Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
mercoledì 31 luglio 2013
2018
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
« Desideri davvero che sia mia premura ripeterti, ancora una volta, come questo nostro momento di confronto, durasse anche un anno intero, non ti farebbe perdere neppure un attimo di quanto là fuori sta accadendo?! » si concesse di puntualizzare il semidio, non potendo fare altro che gongolare nel confronto con la tensione del proprio interlocutore, non per una qualche ostilità nei suoi riguardi ma in mera risposta a una crudeltà di fondo insita nel suo carattere, nel suo spirito, la stessa in ascolto alla quale non si era posto remore a rapire ben novecentodieci fanciulle per obbligarle a divenire proprie mogli, prima che la novecentoundicesima, Midda Bontor, fosse riuscita a riservar qual proprio un ruolo ormai apparentemente definitivo « Siamo dentro la tua mente, Be’Sihl… letteralmente dentro la tua mente. E qui il tempo non è una costante immutabile: qui tutto è asservito ai tuoi… ai nostri, se me lo concedi, capricci. »
« In verità preferirei non poter concedertelo. » precisò l’altro, scuotendo appena il capo con assoluta franchezza, non avendo ragione di mentire e, in parte, neppure sapendo se potersi davvero permettere di mentire a chi, del resto, sito dentro la sua stessa testa « Ma, a quanto pare, sono pressoché obbligato dal fatto che tu ti sei arrogato il diritto di trasferirti dentro di me… »
« Amico mio! » esclamò con una certa sorpresa Desmair, appoggiando il calice d’oro su un tavolino accanto a sé, per avere le mani libere allo scopo di alzarsi, facendo leva sui braccioli del proprio trono, quasi a sottolineare una certa indolenza, una certa pigrizia ad agire, dopo tanto tempo trascorso a riposo « Quando in quel di Shar’Tiagh la nostra collaborazione è iniziata, permettendoti di avere salva la vita da quel gruppo di schiavisti, non eri così… come dire… scontroso?! E nel momento in cui ti offrii il mio aiuto per recuperare mia moglie dal ventre della nave ammiraglia di sua sorella, che lì la stava mantenendo prigioniera e drogata, non mi sembrasti tanto critico nei miei riguardi. » rievocò, nel mentre in cui la sua mole, reale o no che fosse, si levò dal trono su cui prima giaceva adagiata, lasciando riecheggiare nella sala un concerto di vertebre scricchiolanti « Eri sempre così bonario e pacifico… e ora guardati: sembri voler gareggiare con quel colosso d’ebano che chiamano Av’Fahr, o con il biondo Be’Wahr, per dimostrare di essere più virile e mascolino di loro nel cuore della battaglia. Che cosa ti è successo, Be’Sihl? Che siano stati questi ultimi mesi trascorsi accanto a Midda ad averti rovinato l’umore?! »
Il locandiere non apprezzò quelle parole. E, nel voler essere onesto con se stesso, non le apprezzò nel ritrovarle, proprio malgrado, quali spiacevolmente e pericolosamente vere, trasparenti del riemergere di una parte del suo animo che, francamente, sperava archiviata molto tempo addietro.
In gioventù, anche Be’Sihl aveva avuto il proprio periodo di ribellione. Figlio di un’umile famiglia di uno sperduto villaggio nella zona meridionale dell’antico regno di Shar’Tiagh, Be’Sihl era forse rimasto vittima dell’irrequietudine propria del sangue dei regni desertici centrali, retaggio di sua madre, in ascolto al quale si era spinto poco meno che fanciullo a cercare la propria strada lontano da casa, in un percorso, in effetti, dopotutto non così diverso da quello della propria amata. Ma nel mentre in cui ella aveva vissuto la propria gioventù lungo vie di mare, egli aveva speso la propria in quelle di terra, peregrinando per anni prima di arrivare all’angolo opposto del continente di Qahr, nel regno di Kofreya, e lì scegliere, in maniera indubbiamente eccentrica, di investire i propri sforzi in una locanda in quel di Kriarya, città del peccato, mantenendosi incredibilmente estraneo all’influenza di qualunque lord locale e, in tal senso, dimostrando un carisma e un’energia che, in effetti, malamente sarebbero stati in grado di sposarsi con l’immagine mite da uomo assolutamente medio nella quale egli si era proposto, per la prima volta, agli occhi di una giovane mercenaria che, di lì a quindici anni, sarebbe stato finalmente in grado di amare liberamente.
Di quegli anni perduti, degli anni che dall’angolo nord-orientale di Qahr lo avevano visto finire in quello sud-occidentale, e che gli avevano concesso l’esperienza utile a dimostrarsi in grado di maneggiare abilmente una spada benché abitualmente privo di qualunque arma al proprio fianco; egli non si era mai dimostrato particolarmente desideroso di offrire narrazione, e, nel confronto con l’immagine che era stato in grado di costruirsi, nessuno aveva mai avuto interesse a ricercar dettaglio di sorta. Ciò non di meno, Be’Sihl non desiderava tornare a essere colui che era stato in quel burrascoso periodo della propria giovinezza, all’inizio di quel lungo cammino in conclusione al quale era riuscito a divenire l’uomo che, di sé, era stato capace di far innamorare persino l’inarrivabile Midda Bontor. E il pensiero che una parte di lui, di quel lui dimenticato, stava riuscendo a riemergere, forse in conseguenza alle diverse avventure che si stava costringendo a vivere al fianco della propria amata, o forse, ancora, in conseguenza alla spiacevole e forzata coabitazione che stava affrontando con Desmair; non lo avrebbe mai potuto rallegrare. Al contrario.
« Di cosa vuoi parlarmi…? » domandò, nel tentativo di cambiare direzione al discorso in favore di argomentazioni meno tese, quantomeno dal suo personale punto di vista « Perché spero bene che tu mi abbia trascinato qui per parlarmi di qualcosa e non, semplicemente, per permettermi un momento di pausa. Vuoi forse raccontarmi qualcosa di importante da sapere su tua madre o su tutti i suoi trucchi…?! »
« Purtroppo quelli di mia madre non sono trucchi e, tanto gli zombie quanto le gargolle appartengono al suo repertorio più classico. » negò il semidio, muovendosi verso di lui con passo quieto, non lasciando trasparire alcun desiderio di fronteggiarlo, nell’ipotesi che una simile eventualità avesse a potersi contemplare qual possibile « E se né primo-fra-tre, ne gli altri suoi vicari potranno mai farci qualcosa; ogni altro mostro ella potrà mai evocare sarà altresì libero di massacrarci sino a ridurci a carne trita, non dissimile da quella dei polpettoni che, un tempo, ti divertivi a cucinare. »
« Grazie per l’avviso… ma, in effetti, avevo già sospettato qualcosa del genere. » si strinse nelle spalle Be’Sihl, non desiderando in alcun modo minimizzare il pericolo rappresentato da quelle creature e, ciò non di meno, non potendosi permettere, al pari di chiunque altro, di essere bloccato dal timore della morte che da tali esseri avrebbe potuto derivare, forse, in tal senso, più confidente con la gestione di simili problematiche rispetto a chi, come il proprio interlocutore, mai aveva avuto passata occasione di preoccuparsi per la propria incolumità « E, a differenza tua, noi umani siamo abituati a sforzarci di sopravvivere… »
« Questa te la concedo. » riconobbe Desmair, chinando appena il capo, a dimostrazione del colpo scoccato e portato a segno dalla controparte, con un’argomentazione, purtroppo, per lui priva di particolari possibilità di contrattazione « Ciò non di meno, la ragione per cui ho richiesto la tua presenza qui non ha da intendersi a scopo meramente informativo, quanto e piuttosto nella volontà di domandarti un atto di fede nei miei riguardi, così come, a oggi, non hai avuto mai ragione di compiere. » dichiarò, arrestandosi innanzi al locandiere e, lì, genuflettendosi, per potersi concedere la possibilità di rivolgere i propri occhi gialli in quelli di lui, senza, per questo, costringerlo a piegare la testa all’indietro.
Un’attenta selezione lessicale, quella da lui in tal modo compiuta, nonché una non di meno puntuale scelta di gesti da porre in essere, che non poterono evitare di lasciar crescere una certa inquietudine sul fronte di Be’Sihl, il quale, in quegli ultimi cinque anni, reali laddove percepiti molti di più, di rapporti con lui, non vi era mai stata da parte del medesimo ragione di ricorrere a un tal formalismo.
Un formalismo che, al di là di ciò e, anzi, proprio per tale ragione, non venne in alcun momento recepito qual semplicemente retorico, privo di un qualche effettivo valore; laddove, in tal caso, non sarebbe stato in alcuna misura interesse del semidio accettare di porsi al suo stesso livello, fisicamente e metaforicamente, così come non avrebbe potuto giudicare altro che umiliante, nell’essere abituato a ritenere ogni essere umano nulla di più di una creatura inferiore, semplice bestiame sostanzialmente privo di qualunque dignità.
« Ti ascolto… » lo invitò pertanto a proseguire, a spiegarsi meglio, incerto fra voler realmente conoscere, o meno, quanto avrebbe avuto da dire, e, ciò nonostante, consapevole che, presto o tardi, l’avrebbe comunque saputo, che lo desiderasse, o no « Quale assurda strategia dovrebbe richiedere, da parte mia, un atto di fede in tuo favore…?! Un atto di fede, per lo meno, più significativo di quanto già, fino a oggi, non abbia compiuto nell’accettarti quietamente dentro di me, senza confidarlo neppure alla donna che amo. »
martedì 30 luglio 2013
2017
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Per Be’Sihl, quanto avvenne fu questione di un attimo, un fuggevole infinitesimo d’eternità che, ciò non di meno, venne percepita qual un’intera eternità. O, comunque, un arco di tempo infinitamente maggiore a quanto, altresì, esso non fu. Perché se, nell’intervallo scandito fra due battiti del proprio cuore, allora obbligatoriamente accelerato per effetto dell’adrenalina pulsante anche nelle sue vene in quantità non inferiore a quella che necessariamente dominava chiunque altro, lì attorno, ebbe lì a consumarsi tutto, neppure permettendo, al mondo a lui circostante, di maturare coscienza di quanto fosse avvenuto, dentro di lui, nel profondo della sua mente o, forse, del suo animo, non immediato fu il raggiungimento di un compromesso fra le parti in causa. Parti in causa che, come già avvenuto in passato, altro non avrebbero potuto essere identificate se non nello stesso locandiere shar’tiagho e, soprattutto, nel semidio immortale Desmair, figlio del dio Kah e della regina Anmel, nonché sposo della sua amata Midda.
Là dove, dal suo personale punto di vista, un istante prima egli era ancora impegnato nel respingere gli attacchi continui e incessanti del crudele primo-fra-tre, che avrebbe atteso soltanto un suo momento di distrazione per distruggere uno a caso fra i suoi alleati, fra i suoi compagni e amici lì schierati al suo fianco, in sua difesa dagli zombie esattamente come egli si era allora impegnato in loro difesa dal vicario; un istante dopo ebbe a trovarsi in un luogo completamente diverso e, proprio malgrado, tutt’altro che estraneo, avendo avuto già trascorsa occasione di lì soggiornarvi per un tempo, forse e persino, equivalente a più di una vita intera, in compagnia di colui che avrebbe dovuto considerare il proprio peggior avversario e che, ciò non di meno, aveva iniziato a considerare, follemente, il proprio migliore amico: Desmair. E dal momento in cui assurdo sarebbe stato, per lui, ipotizzare di essere stato in qualche modo trasferito fisicamente dal campo di battaglia nel quale un solo fugace attimo prima si stava muovendo, a quella sala del trono, all’interno di una fortezza in cui non aveva mai avuto personale occasione di mettere piede e là dove, altresì, lo stava attendendo il proprio ospite; immediato sarebbe stato comprendere come, tutto ciò, ancora una volta, stava trovando occasione di sviluppo unicamente all’interno della sua mente, così come già ogni altro colloquio passato con quel sempre più invasivo commilitone, complice già di un certo numero di disavventure nel merito delle quali, comunque, egli non avrebbe mai ricercato occasione di vanto.
