitale, distraendoli dall’idea decisamente più importante di un imminente catastrofe, qual pur ella aveva tentato di annunciare, salvo ritrovarsi posta in secondo piano dall’ingombrante figura del proprio attuale, nuovo avversario.
sabato 20 giugno 2020
3313
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Ovviamente né Duva, né Lys’sh attesero un invito per seguire l’amica, entrambe già portando le mani alle proprie armi, per essere pronte, nell’immediato, a estrarle e a combattere, per così come, purtroppo, stava apparendo evidente sarebbe stato necessario compiere, di lì a breve: l’una, al solito, armata con una spada, appesa al fianco sinistro per poter essere rapidamente sguainata dalla destra; l’altra con una coppia di pugnali dalle lunghe, ma sottili, lame, quasi degli stiletti, legati dietro la schiena in maniera simmetrica, a poter soddisfare tanto la destra, quanto la sinistra.
In effetti, nel loro variegato trio, la sola a non presentare, paradossalmente, alcuna arma al proprio fianco avrebbe avuto a dover essere intesa proprio colei che per prima avrebbe avuto a dover essere riconosciuta famosa per la propria propensione alla guerra, al punto tale da essersi visto attribuito, anche, il titolo di figlia della dea della guerra, la Figlia di Marr’Mahew. Non una casualità, comunque, quell’insolita mancanza, quanto e piuttosto una specifica scelta da parte sua, e una scelta di cui, pur, ella stava iniziando francamente a pentirsi, nel non voler certamente garantirsi facili occasioni per cedere nuovamente alla violenza, e alimentare, di conseguenza, la propria indole da Oscura Mietitrice, ma, ciò non di meno, ben consapevole di quanto, nel corso del tempo, per lei le armi non fossero mai state semplicemente degli strumenti, quanto e piuttosto delle estensioni del proprio stesso corpo, estensioni di cui, attualmente, ella si era imposta proibizione con tutto il conseguente disagio fisico e psicologico che non avrebbe potuto mancare di conseguire a ciò. Oltre che, talvolta, anche un non banale svantaggio pratico in certe, talune situazioni di conflitto, e in quelle talune situazioni di conflitto nelle quali, con indubbia frequenza, ella si ritrovava sovente a essere coinvolta.
« Lord Masshiad… » apostrofò, per prima, la stessa Midda Bontor, appellandosi in ciò direttamente al signore della città « … sono lieta che tu stia tenendo fede al nostro accordo. » annunciò, enfatizzando volutamente quel riferimento al discorso rimasto in sospeso fra di loro, e quel discorso che, pur, ella temeva essere ormai completamente sfumato « Perché, ovviamente, tu desideri tenere fede al nostro accordo… » ribadì, a tentare di rendere praticamente retorica la questione.
Giunti a meno di trenta piedi di distanza, lord Masshiad e gli uomini al suo seguito arrestarono il proprio avanzare, sotto gli sguardi ora incuriositi di tutta la popolazione lì attorno che, ineluttabilmente, non poté evitare di iniziare a rumoreggiare nel tentare di comprendere cosa potesse star accadendo. Di certo, vedere il signore di Lysiath, seguito da una così vasta delegazione di propri subalterni non avrebbe avuto a dover essere inteso qual un evento comune. E, altrettanto certamente, sentir una persona, una donna, rivolgersi con simili, dirette parole al suo indirizzo non avrebbe avuto a dover essere inteso, egualmente, qual un evento comune. Se poi, in tali parole, palese avesse a dover essere riconosciuto il riferimento a un non meglio chiarito patto, ineluttabile sarebbe stato per tutti avere di che parlare e sparlare, nel tirare a indovinare tanto l’identità di quella sconosciuta dai rossi capelli, quanto di qual genere di accordi potesse star parlando.
A frenare, tuttavia, il crescere del rumoreggiare fra i popolani, non mancò di intervenire la voce dello stesso signore di Lysiath, il quale, incrociando le braccia al petto e sfoggiando un sorriso tutt’altro che accomodante, anticipò, con quel linguaggio non verbale quanto, presto, il linguaggio verbale e paraverbale si sarebbero certamente impegnati a ribadire, nel confermare, sgradevolmente, ogni timore proprio della sua interlocutrice...