Una confidenza, quella per lui propria con tale ambiente e, soprattutto, con tale interlocutore, che, ciò non di meno, non poté ritrovarlo personalmente rasserenato, soprattutto al pensiero di quanto, là fuori, comunque stesse continuando a imperversare. Motivo per il quale, nel prendere voce, soltanto una non poté che essere la prima questione che avrebbe potuto formulare innanzi a lui…
« … dimmi che per stare qui, con te, ora, non mi sto perdendo nulla là fuori. » pretese, avanzando con passo deciso verso quel mostro di diversi piedi più alto di lui e di diverse libbre più grosso e pesante di lui, benché, in tale particolare contesto ogni criterio di valutazione avesse a doversi considerare estremamente relativo, nel non esistere, realmente, né forma né dimensione « Rassicurami sul fatto che, quando troveremo un accordo, non saremo gli unici sopravvissuti, e che, anzi, non un solo morto avrà a dover ringraziare entrambi per quanto accaduto in mia… in nostra assenza. »
« Be’Sihl… vecchio mio. Ormai sono cinque anni che ci conosciamo e, dopo tutto questo tempo, ancora dubiti di me. » scosse il poderoso capo ornato da grandi corna bianche, nel rifiutare vigorosamente tale addebito a proprio discapito « Mio caro… sarà la vicinanza con mia madre; sarà il pericolo di morte imposto su di noi, su mia moglie e su tutto il tuo intero mondo; o forse sarà semplicemente la confidenza che ormai mi offri… ma il tuo atteggiamento con me sta diventando sempre più arrogante. » osservò, serafico come propria abitudine, del tutto indifferente all’animosità con la quale, altresì, l’altro si era a lui rivolto « Non è che mi stai iniziando a dare per scontato, amico mio? E’ orrendo quando inizi a dare per scontata una persona all’interno della tua vita… anche perché, in genere, è proprio in quel momento che accade una qualche tragedia imprevista a separare entrambi per sempre. »
« E’ proprio per il fatto che ci conosciamo da cinque anni che, in lode agli dei, riesco a sopportare questo tuo malato senso dell’ironia, Desmair… » replicò, storcendo appena le labbra verso il basso, in cuor suo, invero, non più felice della propria amata per quella tanto sgradevole, quanto obbligata e purtroppo conveniente, collaborazione « E non per dimostrare ingratitudine al fatto di essere ancora vivo per merito tuo e del tuo retaggio… potresti, per favore, spiegarmi brevemente il perché di questa convocazione?! »
Non fosse stato perfettamente consapevole di quanto stava accadendo, per lo shar’tiagho difficile, estremamente difficile, sarebbe stato riuscire a scendere a patti con alcune verità, a ragion del vero persino di maggiore rilievo rispetto al fatto che, in quello stesso identico momento, in quello stesso preciso istante, il suo corpo fosse ancora là dove lo aveva lasciato, e il mondo che percepiva attorno a sé non fosse più reale di quanto non avrebbe potuto esserlo un sogno. Tuttavia, in quel sogno che la semplice presenza del suo alleato contribuiva a tradurre in un osceno incubo, Be’Sihl non avrebbe mai potuto ignorare quanto, colui allora innanzi a sé, avesse a doversi considerare tremendamente reale e, soprattutto, ben distante da essere soltanto il prodotto di un qualche spiacevole effetto allucinatorio come, in passato, quei loro confronti erano sempre stati. Almeno fino a quando, per amor di dettaglio, Desmair non era morto.
Perché che Desmair fosse morto, in senso tradizionale, avrebbe dovuto essere considerato spiacevolmente vero: lo scontro che lo aveva veduto protagonista, in opposizione al proprio divino genitore, lo aveva realmente veduto perdere la vita, a dispetto della propria supposta immortalità. Desmair era realmente morto innanzi agli occhi di colei che, da quel momento, aveva iniziato a considerarsi sua Vedova, finalmente libera da ogni obbligo nei suoi riguardi, per gli effetti del giuramento scandito innanzi agli dei tutti in occasione del loro matrimonio. Ciò non di meno, Desmair era sopravvissuto… il suo spirito, la sua millenaria coscienza era sopravvissuta, ed era sopravvissuta nel corpo e nella mente dell’unico mortale con il quale, in quell’ultimo periodo della propria esistenza, aveva condiviso una certa collaborazione: Be’Sihl Ahvn-Qa. E non per semplice fortuna, o per una mera fatalità, tutto ciò era avvenuto, simile, miracoloso evento aveva avuto ragione di occorrere, quanto e piuttosto per un atto deliberato da parte dello stesso figlio di Kah, il quale, consapevole di aver perduto nello scontro con lo stesso padre il proprio diritto all’eternità, aveva individuato in quel mezzo una temporanea scappatoia, un modo per eludere la morte non diversamente da come, del resto, sua madre aveva compiuto tempo addietro in grazia al proprio diadema.
Così, benché il suo corpo fosse morto, e fosse stato addirittura cremato per premura della propria Vedova; il semidio avrebbe potuto ancora vantare ottima salute. Ottima, quantomeno, nella stessa misura in cui ottima sarebbe rimasta anche la salute del medesimo Be’Sihl, dal momento in cui, pur condividendo con lui quell’unico simulacro di carne e ossa, e in ciò gratificandolo, così come dimostrato, dei benevoli effetti derivanti dal suo retaggio, primo fra tutti, o forse unico fra tutti, quello di una completa immunità agli attacchi di un vicario di sua madre; egli non avrebbe potuto gratificare il proprio anfitrione della stessa invincibilità e della stessa immortalità che lo avevano contraddistinto in passato, motivo per il quale il buon locandiere avrebbe potuto ancora essere ferito, come era già stato, e ucciso, come, altresì, sperava sinceramente di riuscire a evitare. E nella volontà di intrattenere un ottimo rapporto di buon vicinato, Desmair era stato sufficientemente discreto da relegare, sino a quel momento, la propria esistenza in un angolo remoto della mente di Be’Sihl, assicurandolo, persino, di aver rispettato in maniera più assoluta anche i momenti di intimità che egli aveva avuto modo di condividere, in quegli ultimi mesi, con la propria amata, non approfittando di quell’occasione per consumare, con l’inganno, un matrimonio che fino a quel momento non li aveva mai veduti, e che, dal punto di vista della donna guerriero, mai li avrebbe dovuti vedere, in alcun modo e per alcuna ragione, giacere insieme.
Un gigante di oltre sette piedi d’altezza, per oltre trecentotrenta libbre di peso, con pelle come cuoio vermiglio a coprire una muscolatura ipertrofica, con zoccoli in luogo a piedi, e con due enormi corna bianche ai lati della testa, era ciò con cui Be’Sihl si era ritrovato, involontariamente, a condividere il proprio corpo e con cui, nel cuore del crescendo di quell’oscena battaglia, si stava lì concedendo un momento di distesa conversazione, all’interno di un’ampia e regale sala, al centro della quale, su un enorme trono, questi sedeva, sorseggiando un rosso nettare che, purtroppo, non avrebbe mai potuto immaginare qual vino.
lunedì 29 luglio 2013
2016
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
« Vendetta?! Forse. » acconsentì alfine a riconoscere la propria, in accordo alla posizione pocanzi espressa, in termini critici, dalla sua gemella « Ma non solamente mia. Questa è la vendetta di ognuno di noi… la vendetta di ogni moglie e di ogni marito, di ogni figlio e di ogni nipote, di ogni madre e di ogni padre, di ogni fratello e di ogni sorella, di ogni amico che si è visto privare di una persona amata per merito tuo o dei tuoi pirati. E che non accetta l’idea che gli spiriti dei propri cari possano avere di che rimproverarlo per aver permesso, in maniera passiva, che tu non restassi soltanto impunita ma, peggio, potessi addirittura ascendere al potere… e al potere sul mondo intero! » ridefinì.
E se nulla venne lì negato di quanto espresso dall’altra, ciò non di meno ella fu in grado di rovesciarne completamente, drasticamente, irrimediabilmente il significato, nel rifiutare che quell’addebito avesse a doversi considerare una questione di ordine puramente personale, avesse a doversi ritenere una sua iniziativa solitaria, riducendo chiunque lì si era schierato accanto a lei al ruolo di mero burattino, semplice marionetta i cui gesti e le cui azioni avrebbero dovuto essere ricondotte a una mera estensione dei suoi desideri, delle sue brame, senza che alcun valore aggiunto potesse essere loro riconosciuto, potesse essere loro attribuito, armi ancor prima che uomini e donne, risorse belliche ancor prima che alleati, e, in ciò, non di meno, sue vittime. Vittime inconsapevoli o no, vittime entusiastiche o meno, e pur, ineluttabilmente e impassibilmente, vittime.
Alcuno fra coloro che lì stavano combattendo e, in tal senso, sfidando apertamente la morte, tuttavia, avrebbe dovuto essere ridotto al mero ruolo di vittima, dal momento in cui, al contrario, ognuno, tanto nella propria singolarità, quanto nella loro espressione di gruppo, avrebbe potuto vantare assoluta coscienza delle ragioni per le quali lì si era sospinto: ragioni forti, ragioni di sangue, ragioni di vendetta e di morte, le loro, che, se anche non avrebbero potuto coinvolgerli personalmente in maniera diretta in quel conflitto, in quella battaglia, ciò non di meno li avrebbero potuto riconoscere qual non di meno partecipi in conseguenza al sostegno, al supporto che, in tutto ciò, avrebbero potuto garantire a chi, lo prossimo, avrebbe potuto altresì definirsi effettivamente e concretamente coinvolto in tutto ciò. E anche coloro che, a dispetto di tutto ciò, non avrebbero ancora potuto vantare una qualunque ragione di sostanziale interesse emotivo in tali accadimenti, nel mancare di una qualche perdita da dover vendicare, di uno spirito invocante loro soddisfazione per quanto tragicamente subito per colpa di quei pirati e, soprattutto, della loro signora e padrona; non avrebbero potuto mancare di ammettere un personale e ciò non di meno importante interesse di ordine economico in quella battaglia, e nel confronto con l’esito della medesima. Se, infatti, El’Abeb e a tutta la sua terribile colonna, era stata allora promessa dalla stessa Figlia di Marr’Mahew la possibilità di conquistare, in tutto ciò, la possibilità di una terra da poter considerare qual propria, e nella quale poter vivere, alfine, nella serenità che loro era stata negata in qualunque altra e variegata nazione d’origine; ciò non di meno alla Confraternita del Tramonto, nella propria interezza, era stata garantita, da tutti i lord di Kofreya, così come da ogni altra ricca e potente figura lì allora coinvolta, una ricompensa superiore a ogni propria più semplice possibilità d’intesa, in misura sufficiente non soltanto da ottenere la disponibilità di quei mercenari, ma ancor più la loro più completa fedeltà, finanche alla morte, là dove richiesto.
In simile contesto, in tal situazione, nel confronto con quel tanto eterogeneo schieramento di forze, quindi e purtroppo, ogni tentativo da parte della regina di Rogautt per diffondere incertezza e dubbio fra gli alleati della propria gemella, al fine di poterla vedere abbandonata da parte di tutti, lasciata sola da chi ella si sarebbe altresì attesa avrebbe combattuto al suo fianco sino alla fine, fallì miseramente. E nel sottolineare, verbalmente, tale fallimento, la stessa Campionessa di Kriarya riuscì, con energica costanza, con inarrestabile dedizione, ad accorciare straordinariamente le distanze fra loro, nel mentre in cui, colpo dopo colpo, fendente dopo fendente, il numero di zombie, attorno a lei e ancor in grado di nuocerle, diminuiva vorticosamente preludendo all’ineluttabile confronto finale che, di lì a breve, non avrebbe più potuto essere rimandato, non avrebbe più potuto essere posticipato, nel ridurre, fondamentalmente, ogni questione, ogni antagonismo, a uno scontro diretto fra loro, dal quale soltanto una avrebbe potuto uscire viva, in un esito che, malgrado tutto, non avrebbe potuto allora definirsi qual scontato, qual ovvio o preordinato. Al contrario.
« A tal punto hai a noia la vita, sorella, da voler giungere a sprecarla sì rapidamente? » tentò di provocarla, o forse e soltanto di porla in guardia, abbandonando, allora, ogni ulteriore argomentazione nel merito di quanto sino a un istante prima al centro del loro confronto, nel riconoscere, in ciò, tacitamente, la vittoria della propria avversaria, nell’accettare quanto, da parte propria, ogni insistenza in tal direzione avrebbe avuto da doversi ritenere vana, priva di qualunque possibile utilità, fosse anche e soltanto nel tentativo di distrarla, di rallentarla, in una misura, altresì, miseramente fallita « O forse, ancora, ti illudi di poterti scontrare con noi e di poter sopravvivere o, addirittura, vincere, quasi fossimo una fra le tante facili sfide che hanno contraddistinto la tua esistenza sino a oggi?! »
« E’ interessante notare come, innanzi all’assenza di ulteriori argomenti utili a sostenere le tue affermazioni, tanto repentino sia il cambio di registro da parte tua, improvvisamente dimentica di ogni profonda ideologia e, altresì, interessata a facile scherno… » evidenziò, non negandosi un sorriso di trasparente soddisfazione innanzi a ciò che non avrebbe potuto considerare altro che un sentimento di « Paura: ecco cosa sembra. Sembra proprio che tu abbia paura, cara la mia sorellina… malgrado tutto il tuo presunto potere, malgrado tutta la tua tanto conclamata forza. »
Ma anche ove, effettivamente, soltanto reazione di meditabondo timore avrebbe potuto essere allora intesa alla base di un tale intervento, di una simile presa di posizione nei suoi confronti, soprattutto a seguito degli altisonanti interventi precedenti; Nissa Bontor, o un’altra delle entità in lei allora dominanti, non sembrò in alcun modo voler tollerare una simile insinuazione nei suoi confronti, offrì l’evidenza di non poter accettare l’idea di una qualche sudditanza psicologica innanzi alla propria gemella, così odiata e combattuta da una vita intera. Motivo per il quale, allora, allorché rispondere nuovamente con una qualche nuova frase utile, soltanto, a concedere il tempo alla controparte di avvicinarsi ulteriormente a lei, la signora dei pirati dei mari del sud fece nuovamente roteare il pericoloso tridente fra le proprie mani, per puntare, ancora una volta, la sua triplice estremità verso il cielo e andare a impattare, con il capo opposto, sul terreno sotto ai propri piedi, generando una nuova onda di energia non dissimile da quella che, poco prima, aveva rianimato i cadaveri dei propri defunti uomini e donne, trasformandoli in zombie. Una seconda, incredibile onda di potere, quella che da lei, lì, si espanse, che non volle, allora, incanalare tuttavia alcuna energia negromantica, nel preferire spendersi in un obiettivo diverso, in un impegno più ardito e, in ciò, speranzosamente destinato a lasciar assumere al loro confronto una piega diversa da quella che, sino a quello stesso momento, lo aveva spiacevolmente contraddistinto.
Fu così che, dal medesimo terreno sotto i suoi piedi e sotto i piedi di tutti, sul quale il tridente aveva riversato l’impeto da lei ivi incanalato, iniziarono a emergere mani e braccia, arti non di carne, viva o morta che essa fosse, quanto e piuttosto di pietra, che, ciò non di meno, si mossero dotati di una propria animazione, sebbene non di una propria autodeterminazione, al fine di trascinare alla luce del sole calante di una giornata ormai morente, decine e decine di corpi del medesimo materiale, figure dalle sembianze vagamente umane, seppur evidentemente soltanto abbozzate, che, immediatamente, presero posto accanto agli zombie già evocati, unendosi a loro in un solo, condiviso, obiettivo: la distruzione di chiunque fosse schierato a favore della supremazia di Midda Bontor!
« Spero che vorrai perdonare il pressapochismo con il quale abbiamo dato vita a questa nuova generazione di gargolle… » ironizzò la sovrana, osservando due fra quei soldati di pietra afferrare la propria gemella per le gambe, nel coglierla di sorpresa nella propria ascesa verso l’aria aperta, verso il mondo di superficie « Per quello che può valere, comunque, ti assicuriamo che non sono meno efficienti delle altre che hai già conosciuto in passato… e che, di te e dei tuoi amici, non lasceranno altro che brandelli di carne sanguinolenta e di ossa infrante! »
domenica 28 luglio 2013
2015
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
« Brava! » esclamò, con trasparente e sincera approvazione per il suo intervento « Bravissima! » insistette, scandendo il ritmo del proprio plauso sui crani degli zombie a lei circostanti, infrangendoli in rapida successione con un volteggio fermo e deciso della propria ascia « Se non fosse che, dietro a tante straordinarie parole, non vi è alcuna volontà di modificare questo dato di fatto, semplicemente sostituendo un oppressore con un altro oppressore, non esiterei ad appoggiare pienamente la tua campagna, offrendoti tutto il mio supporto e la mia approvazione. » sancì, parlando senza volontà di scherno o di giuoco, in una franchezza tale da rendere, in effetti, inutile qualunque possibile giro di parole, nell’esprimere in maniera già straordinariamente tagliente tutto quanto avrebbe avuto necessità di dover esprimere « Purtroppo la morte che tu desideri condurre… che voi desiderate imporre sul mondo intero, non ha da intendersi qual preludio a un qualche cambiamento, qual transizione verso un periodo migliore, lasciando alle spalle quanto di più oscuro può aver caratterizzato il nostro mondo, la nostra realtà sino a oggi. »
« E se devo essere onesta, fra il nemico che conosco e voialtri, preferisco senza dubbio i nobili di Y’Shalf e i lord di Kofreya, i signori della guerra di Gorthia e i ricchi mercanti di Tranith, laddove alcuno fra loro mi ha mai danneggiato, a oggi, quanto invece tu ti sei divertita a compiere. » proseguì, instancabile nel menare colpi contro qualunque avversario tentasse strenuamente di strapparle la pelle e la carne dalle ossa, con ferocia animale, ricorrendo alle proprie unghie e ai propri denti « E se pur alcuni fra loro hanno cercato di uccidermi, hanno attentato alla mia vita, al mio presente e al mio avvenire, tutti loro si sono sempre ben guardati dal cercare di ferirmi colpendo coloro a me più vicini. Anche perché, nel momento in cui ciò è mai accaduto, la mia ira è stata implacabile e la mia vendetta impietosa… a dispetto di quanto non ho mai preteso nei tuoi confronti. »
« Lo ammetti, quindi?! » la interruppe Nissa, dimostrandosi più che soddisfatta per l’affermazione lì appena udita, per la dichiarazione che, forse, si era in ciò convinta di essere riuscita a estorcere alla propria gemella, a discapito di ogni suo ipocrita tentativo di negazione della realtà dei fatti, per così come, al contrario, da lei adeguatamente tratteggiata nelle proprie più sincere sfumature « La tua missione non ha da intendersi animata da alcun sentimento di giustizia, da alcun ideale superiore di vita o di libertà, ma soltanto da semplice, primitiva e brutale brama di vendetta, per non ammettere la quale ti sei sprecata in tanta falsa retorica prima d’ogni valore! » definì, a non voler offrire alcuna ambigua interpretazione a quanto allora dichiarato, a quanto appena asserito, a condanna della propria interlocutrice e di tutti i suoi menzogneri intenti, che pur tanto avevano apparentemente galvanizzato gli alleati che l’avevano ascoltata e, in tutto ciò, avevano riposto la propria fiducia « Bugiarda eri, e bugiarda sei rimasta, cara sorella. E dopo che ci hai ripetutamente tradito, trent’anni fa come molto prima ancora, tutto ciò non ci è più in grado di sorprendere, benché inevitabile sconforto non possa che animare il nostro cuore nel comprendere quanto, purtroppo, nulla sia cambiato e nulla possa sperare di cambiare… »
« Berah, zia di Ifra. Trent’anni, o poco più. Bella, stupenda anzi, coraggiosa e intelligente. » riprese voce la Figlia di Marr’Mahew, apparentemente ignorando le parole allora dedicatale per cambiare argomento… o, forse, per affrontare quello stesso discorso sotto un punto di vista completamente diverso « Ja’Nihr, sorella di Av’Fahr. Stessa età, benché avrebbe potuto ormai averne un terzo di più. Energica e carismatica, affascinante e letale come un grande predatore felino. » proseguì, intervallando ogni descrizione con una sequenza di duri colpi a discapito dei propri più diretti avversari nel mentre in cui le proprie gambe cercarono di riprendere ad avanzare in direzione di colei che sola avrebbe dovuto essere riconosciuta qual sua effettiva antagonista, unico traguardo eletto alla base di quella folle guerra, di quella sanguinosa battaglia nella quale, purtroppo, ben presto sarebbero iniziati sicuramente a cadere sempre più fra i propri alleati e, forse e terribilmente, anche qualcuno fra i propri più fedeli amici « Salge Tresand, capitano della Jol’Ange e padre di tuo figlio Leas. Sempre trent’anni. Nostro coetaneo. Un uomo la cui sola colpa è stata quella di essere capace di amare, e di amare in maniera assoluta e totale, come pochi potrebbero essere capaci di arrivare ad amare anche soltanto una sola volta in tutta la propria esistenza: amare la vita, amare la libertà, amare il mare, amare la propria nave, amare il proprio equipaggio. »
« … stai forse cercando di farci sentire in colpa per coloro che abbiamo ucciso nel corso di questi anni? » domandò la sovrana, dimostrando ben poca convinzione nel confronto con quell’eventualità, con quella prospettiva, non riuscendo a pensare di poterle dedicare il benché minimo valore, non, soprattutto, innanzi al tema sul quale avevano pocanzi fondato il proprio confronto « Perché ti assicuriamo che loro sono una ben misera rappresentanza, in termini numerici, di tutti coloro che sono morti per nostra volontà. E il totale che noi potremmo mai essere in grado di vantare, comunque, non raggiungerebbe neppure la metà di coloro che, innanzi agli dei tutti, verso di te possono rivolgere riconoscenza per la propria prematura fine. A incominciare da nostra madre! »
Il riferimento alla genitrice, morta negli anni immediatamente seguenti alla sua fuga da casa, dall’isola natia, per cercare altrove la propria fortuna, e un senso alla propria stessa esistenza, nel soddisfare il desio in lei da sempre forte d’avventura e di sfida; venne trascurato dalla Campionessa di Kriarya non di meno di quanto, in apparenza, non fosse stata la precedente provocazione, vedendola insistere nel proprio elenco e, soprattutto, nel proprio costante progresso verso di lei e, in ciò, verso la desiderata conclusione del loro confronto, della loro battaglia, quasi quelle parole non fossero neppure state pronunciate.