« Midda Bontor. » scandì il nome di lei, a dimostrare di non essersi dimenticato della di lei identità, suscitando, involontariamente, un incremento nel brusio a loro circostante, in un pur prevedibile moto di sorpresa generale al pensiero che “quella” Midda Bontor potesse essere lì a Lysiath « Tu mi hai domandato di poter essere investita del titolo di Campionessa di questa città, per ergerti a protezione della medesima e di tutti i suoi abitati. E, credimi, qual signore di questa capitale, consapevole del prestigio che circonda il tuo nome, non potrei che essere lieto di farlo. » mentì spudoratamente, in parole che risuonarono così false da non meritare neppure un qualche commento da parte della sua interlocutrice, in attesa dell’inevitabile “ma” che sarebbe necessariamente seguito a tale preambolo « Tuttavia… nell’emozione della sorpresa conseguente alla tua richiesta, pocanzi, mi è sfuggita l’evidenza di un importante dettaglio: questa città possiede già un Campione. E ammesso che non sia il qui presente Qa’Ruam a rinunciare, volontariamente, al proprio ruolo, né io, né nessun altro, in tutta Kofreya, potrà riconoscerti quanto desideri. » sancì, offrendo riferimento, in tal senso, al gigantesco figlio dei regni desertici centrali alle sue spalle.
Ovviamente, sino a un quarto d’ora prima, Qa’Ruam non era Campione di Lysiath. Non perché, all’occorrenza, non avrebbe potuto vantare credenziali atte a ciò, quanto e piuttosto perché, molto semplicemente, Lysiath non aveva mai avuto necessità di un Campione, né avrebbe potuto immaginare di averne necessità.
Quanto, con estrema malizia, lord Masshiad aveva quindi compiuto, allo scopo di non concedere soddisfazione alle richieste dell’Ucciditrice di Dei, era stato agire in maniera estremamente rapida a scegliere un altro Campione e un Campione che, all’occorrenza, avrebbe potuto riconoscersi idealmente perfetto per tale ruolo, al solo, esplicito scopo di poter quindi negare alla donna guerriero tale soddisfazione, a meno che ella non avesse a desiderare tentare di conquistare con la forza il titolo da lei richiesto.
« Qa’Ruam… Campione di Lysiath. » lo interpellò quindi il signorotto, volendosi direttamente al colosso alle sue spalle « Desideri tu rinunciare al tuo ruolo e cedere tale carica, con tutti gli onori e gli oneri da ciò derivanti, alla qui presente Midda Bontor, già Campionessa di Kriarya? »
E se Qa’Ruam non esplose a ridere, poco ci mancò, per così come l’espressione oscenamente divertita sul suo volto ebbe allora ben a evidenziare.
Chiunque egli fosse, qualunque fosse la sua storia, nell’essersi visto attribuito, anche per riservare un semplice dispetto a quella donna, il titolo di Campione di Lysiath; si era parimenti vista riconosciuta una meravigliosa occasione di gloria, alla quale non avrebbe certamente rinunciato tanto facilmente, non in favore di Midda, non per alcun altro al mondo.
« Che la Campionessa di Kriarya torni alla città del peccato. » sancì quindi il colosso d’ebano, parlando con voce profonda, seppur palesemente ilare « Qualunque minaccia possa imporsi in contrasto a Lysiath, troverà me, Qa’Ruam, a difenderla! »
« D’accordo… abbiamo già inteso il tipo di individuo… » sospirò Duva, a margine di ciò « Tanto stupido quanto vanaglorioso. » scosse appena il capo « Tiragli due schiaffi e facciamola finita… » suggerì quindi, in direzione della propria sorella d’armi, facendo ovvio riferimento al braccio destro di lei, e a quel braccio che, in grazia alla forza dei servomotori alimentato all’idrargirio, le avrebbe garantito non soltanto di poter competere al pari di quell’individuo, per quanto nerboruto, ma anche di esserle quietamente superiore.
« Non funziona così… » scosse appena il capo l’altra, escludendo quell’eventualità « Se lo sconfiggessi per grazia della mia protesi, non mi sarebbe mai riconosciuto il titolo di Campionessa, nelle tutt’altro che illegittime accuse di stregoneria che mi potrebbero essere rivolte. » puntualizzò, piegando l’angolo macino della bocca verso il basso, in una smorfia di disappunto « Se sfida dovrà essere, non potrò impiegare il mio braccio per vincerlo: solo così non vi potranno essere recriminazioni di sorta legate al mio trionfo. »
« … ah… » commentò la prima, inarcando ora il sopracciglio destro con aria incerta e passando con lo sguardo, ripetutamente, fra l’amica e il gigante « Ti rendi conto, vero, che un suo braccio è circa il doppio di una tua gamba…?! Lo sottolineo nel caso tu non te ne fossi accorta, nell’incalzante e frenetica successione di eventi… »
venerdì 19 giugno 2020
3312
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« … “essa”? » ripeté Lys’sh, inserendosi nel discorso con aria dubbiosa nel merito della scelta di quel particolare pronome, in riferimento a Nissa.