Dopotutto, e malgrado tutto, da parte della stessa mercenaria dagli occhi color ghiaccio, non avrebbe potuto essere espresso alcuno stupore, alcuna sorpresa, all’idea che la propria gemella la ritenesse responsabile per la morte di loro madre, laddove tale tragico evento, purtroppo, era stato concausa della faida incolmabile che si era venuta a creare fra loro, nell’impossibilità, da parte della sorella, di perdonarla non soltanto per la propria fuga, e per il triplice spergiuro che l’aveva accompagnata, ma ancor più per averla lasciata sola ad affrontare un dolore tanto grande qual quello, dolore che, inevitabilmente, era stato tramutato in rabbia e in desiderio di ottenere soddisfazione nell’imporle una sofferenza quantomeno equivalente a quella che ella aveva provato.
« Nass’Hya Al-Sehliot, principessa d’Y’Shalf per diritto di nascita, moglie di lord Brote di Kriarya per amore. La migliore giocatrice di chaturaji con la quale mi sia scontrata, oltre a essere, anch’ella, donna di rara bellezza. » proseguì pertanto, irrefrenabile, tanto verbalmente, quanto fisicamente « Hayton Kipons, alcalde di Konyso’M. Uomo di straordinaria saggezza e di incredibile fedeltà ai propri impegni, ai propri compiti, tanto da aggrapparsi alla vita anche oltre la morte, al solo scopo di non abbandonare alcuno fra coloro che a lui si erano affidati, per essere custoditi e protetti. »
« Stai iniziando a straparlare, sorella! » tentò di interromperla, ancora una volta, la regina di Rogautt, aggrottando la fronte con espressione necessariamente sorpresa, nel confronto con quell’ultimo nome da lei elencato « Non abbiamo mai conosciuto quest’ultimo individuo… né abbiamo mai ordinato la sua morte! »
« Ma egli è morto… ed è morto per mano di quella stessa ciurma di pirati nello sterminare la quale ho conquistato il nome di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra venerata proprio in quel di Konyso’M e delle isole lì prossime! » puntualizzò Midda, rifiutando la correzione suggerita dall’interlocutrice e, in ciò, evidenziando un ben diverso intento alla base dell’elenco che stava lì riunendo, una sequela di nomi, di volti e di ricordi che non avrebbero dovuto essere ridotti, banalmente, al computo di coloro che erano morti nel tentativo, da parte di Nissa, di rendere la sua vita intollerabile, insopportabile, carica di un senso di colpa continuo e ossessivo qual quello che le aveva in tal modo augurato « Ragione per la quale il suo sangue ha da considerarsi impregnare le tue mani insieme a molti… molti altri, i cui amici e parenti, oggi, si sono qui riuniti per chiederti conto di ciò! » esplicitò, con tono privo di una qualunque ragione di entusiasmo, laddove non avrebbe trovato motivo per cui gioire di tutto quel dolore, di tutta quell’insensata sofferenza.
sabato 27 luglio 2013
2014
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Parole cariche di entusiasmo, quelle della Campionessa di Kriarya, che pur, la sua gemella e antagonista, la triplice nemica al centro, allora, di tanta determinazione collettiva, non accettò di subire passivamente; rifiutandole e rigettandole in contrasto alla propria stessa interlocutrice, con palese disprezzo per quella che, in quel frangente, ebbe soltanto a considerare qual…
« Ipocrisia! » gridò la sovrana di Rogautt, storcendo le carnose labbra verso il basso, a non tentare di camuffare o di soffocare tutta la propria più trasparente disapprovazione per quello che, da parte della sorella, avrebbe avuto a doversi intendere il discorso culmine, il proclama centrale, atto a giustificare, allora, quant’ella, con così tanti alleati, stava illudendosi di compiere, e, peggio ancora, di compiere per un bene superiore « Per quanto non ci possa sorprendere da parte tua, è comunque per noi spiacevole e sgradevole cogliere quanta falsità riesca ad animare il tuo cuore, in misura tale, forse, da convincerti della veridicità delle menzogne dietro le quali stai mascherando tutta la violenza delle tue azioni e dei tuoi proclami! Oggi come in passato… e come anche è accaduto in futuro, in molti, assurdi futuri nei quali siamo già giunte a questa stessa conclusione, a questo medesimo risultato! »
« Davvero stai ancora cercando di nascondere tutto questo dietro a un’idealistica lotta per la vita e per la liberta?! » la provocò, proseguendo e sputando veleno insieme a ogni singola sillaba scandita, nell’evidenza di una profonda insofferenza a tale prospettiva « Con quale coraggio ci parli di libertà, nel mentre in cui ogni tuo sforzo, ogni tuo interesse, ogni tua fedeltà è rivolta al mantenimento dell’ordine costituito da coloro che hai appena elencato quali tuoi alleati, quali promotori di questa epica rivolta in nostro contrasto? Credi realmente che ai più poveri, ai più disgraziati, a coloro che non si possono fregiare di titoli nobiliari, veri o presunti che essi siano, e che non possono vantare ricchezze straordinarie a sostegno della propria quotidianità, potrebbero mai dirsi realmente interessati a quanto qui sta accadendo fra noi? O che, per tutti loro, potrà mai esservi differenza alcuna, nelle proprie vite, nelle proprie esistenze dedicate alla pura e semplice sopravvivenza, e alla sopravvivenza dignitosamente concessa dal proprio duro lavoro, dal sudore della propria fronte e dalle piaghe sulle proprie mani, fra il passato che tu desideri, qui, difendere, e il futuro che noi, altresì, desideriamo loro promettere?! »
« Stolida… se davvero credi questo. Ipocrita… altrimenti! » ribadì, impietosa nella propria espressione di condanna nei suoi confronti « A chi serve, nulla cambia e mai cambierà nell’alternarsi di un padrone in favore di un altro padrone. Libertà non è concessa loro oggi, e libertà non sarà concessa loro domani. Vita non è concessa loro oggi, e vita non sarà concessa loro domani. E tu, con tutti i tuoi altisonanti discorsi, in alcuna direzione ti stai impegnando se non in quella di difendere e proteggere il dominio criminale di quei sovrani, di quei signori, che già oggi vivono in oscena opulenza, a discapito di coloro che si spaccano la schiena al solo fine di riuscire a riconoscere loro i tributi richiesti, onde evitare, altrimenti, di vedersi togliere anche quel poco che loro resta e finire, nel migliore dei casi, condannati a vita per tale mancanza. »
Parole cariche di amarezza, e non di meno riecheggianti di altrettanto straordinario carisma, quelle che la regina dei pirati dei mari del sud volle rendere proprie, scandendole con energia e convinzione, in maniera tale che alcuno potesse negare di averle udite, di essere stato raggiunto dalle medesime; che non poterono evitare di essere ascoltate e soppesate da chiunque lì attorno, tanto dai pirati a lei fedeli, o quantomeno un tempo tali, così come da coloro che a lei avevano giurato avversione, e che, ciò non di meno, non poterono evitare di riconoscere un certo fondo di verità in tutto ciò.
Perché Nissa Bontor, così esprimendosi, null’altro aveva compiuto che tratteggiare un semplice ed estremamente realistico ritratto di quanto stava allora avvenendo, della realtà per così come conosciuta da tutti, e come, purtroppo, da tutti loro quotidianamente subita, in maniera inevitabilmente passiva. A incominciare dallo stesso El’Abeb, e da tutti gli uomini e le donne a lui fedeli, soltanto una schiera di reietti avrebbe dovuto essere in loro identificata, semplici disgraziati che, nella maggior parte dei casi, si erano banalmente ma imperdonabilmente macchiati dell’orrido crimine della propria povertà, povertà per rifuggire alla quale, talvolta, l’unica colpa compiuta era stata quella di rifiutare il pagamento dei dovuti tributi ai propri signori, ai propri governanti, i quali, del tutto indifferenti alle ragioni dietro a una simile scelta, si erano limitati a esprimere un voto di condanna, per sfuggire al quale la macchia avrebbe dovuto essere considerata la più innocua soluzione applicabile. Del resto, a prescindere dall’esempio lì rappresentato da quegli uomini e da quelle donne fra i quali, tuttavia, non mancavano anche veri criminali, borseggiatori e tagliagole che, unendosi alla causa del condottiero con la faccia da scheletro avevano sperato di poter cambiare il proprio stile di vita, per riservarsi un futuro diverso dal proprio passato; non avrebbero dovuto essere dimenticati altri inconfutabili e forti segni concreti tanto in Kofreya, con i briganti, quanto in Y’Shalf, con i guerriglieri, nella maggior parte semplici contadini, allevatori, artigiani che, oppressi eccessivamente dal prezzo di una secolare guerra da loro stessi mai desiderata, erano arrivati a rivoltarsi apertamente contro il potere sovrano, non più riconosciuto qual legittimo, ormai privo di qualunque mandato divino, pur ammettendone l’esistenza.
E se, con quelle parole cariche di amarezza, la sovrana di Rogautt avrebbe potuto allora già vantare una certa vittoria morale nei confronti della propria antagonista e di chiunque a lei si era lì schierato, ciò non di meno ella non si trattenne dall’incalzare ancora in tal direzione, desiderosa di fugare qualunque ipotetico dubbio in tal senso.
« Siamo state chiamate Oscura Mietitrice… a sottolineare quanto nostra prerogativa abbia soltanto a intendersi la morte e la distruzione, l’annichilimento totale, in un netto rifiuto della vita, in ogni sua accezione, altresì rappresentata dalla cosiddetta Portatrice di Luce. » riprese, esprimendosi apertamente nel richiamare all’attenzione di tutti tali nomi tanto carichi di significati, qual retaggio di un’atavica orma impressa nel cuore di ognuno di loro « Possibile che, tuttavia, tu, così intelligente, così sagace, non ti sia mai fermata per un solo istante a riflettere su quanto il principio da noi rappresentato sia alla base stessa della vita e del proprio corso naturale? Perché l’esistenza, fine a se stessa, è priva di qualunque significato, come potrebbe ben dimostrarsi l’esempio di nostro figlio Desmair. »
« La vita tende in maniera naturale alla conservazione del proprio stato, all’appiattimento delle proprie prospettive; mentre è nella morte che viene garantito il costante mutamento dello stato delle cose, e la crescita verso un futuro migliore, verso una prospettiva sempre nuova e, potenzialmente, sempre più ricca e benevola di occasioni. » argomentò, senza dimostrare la benché minima esitazione in ogni propria tesi, lì difesa, metaforicamente, a spada tratta, non di meno di quanto, fisicamente, si stava allora difendendo con la solidità propria del suo terribile tridente « Non è nella vita che alcuno potrà mai conquistare la libertà di cui tanto indegnamente vai parlando, riempiendoti la bocca con arroganti retoriche prive di contenuto. La vita è schiavitù e oppressione. Mentre ciò che noi promettiamo… ciò che noi offriamo è veramente libertà. » concluse, con convinzione pur senza apparente soddisfazione per quanto era appena stata costretta a dichiarare, nel netto rifiuto delle asserzioni pocanzi proclamate dalla propria gemella.
E se questa stessa, la Campionessa di Kriayra, non fosse stata, in tutto ciò, ancora impegnata a difendersi strenuamente dagli attacchi degli zombie contro di lei indirizzati per volere di colei che tanta arringa aveva promosso in quel lungo monologo, per volontà della sua antagonista; probabilmente si sarebbe riservata la possibilità di applaudire in direzione della medesima, o, quantomeno, di accennare un applauso in assenza, sempre per sua responsabilità, di una destra contro la quale spingere a battere la propria mano mancina.
Un riconoscimento, quello che le avrebbe in tal modo tributato, che avrebbe dovuto essere considerato del tutto privo di sarcasmo o ironia da parte sua, e animato, piuttosto, da una reale e concreta approvazione per quanto da lei appena dichiarato. O, per lo meno, per come ella era stata in grado di dichiararlo, con una scelta di termini, di tempi e di toni sì azzeccata da non poter ovviare a trovare facile possibilità di breccia nei cuori di chiunque, nello sfoggio di un’abilità indubbiamente notevole e, in ciò, meritevole di sicura lode.
venerdì 26 luglio 2013
2013
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Malgrado il desiderio in tal modo espresso, o quantomeno anche soltanto accennato, nell’ipotesi di discreto ritiro da tutti loro così supposto, dal coloro che lì avrebbero voluto imporsi quali il terrore dei mari del sud, e forse di ogni mare, e che pur, paradossalmente, avrebbero altresì dovuto ammettere una certa inquietudine per la piega assunta dagli eventi; un’eventuale ritirata, un eventuale abbandono della battaglia, e dell’intera Rogautt da parte loro, avrebbe dovuto essere allora riconosciuto qual, altresì, improbabile, se non, addirittura, impossibile, in conseguenza all’evidenza di quanto, di lì a poche miglia di distanza, si stava iniziando a schierare allo scopo di arginare una simile emorragia e, soprattutto, al fine di non permettere ad alcuno di quegli uomini e di quelle donne di trovare ipotesi di salvezza nella fuga da quel conflitto, da quella battaglia nella quale, pur, inizialmente, tutti loro avevano avuto ragione di esaltarsi e che, al contrario, ormai sembrava soltanto destinata a un collettivo abbandono, nell’aver perduto fondamentalmente di vista le motivazioni per le quali quello stesso insano giuoco avrebbe avuto ragione d’essere giocato, e, in esso, il loro spirito immortale avrebbe dovuto rischiare d’essere maledetto, nell’impossibilità a trovare il giusto riposo lì non velatamente suggerita dall’imperversare di quell’orrida piaga negromantica pur scatenata, per volontà della loro stessa sovrana, in loro, supposto, sostegno. E l’ostacolo che, in tutto ciò, avrebbe potuto impedire una qualunque ipotesi di ritirata alla flotta pirata più devastante che mai Storia avrebbe potuto offrire memoria; altro non avrebbe dovuto che essere riconosciuta nella flotta regolare più ampia che mai, parimenti, Storia avrebbe potuto ricordare.
Perché laggiù, a una manciata di miglia da Rogautt e, in tal direzione, in costante approccio, avvicinamento, allo sguardo di un ipotetico osservatore esterno così come delle vedette di stanza sui vascelli pirata ormeggiati più al largo, venne lì, straordinariamente e inaspettatamente rivelata una schiera di navi a dir poco smisurata, battenti vario genere di bandiere, da quelle delle capitali di Tranith, che con il mare avevano avuto da sempre rapporto naturale e quasi figliale, a quelle dei porti di Kofreya, Gorthia e Y’Shalf, meno confidenti e pur, non per questo, assolutamente estranee a simile ambiente, includendo, tuttavia e follemente, persino stendardi offerenti richiamo a province e capitali dell’entroterra di tali i regni, che mai, mai prima di allora, avevano sventolato sulla cima dell’albero di una qualunque goletta, corvetta o galeone, nella totale assurdità che simile associazione avrebbe rappresentato. Una flotta non di meno variegata, quindi, di quanto non avrebbe potuto vantare di essere quella pirata e, al contrario, forse e persino più eccentrica, nell’assurdo paradosso rappresentato dal ritrovare lì mobilitati non soltanto nazioni da sempre in guerra fra loro, quali Kofreya e Y’Shalf, ma, addirittura, prive di qualunque tradizione marittima, di qualunque confidenza con quei territori dai più considerati soltanto metafora di morte, e di morte in modi tanto raccapriccianti da non poter neppure essere presi coscientemente in esame. Una flotta, in tutto ciò, non soltanto improbabile nella propria stessa esistenza, ma addirittura impossibile, e che pur, presto, si sarebbe abbattuta su Rogautt e sulla sua ormai minacciosa presenza con una furia che, necessariamente, sarebbe passata alla storia, nei secoli a venire.
Fu così che, nel mentre in cui al centro di Rogautt la battaglia continuò a imperversare e a crescere in intensità, nella costante sfida fra forze sempre più devastanti quali quelle, istante dopo istante, richiamate dalla volontà malata della sovrana usurpatrice; nella sua più estrema periferia, oltre i confini delle sue spiagge e, più precisamente, nelle acque a sé circostanti, un nuovo focolare bellico ebbe ragione di essere alimentato, benché oggettivamente impari avrebbe avuto a doversi riconoscere la sfida fra le navi pirata, nella maggior parte dei casi rimaste quasi prive di equipaggio in conseguenza all’importanza degli eventi ai quali era stata offerta l’aspettativa di poter seguire a terra, nell’esecuzione della Figlia di Marr’Mahew, della Campionessa di Kriarya e loro, mortale avversaria, e quell’Impossibile Armata, che dalla propria avrebbe avuto, indubbiamente e legittimamente, il vantaggio di una sorpresa incontestabile, in inconfutabile. E benché ancora a relativa distanza ebbe a iniziare tale nuovo scontro, gli echi di quanto avvenne non poterono evitare di espandersi con incredibile rapidità, raggiungendo in breve tempo anche la costa e, da lì, in centro dell’isola e colei che ne avrebbe dovuto rappresentare lo spirito: Nissa Bontor.
Per un fugace istante, nel confronto con tutto ciò, persino la regina dei pirati dei mari del sud fu costretta ad arrestare il proprio incedere, la propria offensiva per così come più volte ipotizzata a discapito della gemella, con terrificanti fasci di energia nera, scaricati in più riprese a suo discapito e, ciò non di meno, puntualmente incapaci a raggiungerla, andandosi a impattare in posizioni da lei repentinamente liberate o, peggio, persino contro corpi di propri alleati, di propri servi, in tal modo da lei stessa condannati a morte. Un intervallo breve, quello che si ritrovò a dir poco obbligata a concedersi, per volgere la propria attenzione all’orizzonte più lontano, e pur visibile dall’alto della posizione sopraelevata per lei propria sul colle che sovrastava l’intera Rogautt e sul quale era stato eretto il suo palazzo, la sua dimore; e ciò non di meno un intervallo che non mancò di essere perfettamente distinto da chiunque a lei prossimo, primi fra tutti la sua gemella Midda, i suoi alleati El’Abeb e Be’Sihl, e gli altri nove della Jol’Ange, che, pur non potendosi riservare la medesima leggerezza, non volendo rischiare di essere costretti a pagarla con la propria stessa vita, ebbero allora pressoché immediata comprensione di quanto stesse accadendo e delle motivazioni alla base dello stupore che non mancò di invadere la fredda maschera di superiorità dietro la quale, sino a quel momento, la donna si era coerentemente celata.
« … che cosa…?! » esitò Nissa, con i propri occhi color ghiaccio ancora puntati verso quel sito ancora lontano e, ciò non di meno, più vicino di quanto non avrebbe mai potuto attendersi di individuarlo, nell’ipotesi, non di meno assurda, di potersi effettivamente attendere di individuarlo « Chi… osa?! » sbottò, furibonda, non potendo riconoscere bandiere e stendardi, non a tale distanza, proprio malgrado, e per fortuna dei suoi avversari, ancora vittima di alcuni inviolati limiti umani.
« Tutti osano! » replicò la sua gemella e nemesi, senza sforzarsi a celare la soddisfazione derivante dalla conferma che, fortunatamente, ogni strategia era stata rispettata e ogni scadenza stabilita aveva alfine offerto i propri frutti, in una coordinazione per il successo della quale, sinceramente, non sarebbe stata pronta a scommettere neppure un soffio d’oro « I ricchi mercanti di Tranith, così come i signori della guerra di Gorthia, i lord di Kofreya e i nobili d’Y’Shalf. E, soprattutto, l’intera Confraternita del Tramonto! » proclamò, elencando con precisione la formazione in tal modo schierata, a dimostrazione di quanto fosse non soltanto informata di tale sviluppo, ma, probabilmente, avrebbe avuto a doversi indicare qual principale artefice del medesimo, promotrice di un evento così sensazionale da non poter trovare alcun termine di paragone.
.« E, a dispetto di ogni divisione interna, di ogni rivalità insormontabile e di ogni faida secolare, che mai avrebbe potuto giustificare la loro unione… essi si sono uniti contro di te, sorella. Si sono uniti contro voi tutte! » proseguì e puntualizzò, accettando, per la prima volta, di considerarla apertamente quale un’unità composta, una pluralità allorché la singola figura che ella pur appariva essere « E lo hanno fatto… lo abbiamo fatto, abbiamo concretizzato tutto ciò, per quanto impossibile, al solo scopo di dimostrarvi come alcuno, in quest’angolo di Qahr così come, certamente, nell’intero mondo conosciuto, sia o sarà mai disposto a permettere alla vostra follia di imperversare nuovamente, oggi come già in avvenuto in passato, come già occorso in quegli anni oscuri dei quali ci siamo stolidamente permessi di obliare memoria… e che pur, alcuno, desidera tornare a subire senza, in ciò, essere pronto a sacrificare la propria vita per il proprio diritto alla vita e alla libertà! »
Parole cariche di entusiasmo, riecheggianti di un carisma straordinario, quelle che la Figlia di Marr’Mahew si permise di rendere proprie, e di condividere non soltanto con la gemella e avversaria, ma anche, e ancor più, con chiunque lì attorno circostante; che non poterono evitare di colmare i cuori di ogni suo alleato, di ogni uomo o donna che a lei stava allora offrendo riferimento, di un sentimento di fiducia nella loro causa, e nella loro vittoria; qual alcun altro discorso, alcun altro incitamento, avrebbe potuto loro riservare, avrebbe potuto loro donare.
giovedì 25 luglio 2013
2012
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Per chi fosse sopraggiunto in quel momento a Rogautt, estraneo e inconsapevole di quanto stesse accadendo, lo scenario con il quale si sarebbe ritrovato a confronto avrebbe avuto, necessariamente, un che di paradossale, ammesso di riuscire, comunque, a essere sufficientemente attenti da essere in grado di cogliere quanto allora stesse accadendo in ogni propria sfumatura.
All’interesse di uno sguardo rapido e disattento, infatti, poco o nulla sarebbe lì emerso, non ritrovando in quel particolare contesto nulla di più e nulla di meno di quanto non avrebbe potuto essere atteso in un qualunque campo di battaglia, in un qualunque scenario di guerra, quale l’intera isola, allora, era, proprio malgrado, divenuta. Uomini e donne di ogni razza, di ogni provenienza, erano lì impegnati in un costante e continuo duello letale, che non avrebbe veduto alcuna delle due parti prevalere realmente sino a quando anche soltanto una persona sarebbe rimasta ancora in vita nelle file avversarie. In effetti, a tale sguardo superficiale, difficilmente sarebbe persino apparsa evidente la presenza di un mostro qual primo-fra-tre, una testa priva di corpo che, fluttuando in aria ed emettendo una sinistra luce giallo-verdastra, proiettava il proprio potere in sfere energetiche destinate ad annientare i propri nemici. E, sempre a simile sguardo, non sarebbe neppure risultato evidente come, per quella singola testa priva di corpo, molti corpi privi di testa erano allora non di meno intenti a combattere, e a combattere con ferocia disarmante seppur con movimenti straordinariamente lenti, quasi interminabili.
Innanzi, altresì, a un maggiore sforzo di concentrazione per isolare, nel mezzo di quel marasma disordinato, qualche punto certo, oltre all’evidenza della presenza del vicario, così come di quegli osceni zombie in numero indubbiamente maggiore di quanto non si sarebbe potuti inizialmente ipotizzare e, soprattutto, in costante crescita, nel ritornare, ormai, tanto repentinamente dalla morte da non concedere neppure trasparenza sul fatto di essere effettivamente morti; non sarebbero potuti mancare di apparire, in maniera adeguatamente palese, anche le figure di Midda e Nissa Bontor, così come di Be’Sihl e di El’Abeb, ognuno, a modo suo, contraddistinto da una maggior eccentricità di quanta, lì attorno, chiunque altro avrebbe comunque potuto vantare.