« … beh… è uno zombie! » replicò l’altra, aggrottando appena la fronte nel confronto con la perplessità sollevata dall’amica « Immagino che “essa” sia una scelta migliore rispetto a “ella”. No…?! »
« Uno zombie alquanto particolare, però… » osservò la donna rettile, riflettendo ad alta voce « Non che possiamo vantare chissà quale ampia esperienza a tal riguardo, ma a quanto ci ha spiegato Midda, Nissa e il suo esercito non sembrano avere nulla a che fare con la consueta idea di non morti propria di questo mondo. Anzi… »
« In effetti. » confermò la Figlia di Marr’Mahew, così tirata in causa « Oltretutto… è stata una mia impressione, o sembrava quasi che stessero lentamente, ma costantemente, riacquistando un aspetto sempre più vitale? Quasi fosse in corso un processo di decomposizione all’incontrario… »
« Non è stata una tua impressione. O, quantomeno, non è stata solo una tua impressione… » annuì Lys’sh, confermando quell’idea « Anche a me è parso che, istante dopo istante, i loro corpi stessero cercando di ritornare in vita. O qualcosa del genere. »
« Per quanto non mi entusiasmi ammetterlo, anche io ho avuto la stessa sensazione. » confermò allora Duva, annuendo a sua volta « In effetti, non mi stupirei se ora di domani si presentassero del tutto indistinguibili da delle persone normali… »
« … il che aprirebbe scenari a dir poco raccapriccianti. » rifletté Midda « Se già l’idea di aver contribuito a generare un esercito di guerrieri immortali non mi potrebbe entusiasmare, prendere in esame l’eventualità che, magari, in questo stesso momento, qualcuno di loro si stia già infiltrando nella città sfruttando una parvenza assolutamente normale potrebbe compromettere ogni strategia che potremmo essere in grado di elaborare a difesa della stessa. »
« Credi che tua sorella potrebbe agire in maniera tanto subdola…? Per come ne hai parlato, mi ha dato l’impressione di non avere paura a muoversi in campo aperto, allorché ricorrere a simili stratagemmi. » replicò la donna dalla pelle simile a bronzo e dagli occhi dorati.
« Evidentemente eri un po’ distratta quando ho raccontato di come abbia infiltrato uno dei suoi uomini a bordo della Jol’Ange, per uccidere, sotto i miei occhi, tutti i membri dell’equipaggio. O quando ho raccontato, ancora, di come si sia addirittura impegnata a fingere di essere me per arrivare a uccidere il mio mecenate, lord Brote, finendo col colpire sua moglie. O quando… » elencò la donna, a metà fra l’ironico e il sarcastico, salvo essere interrotta nel proseguo di ciò dall’amica, più che disposta a rivedere la propria precedente posizione a confronto con simile, ricca, argomentazione.
« D’accordo! D’accordo! » levò le mani in segno di resa Duva, scuotendo appena il capo « Credo che tu sia riuscita a rendere chiaro il concetto. » ammise « Diciamo che, sì, l’idea che Nissa possa approfittare di ciò infiltrare dei suoi uomini all’interno della città appare quantomeno sensata… e spiacevole nella propria formulazione. »
Fu proprio in quel momento, però, che a distrarre le tre donne dalle proprie elucubrazioni, e dai propri timori, nel merito delle possibili iniziative che Nissa avrebbe potuto rendere proprie per complicare loro la vita; intervenne un gran clamore, e un gran clamore proveniente dal fronte dell’interno della città, lungo la via principale che, dal centro della medesima urbe, avrebbe condotto sino alla porta nei pressi della quale era stato dato loro l’appuntamento da parte di lord Masshiad: una larga delegazione di persone appariva, allora, lì in movimento, opportunamente scortata da un ancor più amplio rappresentativo di guardie. E se il signorotto non aveva loro mentito, tale larga delegazione altro non avrebbe avuto a dover essere intesa se non qual il concilio di tutti i principali lord della città, coloro alla presenza dei quali, allora, Midda Bontor avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuta qual nuova Campionessa di Lysiath.