El’Abeb, innanzitutto, si ergeva al di sopra della folla di vivi e di non morti, non soltanto per un fisico indubbiamente possente, pelle bronzea ricoperta da fitti tatuaggi tribali e accarezzata, sul retro della sua schiena, da lunghi capelli castani sciolti, liberi di muoversi e di frustrare l’aria a ogni suo nuovo movimento, a ogni suo incedere; ma anche, e soprattutto, per il terrificante contrasto fra l’orrido aspetto del suo volto, maschera di morte in maniera si palese da poter essere considerata addirittura universale, e universalmente comprensibile, nel proprio messaggio, e la dolce e straordinaria bellezza della giovane donna da lui stretta a sé, inerme bambola di porcellana, qual per il candore della sua pelle non avrebbe potuto che apparire, dai lunghi capelli biondi, in un contrasto quasi osceno con lui tale da rendere a dir poco folle la semplice prospettiva dell’esistenza di una qualsivoglia relazione fra loro, qual, altresì, esisteva, ed esisteva contraddistinta da un sincero sentimento incredibilmente delicato e, al contempo, appassionato, nel confronto con il quale ogni ira, da parte dell’uomo, non avrebbe che potuto essere immediatamente giustificata alla prospettiva, terrificante, della morte di tanto amata compagna. Be’Sihl, su un fronte quasi opposto rispetto a quello del proprio alleato, non avrebbe allora potuto vantare né una particolare prestanza fisica, né un orrido aspetto, né, ancora, la presenza di una soave presenza femminile al suo fianco, a contrastarne la brutalità: ciò non di meno, in tutto quello, nella frenesia assurda di quella battaglia, non diversa da qualunque altra guerra e pur, se possibile, peggiore rispetto a qualunque altra guerra, nel considerare quanto lì in giuoco, egli sarebbe stato allora in grado di emergere innanzi al giudizio di un qualunque sguardo estraneo a tutto ciò, fosse anche e soltanto per l’assurdo incedere che lo vedeva, di volta in volta, di istante in istante, frapporsi fra gli attacchi energetici del vicario, e i propri compagni di ventura, i propri alleati, intervenendo con le proprie mani, o, addirittura, con il proprio intero corpo, quale scudo umano per tutti loro, nel proteggergli dagli effetti negativi di un potere che, tuttavia, non sembrava in grado di scalfirlo, non sembrava capace di preoccuparlo, benché perfettamente in grado, altresì, di annichilire persino gli stessi zombi a loro circostanti in quelle rare occasioni nelle quali egli riusciva a trascinarli, di peso, sulla traiettoria di tale sfera mortale.
Nissa Bontor, al centro stesso dell’intero conflitto, non avrebbe mai potuto precludersi l’attenzione di un qualche, possibile, testimone, di un qualche, estraneo, spettatore di quelle vicende, fosse anche e soltanto per il proprio aspetto, per la propria straordinaria presenza scenica che, lì, nel bel mezzo di quell’oscena battaglia, nel cuore medesimo di quel tripudio di sangue e morte, si ergeva serena e, addirittura, serafica, troneggiando su tutto e su tutti con il proprio bianco abito, candido come la sua chiara pelle ornata da efelidi, e con i propri capelli rosso fuoco, figura necessariamente regale, se non, addirittura, quasi divina nel carisma che, allora, era in grado di dimostrare, di rendere proprio, e nella generosa abbondanza delle proprie sensuali e mature forme che, immediatamente, non avrebbero potuto evitare un collegamento metaforico con una qualunque figura materna protettrice della fertilità e dell’abbondanza, propria di un qualunque pantheon: ciò non di meno, a lei e soltanto a lei, quell’intero conflitto, quella devastante battaglia, avrebbe dovuto essere riconosciuta qual dedicata, nel desiderio comune a un fronte di vederla morire, e in quello comune all’altra parte di vederla prosperare, a discapito di chiunque a lei si fosse opposto. Midda Bontor, non di meno centrale alla battaglia, non avrebbe potuto vantare la medesima regalità della propria gemella, laddove, benché identica a lei, ineluttabilmente a lei non paritaria, non equivalente, fosse anche, e soltanto, per le condizioni in cui il suo corpo, a differenza di quello della sorella, riversava, non soltanto palesemente leso nell’amputazione del proprio arto destro, addirittura reiterata nella perdita, persino, della protesi che lì, per quasi vent’anni, aveva sopperito all’assenza dell’originale, ma anche, e ancor più, per un numero di cicatrici sempre crescente che, ormai, difficilmente sarebbe stata in grado di celare, ammesso di voler agire in tal senso a protezione della propria femminilità, a tutela della propria immagine di donna, nel confronto, quantomeno, con quanto la società avrebbe da lei potuto attendersi: vittima del proprio stile di vita, dell’esistenza che aveva scelto qual propria, ancor più che degli attentati della propria gemella, ella non avrebbe potuto equivalere all’avversaria in eleganza e raffinatezza, benché, nella passione dei suoi gesti, nell’infuriare della sua combattività, nel cuore di quella battaglia, non avrebbe avuto da temere alcun rivale, non in lei, non in alcun’altra figura, maschile o femminile che dir si volesse, racchiudendo in sé il principio stesso della guerra, nel medesimo modo in cui l’altra sembrava voler incarnare, paradossalmente, l’immagine stessa della maternità e della fertilità.
Spingendo, tuttavia, lo sguardo di quel supposto osservatore a esaminare, con ancor più attenzione, l’interno contesto per così come presentato, ulteriore dettaglio non avrebbe potuto mancare di essere ravvisato, prestando particolare interesse in direzione dei pirati che, allora, non si stavano già ritrovando impegnati in contrasto a eventuali avversari. Poiché sui loro volti, nei loro occhi, non era più l’evidenza di un desiderio di imperituro impegno bellico, senza condizione alcuna, così come avrebbe potuto essere lì egualmente colto soltanto meno di un’ora prima, suggerendo, altresì e diversamente, una sentimento di dedizione assoluta alla loro sovrana, per la quale sarebbero vissuti e, soprattutto, sarebbero morti: lì, in quel momento, in quello specifico frangente, qualcosa era venuto meno a sostegno di tanto convincimento, a supporto di tale fede, rendendo evidente un certo disorientamento, un palese dubbio nel merito di quanto, tutto quello, quella battaglia, quel loro sacrificio in nome di Nissa Bontor, avrebbe avuto a doversi considerare realmente necessario, realmente giusto e giustificato. E qualunque cosa fosse successa per instillare loro quel dubbio, quell’esitazione, fosse stata la comparsa del vicario, fosse stata l’espressione di quel negromantico potere atto a riportare indietro i loro compagni caduti o, forse, il timore di potersi ritrovare, in un prossimo futuro, a ingrossare quelle fila di non morti; gli uomini e le donne di Rogautt, istante dopo istante, colpo dopo colpo, stavano iniziando, lentamente, a indietreggiare, nella volontà conscia, o forse e soltanto in ubbidienza a un istinto inconscio, di porre un certo margine di sicurezza fra loro stessi e colei che, loro malgrado, non avrebbero potuto che riconoscere qual fonte e ragione di tutto ciò. Colei che, purtroppo, non avrebbe dovuto essere indicata quale la gemella in opposizione alla quale si erano tanto animosamente schierati soltanto pocanzi.
mercoledì 24 luglio 2013
2011
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
In ciò, quindi, non soltanto Be’Sihl si schierò in prima fila, nel proprio impegno, quasi obbligato nella coscienza del potere per lui derivante dall’intima alleanza con Desmair, al fine di arginare le implacabili offensive di primo-fra-tre; ma, accanto a lui, non vollero concedersi possibilità di tardare tutti gli altri, fosse anche e soltanto al fine di ricambiargli la cortesia e, in tutto ciò, proteggerlo dall’aggressione dei non morti nel contempo in cui lui stesso si sarebbe altresì lì sacrificato, fra le loro fauci, per tutelarli dal vicario.
« Avanti, compagni! » tuonò la voce di capitan Noal, immediatamente seguendo lo sprone di El’Abeb e, in ciò, forse persino rimproverandosi per aver indugiato quanto sufficiente a quel predone senza terra per anticiparlo e per invitare tutti i propri seguaci a non desistere, a non cedere proprio in quel momento, malgrado l’evidenza di sviluppi per loro tanto negativi, tanto avversi « Dimostriamo a questi marinai d’acqua dolce, a questi dannati pirati e ai loro cadaveri rianimati, in che modo combattono dei veri figli di Thyres! Dimostriamo loro la differenza che intercorre fra dei veri guerrieri e un’accozzaglia di codardi assassini e stupratori, quali essi sono! Per Salge Tresand, per Ja’Nihr e per Berah! » concluse, citando i nomi dei loro amici, dei loro fratelli e sorelle, periti per volontà di Nissa Bontor, i quali, mai come allora, avrebbero da loro atteso vendetta per le proprie morti, per le proprie indegne uccisioni.
Parole, quelle che Noal Kedrih volle rendere proprie, che probabilmente avrebbero dovuto essere riconosciute qual fondamentalmente superflue, soprattutto nel confronto con gli animi di coloro che, oggettivamente, avrebbero avuto solide ragioni per pretendere soddisfazione per le morti appena citate, per gli omicidi da lui, in tal modo, appena rievocati.
Parole superflue, le sue, perché nel confronto con lo spirito di Av’Fahr, fratello minore della splendida Ja’Nihr, alcun invito, alcun monologo, per quanto incalzante e altisonante, avrebbe potuto sperare di ottenere maggior successo nell’evocare da lui una qualche reazione combattiva rispetto a quanto, allora, non ne avrebbe potuto già vantare egli stesso, nel confronto con il suo stesso cuore, il suo cuore che, dieci anni prima, era stato ferito a morte nel ritrovarsi a confronto con il cadavere di colei che per lui, oltre a una sorella, era stata anche una madre, un padre, un’amica e una confidente, di colei che lo aveva cresciuto, lo aveva aiutato a diventare l’uomo che era divenuto, educandolo con valori concreti, autentici, reali, quali quelli che per tutta la vita lo avevano guidato, gli avevano offerto la possibilità di essere sempre fedele a se stesso, sempre coerente con il proprio stesso animo. Purtroppo Av’Fahr, benché avesse stretto a morte, fra le proprie mani, il corpo di uno dei traditori della Jol’Ange, benché avesse frantumato, con la propria straordinaria forza, quel suo cranio, quasi null’altro fosse che un frutto maturo, non avrebbe mai potuto definirsi realmente appagato, concretamente soddisfatto, per quanto ottenuto, per quanto in tal modo reso proprio; dal momento in cui, nonostante fossero passati dieci lunghi anni, egli non avrebbe ancora potuto ignorare quanto la reale mandante di simile crudele morte, di tanto inaccettabile assassinio, non avesse ancora avuto modo di pagare per i propri crimini, non avesse ancora avuto possibilità di soffrire per quanto compiuto. E sino a quando ciò non fosse accaduto, egli non avrebbe mai potuto ritrovare pace.