« Direi che ci siamo. » suggerì speranzosa la diretta interessata, levando la mancina a indicare, alle proprie amiche, il gruppo in avvicinamento.
Alla testa di quella delegazione, nel momento in cui la confusa folla di persone lì già presenti ad animare la vita della capitale iniziò a diradarsi per cedere loro il passaggio, fu proprio il signore di Lysiath a emergere ben visibile, accompagnato da un gruppetto di cinque guardie armate. E se, per quattro delle quali, Midda e le amiche non poterono ovviare a ipotizzare di aver già avuto precedente occasione di incontro, nella sensazione, pur priva di concrete possibilità di conferma, di aver già avuto a che fare con loro durante l’improvvisato assalto al palazzo del feudatario; la quinta guardia non poté ovviare a spiccare nel gruppo. E non soltanto nel gruppo di guardie, ma nel gruppo più in generale, nell’intera delegazione, fra ogni altra guardia lì presente e, in effetti, anche al di sopra di chiunque, in senso lato, in quel momento lì attorno.
« Oh cielo! » esclamò Duva, sgranando gli occhi a confronto con la quinta guardia.
« Ma è un essere umano o cosa…?! » domandò Lys’sh, non meno stupefatta rispetto all’amica.
« … a costo di apparire qual la solita paranoica, lasciatemi dire che sento odore di guai. » si limitò a puntualizzare Midda, storcendo appena le labbra verso il basso.
I guai di cui Midda avvertiva, crescente, l’odore, avrebbero avuto a potersi descrivere, nella fattispecie, aventi le sembianze di un colosso di non meno di sette piedi di altezza, per un peso improponibile, ma sicuramente non inferiore alle duecentosettanta libbre, e duecentosettanta libbre, lì inequivocabilmente definibili, di soli muscoli: in tale maniera, a livello estremamente sommario, avrebbe avuto a poter essere riassunto il quinto uomo lì in avvicinamento al seguito del signorotto di Lysiath, e un quinto uomo che, in buona sostanza, avrebbe potuto quietamente valere per almeno altri due, o forse tre. Un sommario riassunto al quale poter giusto aggiungere pochi dettagli utili, qual il capo completamente rasato, un volto tanto spigoloso nelle proprie forme da sembrare tagliato con l’accetta, malgrado labbra tanto carnose da poter essere quietamente invidiate tanto da Midda quanto da Duva, e una veste semplice, in tonalità di un grezzo bianco, al di sopra delle quali un leggero corpetto di cuoio si proponeva qual tutta la protezione della quale egli desiderava lì offrire così vanto.
La pelle scura, almeno quanto quella di Duva se non, persino, di una tonalità ancor più marcata, non avrebbe offerto dubbi nel merito dell’origine di quel gigante, riconducendolo ai regni desertici centrali. Un uomo del nord del continente di Qahr, proveniente da una delle zone più impervie di tutto quell’angolo di mondo, e, in ciò, abituato certamente sin dalla più tenera età a conquistare quotidianamente con la forza delle proprie mani, e di quelle mani grandi come badili, il proprio diritto a esistere. Un mercenario, probabilmente, un avventuriero magari desideroso di rendere propria la fama un tempo posseduta dal suo amico Ma’Vret, padre di H’Anel e M’Eu, oramai compagni di viaggio e alleati di Maddie, un tempo conosciuto con il nome di Ebano, quand’egli, negli anni più floridi della propria giovinezza, offriva i propri servigi in quel di Kriarya, là dove, non a caso, aveva quindi avuto occasione di incrociare i propri passi con quelli della futura Figlia di Marr’Mahew, prima qual antagonista, poi qual alleato e, a onor di cronaca, in effetti persino qual amante.
La presenza di un tale colosso, al seguito di lord Masshiad, non avrebbe potuto essere fraintesa qual casuale. E se tale presenza non avrebbe potuto essere fraintesa qual casuale, improbabile sarebbe stata l’eventualità in cui, purtroppo, lord Masshiad fosse effettivamente disposto a mantenere fede al proprio impegno, e a riconoscerla qual Campionessa di Lysiath.
« Dannazione… » sospirò a denti stretti, decidendo di iniziare ad avanzare, a propria volta, verso quella delegazione, per cercare di chiarire il prima possibile la situazione e non perdere ulteriormente tempo utile a tentare di ovviare alla catastrofe promessa per l’indomani.
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