Parole inutili, quelle di Noal, perché nel confronto con lo spirito del pur giovane Ifra, nipote della conturbante Berah, alcun invito, alcun monologo, per quanto sincero e appassionato qual il suo, avrebbe potuto sperare di ottenere maggior successo nel fornirgli uno stimolo a combattere, una ragione per immergersi in quella pugna tanto in profondità da ricoprirsi, integralmente, del sangue dei propri avversari, rispetto a quanto, altresì, non ne avrebbe già potuto dimostrare egli stesso, nel confronto con il suo cuore, e il suo cuore che, ancora, non era stato in grado di accettare non soltanto la morte della sua parente, della sua amata zia, quanto e, ancor più, la sofferenza a cui questa era stata condannata negli ultimi anni della propria esistenza, sin dal giorno in cui, innanzi al suo sguardo inerme, il suo amato e amante, il suo compagno, Salge Tresand, era stato colpito a morte a tradimento. Un assassinio, quello del precedente capitano della Jol’Ange, che aveva, invero, ucciso anche la stessa Berah, privandola, nel profondo del proprio cuore, del proprio animo, della gioia di vivere, nella solitudine a cui ella stessa si era costretta dopo quanto accaduto, dopo quanto in ciò avvenuto, vedendo soltanto posticipata di qualche anno anche la morte del suo corpo e della sua mente, spenti, alfine, per diretta mano di colei nell’esecuzione dell’ordine della quale il resto di lei era morto tempo addietro. Per questo, nella speranza di poter riconoscere pace all’animo della propria parente perduta, persino il giovane Ifra, il mozzo della Jol’Ange, sarebbe stato, ed era, allora pronto a combattere e a combattere con tutte le proprie energie, e sino al proprio ultimo respiro, in quella battaglia, in quella guerra, non tanto per il desino del mondo lì egualmente posto in dubbio, quanto e ancor più per ottenere la propria vedetta, la propria ricompensa, nel momento in cui Nissa Bontor, alla fine, sarebbe spirata.
Parole vuote, ancora, quelle che l’attuale capitano della Jol’Ange aveva trovato per incalzare una presa di posizione da parte dei propri amici, dei propri fratelli e sorelle, in contrasto a Nissa Bontor, che non avrebbero potuto che risultare qual tali nel confronto non soltanto con Av’Fahr o con Ifra, ma anche con tutti gli altri, con Masva, con Camne, con il suo compagno Hui-Wen, con lui stesso e, ancora e persino, benché non fossero propriamente membri dell’equipaggio della Jol’Ange, non in senso stretto quantomeno, anche con Howe e con Be’Wahr, tutti già creditori, nei confronti della regina di Rogautt, di sufficiente dolore, di sufficiente sofferenza, da stimolarli tutti alla lotta, e alla lotta non soltanto contro la stessa sovrana, ma ancor più contro qualunque antagonista, qualunque avversario ella avrebbe loro posto innanzi, nella volontà di salvarsi, nella volontà di preservare la propria indegna esistenza che pur, allora, non meritava ulteriormente di vivere, non meritava più occasione di gioire per la medesima, non dopo essere stata fonte di tanta morte qual ella, altresì, era stata.
Ma per quanto, la reazione che allora resero propria non soltanto Midda e Be’Sihl, ma anche El’Abeb e i suoi uomini, e ancora gli altri nove della Jol’Ange, non avrebbe potuto allora lasciar adito a dubbi, non avrebbe potuto lì permettere ad alcuno occasione di fraintendimento sul sentimento che tutti loro animava nel profondo, nella più assoluta e sincera avversione a discapito dell’autoproclamatasi sovrana, e usurpatrice, di quell’isola perduta nei mari del sud; la medesima non parve allora concedersi la benché minima ragione di incertezza o esitazione nel confronto con tutto ciò, con la condanna a lei in ciò promessa da quel vero e proprio esercito lì stanziato in sua negazione, in suo contrasto, continuando a offrirsi semplicemente serena, praticamente indifferente, a tanto preoccupante sforzo, e arrivando, addirittura, a canzonarlo, a beffeggiarlo, nel non voler riconoscere loro alcun valore, alcun merito, alcuna pur vaga possibilità di preoccupazione allora per lei ipoteticamente derivante da ciò. Un’indifferenza, la sua, che ove realmente tale, ove effettivamente sincera, non avrebbe potuto che dimostrarsi evidenza di un disinteresse a dir poco autolesionista… o, forse, trasparenza di un potere sì vasto, si sconfinato, da poterle realmente permettere di trascurare tutti loro quali meri insetti, da schiacciare al di sotto dei proprie piedi senza esitazione alcuna.
« A tal punto vi annoia la vita, o stolti seguaci di nostra sorella?! » domandò ella stessa, prendendo voce in diretta direzione di tutti loro, non di un soggetto in particolare, ma di chiunque, allora, aveva risposto all’appello di El’Abeb e a quello di Noal, rinfrancando la propria posizione, seppur soltanto psicologica, ove non fisica, al fianco della Campionessa di Kriarya, in una battaglia che alcuno avrebbe allora prematuramente giudicato qual giunta al termine « Tale è, realmente, il vostro disprezzo per il dono più grande, per la sola esistenza che gli dei vi hanno concesso di vivere su questa terra, da essere pronti a gettarla in maniera tanto sconsiderata, tanto folle, così come vi state dimostrando ora? Possibile che nulla vi possa spaventare, alla prospettiva delle infinite e terrificanti morti che qui vi sono promesse, per indurvi a gettare a terra le vostre armi e a invocare pietà, nella speranza di una fine quanto più possibile rapida e indolore?! » questionò ancora, riformulando lo stesso concetto in chiavi di lettura sempre diverse e, ciò non di meno, sempre identiche, nei propri più profondi messaggi « E sia… se è morte quanto cercate, sarà nostra premura accontentarvi! E che non si dica che noi, regina di Rogautt, non si abbia dimostrato generosità nei confronti di chi a noi la supplicava con tanta insistenza… »
martedì 23 luglio 2013
2010
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
« … dannazione… » sospirò la donna guerriero, scuotendo appena il capo a palesare la propria disapprovazione per quanto appena accaduto, prima di muovere quanto rimastole del proprio arto destro in nero metallo dai rossi riflessi, a colpire, come con una mazza, gli zombie a lei più vicini, maggiormente prossimi, per respingerli, conscia di non poterli abbattere in tal modo, e neppure di poterli in qualche misura ferire, e, ciò non di meno, decisa a non rendere loro facile il proprio compito, la propria avanzata, più di quanto già non avrebbe potuto essere.
Allora più che mai, invero, ella non poté che avvertire la spiacevole assenza della propria lama bastarda, quella sottrattale dal giovane Leas Tresand, in grazia alla quale, se pur non sarebbe comunque stata in grado di risolvere in maniera definitiva il problema rappresentato da quella negromantica minaccia, certamente avrebbe potuto aprirsi più facilmente la via verso la gemella, per cercare, con lei, una qualche occasione di scontro diretto. Permanendo, tuttavia, la propria lama fra le mani del nipote, suo traditore, ella non avrebbe potuto sperare in altra soluzione se non quella di appropriasi della prima arma a sua disposizione, sfruttandola, nei limiti del possibile, per la propria tutela, per la difesa del proprio domani e del proprio diritto a raggiungerlo, a conquistarlo.
Fu in tal contesto, in simile situazione, che ella allungò la propria mancina non tanto verso una delle pur numerose spade un tempo proprie di coloro che, allora, le si stavano rivoltando contro in quanto zombie, deprecandone l’impiego nell’evidenza di una scarsa fattura, con la quale avrebbe avuto qualche problema a scendere a compromessi, quanto e piuttosto verso un’ascia lì parimenti abbandonata, una possente arma bipenne che, alla memoria, non poté evitarle il ricordo dell’amica e nemica di un tempo, la splendida Carsa Anloch, sempre accompagnata da una tale risorsa nelle sue mani in grado di compiere, letteralmente, meraviglie. E per quanto, da sempre e soprattutto negli ultimi anni, il suo favore fosse stato rivolto quasi esclusivamente verso delle spade, e, in particolare, verso quell’unica, straordinaria spada che aveva conquistato insieme al titolo di Figlia di Marr’Mahew; stringendo le dita della propria mancina attorno alla lunga impugnatura di quell’ascia ella non si concesse un benché minimo istante di esitazione, immediatamente certa delle azioni che avrebbe dovuto compiere per maneggiare adeguatamente tale risorsa, simile arma, non dimentica, dopotutto, degli insegnamenti di un tempo ormai lontano, di un’epoca quasi dimenticata, e nella quale, pur, ella era stata educata all’impiego di ogni mezzo per perseguire i propri fini, di ogni strumento per raggiungere la vittoria e la supremazia.
In ciò, colei che avrebbe potuto combattere altrettanto degnamente non solo con la propria spada, naturale estensione del suo corpo, ma anche con qualunque altro genere di risorsa, di arma, fosse questa semplicemente una mazza chiodata, così come una picca, un giavellotto o altro ancora; ebbe allora possibilità di palesare tutta la propria più straordinaria, ammaliante e al contempo letale bravura, non soltanto nel combattere con quell’ascia ma, ancor più, nel danzare insieme a essa, lasciandola roteare attorno a sé, con sé, quasi avesse a doversi riconoscere non tanto un’arma, quanto una vera e propria compagna di ballo, se non, addirittura, un’amante, sì intensa e profonda avrebbe dovuto essere riconosciuta la loro intesa, la loro capacità ad agire qual espressione di un solo pensiero, di un’unica volontà, non quali due corpi estranei, quanto e piuttosto due volti di un’unica, straordinaria entità. Un’entità, una volontà, un pensiero, il loro, che in quel momento, in quel luogo, ebbe a trovare la propria capacità di espressione in un’esplosione di sangue, viscere e ossa, nel crani spaccati, nelle casse toraciche squartate, che, movimento dopo movimento, roteazione dopo roteazione, piroletta dopo piroletta, ebbero a crescere in numero, in un macabro censimento nel confronto con il quale ognuno di quei mostri, se solo avessero conservato un minimo di intelletto, avrebbero dovuto avere di che essere terrorizzati per il proprio futuro, per il proprio destino, malgrado la propria condizione di non morti, laddove, comunque, diversa essa avrebbe avuto a considerarsi nell’integrità dei propri corpi anziché nel più totale e disarmante sconquasso al quale ella, in tal modo, li stava tutti destinando. Ciò non di meno, non uno solo fra essi, non solo uno fra quei mostri frutto di negromanzia, avrebbe potuto provare patimento, pena o paura, in una condizione tale per cui alcun freno avrebbe potuto loro impedire di tentare, sempre e comunque, di stringersi attorno a lei, di ammassarsi attorno al suo corpo, nel pretendere, da parte sua, un necessario tributo di sangue e di morte, lo stesso che già avrebbe dovuto versare prima della propria ribellione e che, allora, sarebbe stato richiesto non in conseguenza a sapienti movenze di molte lame sulle sue carni, nelle sue carni, quanto, e piuttosto, di unghie, denti e, in numero sempre crescente, ossa denudate, bramose di strapparle la vita dal corpo.
Uno spettacolo, quello che Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, Campionessa di Kriarya e Ucciditrice di Dei, ebbe lì a offrire a chiunque potesse riservarsi un momento per guardarla, per rimirarla, che non avrebbe potuto mancare di apparire non di meno che entusiasmante, che straordinario e ammaliante, nel confronto con chi, in tal modo, capace di rendere la guerra simile all’amore, o forse l’amore simile alla guerra, combattendo con la stessa passione con la quale era capace di amare o, forse, amando con la stessa passione con la quale era capace di combattere, e, ciò non di meno, apparendo in entrambi i frangenti, in entrambe le possibilità, qual semplicemente meravigliosa, conturbante e seducente così come neppure la più esperta professionista del piacere di tutta Kriarya, città del peccato, avrebbe mai potuto sperare di offrirsi, non in quel tanto mortale contesto, non in altri più appropriati.
« Combattiamo, figli e figlie del Cratere… combattiamo, reietti di ogni popolo e nazione… combattiamo, fratelli e sorelle! » si levò, forse e ormai inatteso, un grido, ad accompagnare tali gesti, simili movimenti, che, allora, vennero colti qual implicitamente d’esempio per tutti loro, e come tali esaltati da quelle stesse parole, da quella voce d’incitazione « Combattiamo con Midda Bontor… combattiamo con la figlia della guerra… combattiamo per il nostro futuro! Contro la morte… contro ogni oppressione! »
E tale voce, sorprendendo invero persino la stessa Nissa Bontor, ebbe in quel contesto a sopraggiungere direttamente dalla gola dell’uomo con la faccia da scheletro, El’Abeb, il quale, benché colpito dal nero raggio di morte proiettato dalla punta del tridente in speciale lega metallica dagli azzurri riflessi della regina di Rogautt, ancor non si volle palesare qual sconfitto, o, peggio, qual morto, nel ricomparire in mezzo alla folla di pirati e di zombie, spazzando entrambi come sotto l’azione della ruota di un mulino, lì rappresentata dal suo braccio destro e dall’arma ivi stretta, nel mentre in cui con la mancina stringeva a sé il corpo privo di sensi, o forse privo di vita, della splendida Shu-La, alla quale, evidentemente, aveva destinato il proprio primo pensiero nel momento in cui gli era stata concessa opportunità di ritornare al centro della battaglia, nel cuore di quella lotta sempre più caotica, sempre più confusa e letale, al crescere degli elementi coinvolti.
Sotto la spinta per loro derivante da tale sprone, non uno fra gli uomini e le donne a lui fedeli, appartenenti alla sua colonna, ebbero lì ragione di indugiare ulteriormente, di esitare ancora su quanto doveva essere compiuto, su quanto stava venendo loro richiesto di porre in essere e, soprattutto, su quanto non avrebbero avuto timore di tradurre in atti concreti, non in contrasto ai pirati non morti, non, tantomeno, a quelli ancora in vita, benché nella consapevolezza di quanto, ogni colpo portato a termine, non avrebbe avuto allora altro effetto se non quello di accrescere le fila degli zombie, in termini tragicamente proporzionali. E se El’Abeb e i suoi uomini avrebbero potuto ancora combattere, così come loro suggerito dallo stravolgente esempio della Figlia di Marr’Mahew, ciò non di meno avrebbero dimostrato desiderio di agire anche i dieci della Jol’Ange, che lì, indifferenti al timore della morte qual solo avrebbero dovuto imporsi d’essere, per non restare pietrificati nell’isteria conseguente a tutto ciò, non avrebbero mai desiderato ricadere in secondo piano, non avrebbero mai voluto essere ridotti a semplici comparse sullo sfondo di quell’azione, nel mentre in cui tutti gli altri si stavano pur impegnando in maniera tanto palese al fine di rendere il proprio nome, per quanto forse sconosciuto, degno della leggenda che sarebbe un giorno stata cantata attorno a quelle difficili ore.
lunedì 22 luglio 2013
2009
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Per quanto l’ingresso in scena di quel nuovo, potente pezzo, all’interno della loro già complicata partita, avrebbe potuto suggerire alla sovrana di Rogautt ottime ragioni per cedere all’ira, inveendo non soltanto in contrasto alla propria gemella, o nuora che dir si volesse, ma anche nei confronti del suo amante, o marito e per lei figlio, nell’aver questi apparentemente reso del tutto inutile, fine a se stesso, l’intervento del proprio vicario, del potente primo-fra-tre lì ridotto a una semplice macchietta, a una figura a contorno della scena laddove avrebbe potuto esserne il protagonista principale; da parte della stessa Nissa, o Anmel, od Oscura Mietitrice, secondo le proprie preferenze, tutto ciò non diede adito ad alcun genere di sconforto né, banalmente, ad alcuna palese dimostrazione di disapprovazione e condanna, dimostrando di preferire, a differenza rispetto alla controparte, accogliere quell’evento, quella rivelazione, quale qualcosa di pur atteso, annunciato, previsto, in misura tale da non riservarsi dubbi su se ciò fosse accaduto, a su quando, altresì, ciò sarebbe accaduto. Un quando che, allora, non avrebbe più riservato alcuna possibilità di sorpresa, non si sarebbe più dimostrata qual un’incognita, offrendole in tutto ciò, altresì, occasione per elaborare l’accadimento e comprendere il modo in cui, meglio, avrebbe potuto renderlo ininfluente nel confronto con il conflitto in corso.
A vantaggio della regina, infatti e senza particolare possibilità di sconvolgente e inattesa epifania, avrebbero potuto essere lì evocati ben altri due vicari, altri due alleati ancor più forti e potenti, ove possibile, anche nel confronto con primo-fra-tre. Ciò non di meno, per quanto, tali risorse non fossero mai state impiegate in contrasto alla sorella o ai suoi alleati, riservando qual proprio, quantomeno, un certo… possibile fattore sorpresa; l’utilità che sarebbero stati in grado di rendere propria, nel porre sfida diretta contro la donna guerriero o il suo compagno, sarebbe comunque stata nulla, nel non poter riservare qual propria alcuna particolare speranza di successo superiore a quella del loro, minore, compagno. Soltanto vano, in simile analisi, sarebbe stato quindi qualunque eventuale impiego di tanto potenti risorse in un simile contesto, in una tale situazione, anche e soltanto nell’ipotesi di poter, per loro tramite, sterminare tutti gli altri alleati, e amici, della coppia.
Per propria fortuna, e per palese disgrazia dei propri antagonisti, un altro potere, un’altra capacità le era sempre stata propria, persino nei lunghi anni in cui, Anmel e l’Oscura Mietitrice, erano restate intrappolate all’interno di quel diadema maledetto allor indossato e sfoggiato da parte di Nissa Bontor. Un potere di natura negromantica che, a partire dal luogo ove il diadema era stato sepolto, era stato nascosto e protetto agli occhi del mondo al fine di ovviare all’eventualità di un possibile ritorno di quell’empia sovrana, figlia dell’ultimo dei faraoni di Shar’Tiagh, aveva avuto modo di diffondersi sulle terre circostanti, avvelenandole nella propria più intima natura, per così come anche pocanzi rammentato da El’Abeb. E quella che, in un lontano passato, era stata una laguna florida, piena di vita, vegetale e animale, in cui sarebbe stato sufficiente gettare un amo legato a una lenza anche senza alcuna esca per riuscire a pescare un esemplare da non meno di due piedi di lunghezza; per causa sua, per effetto della sua negativa influenza, si era tramutata in un’orrida palude, un luogo non soltanto malsano ma, esplicitamente, malato, all’interno del quale soltanto terrificanti mostri avrebbero potuto sperare di prosperare, fra schiere di non morti continuamente alimentate da qualunque malcapitato che, a quel territorio, ai confini di Grykoo, avesse avuto la sciagurata idea di offrire sfida.
Ma se tanto terrificante avrebbe dovuto essere riconosciuto il suo potere in quegli anni, in quei secoli nei quali ella era rimasta sopita; quanto e ancor più temibile avrebbe dovuto essere valutato ciò che Anmel Mal Toise avrebbe allora potuto compiere ove pienamente cosciente di sé e del mondo a sé circostante?
« L’inutile aborto che si vanta di essere nostro figlio può anche arginare il potere del nostro vicario, impedendogli di cancellare subitaneamente l’esistenza dei tuoi amici dal piano stesso della realtà… » ammise, ritrovando voce e riconoscendo loro quel piccolo successo, quell’occasione da loro in tal modo conquistata « Ciò non di meno, la medesima interdizione che protegge entrambi voi, immeritatamente, dai poteri del primo-fra-tre, non vi preserverà dall’assalto degli uomini e delle donne che hanno giurato di proteggerci, in vita così come in morte… »
« … Thyres… » gemette la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, ben comprendendo a cosa l’altra potesse star offrendo in ciò riferimento e, subito, voltandosi verso il gruppo dei dieci per cercare di porli in guardia dai cadaveri che avevano accumulato attorno a loro, al momento della loro ribellione « … zombie! » gridò, minimizzando il proprio avvertimento entro la più semplice sequenza di sillabe che mai sarebbe stata in grado di comporre attorno a quel tema, nel merito di quella minaccia.
« … e siamo pronte a scommettere che nostro figlio Desmair, nel suo nuovo corpo, non potrà vantare la medesima invulnerabilità che lo ha da sempre contraddistinto. » soggiunse la regina, prima di risollevare in posizione verticale il proprio scettro, il proprio tridente, spingendolo poi, con foga, a impattare al suolo con l’estremità inferiore della propria asta, in un gesto indubbiamente plateale e che, ciò non di meno, vide diffondersi, svilupparsi, da tale punto d’impatto, un’onda di straordinaria energia che, istante dopo istante, si allargò sempre più, non dissimile dagli effetti di un sasso gettato all’interno della placida acqua di una pozza, coinvolgendo nel proprio potere, nella propria negromantica forza, tutti i cadaveri che lì attorno erano già stati accumulati nella feroce rivolta degli uomini fedeli a El’Abeb « Non è forse vero?! » concluse, con un sorriso trasparente di malvagia soddisfazione, già volto a pregustare quanto, allora, sarebbe accaduto.
Scossi nel loro riposo, soltanto sperato qual eterno, coloro che, fra i pirati di Rogautt, erano caduti vittime della congiura ordita da Midda Bontor e dal suo potente alleato El’Abeb, che entro le fila di quei predoni e assassini, di quei razziatori e tagliagole, aveva infiltrato i propri rinnegati, oltre a se stesso e alla propria amata Shu-La; iniziarono a rianimarsi, lentamente ma inesorabilmente, riportati indietro, in un’illusione di vita che pur mai avrebbe potuto definirsi qual tale, benché egualmente lontana anche dalla morte, dal potere della loro sovrana. E per quanto gravi avessero potuto essere le ferite che li aveva veduti condannati, non soltanto ventri squartati o teste spaccate, ma addirittura capi decollati o arti mutilati, tutti loro si iniziarono a muovere ubbidendo al silenzioso richiamo della propria regina, di colei che a tale oscena esistenza di aveva convocati, camminando, chi ancor in grado di farlo, o strisciando, altrimenti, verso coloro riconosciuti quali propri antagonisti, non soltanto in riferimento alla stessa Midda e ai dieci della Jol’Ange, ma anche, nella piazza lì circostante, sui tetti lì attorno e nelle vie attigue, rivolgendosi in direzione di qualunque uomo o donna che non a Nissa Bontor e a Rogautt aveva realmente destinato la propria fedeltà, il proprio impegno di vita.
Ma dove anche, la piaga della negromanzia, in ogni propria accezione, avrebbe dovuto essere riconosciuta, nella loro realtà quotidiana, in ogni società di quell’angolo di mondo e, probabilmente, del mondo intero, qual parte concreta e attiva, tale da obbligare in qualsiasi rito, in qualunque tradizione, la cremazione dei morti qual unica soluzione certa al fine di assicurare loro imperitura possibilità di quiete, quantomeno oltre la vita così come, probabilmente, non era stata loro concessa in vita; tale confidenza, simile quieta possibilità di confronto con tanto orrore, non avrebbe in alcun modo reso più semplice, banale o scontato quel confronto, quella sfida, non laddove, purtroppo, alcuna arma, alcuna lama, mazza o dardo, a prescindere da quale materiale l’avrebbe mai costituita, avrebbe potuto sperare di rendere propria una qualunque possibilità di supremazia su chi non più in vita, neppure impegnandosi nel ridurlo nei più piccoli frammenti immaginabili. Perché fosse stata loro negata non soltanto la testa, ma anche qualunque altro arto, ciò non di meno essi avrebbero continuato a muoversi, avrebbero continuato ad avanzare, trascinando ogni propria singola parte con le unghie e con i denti, se necessario, fino a quando non fosse intervenuta l’azione purificatrice del fuoco a consumarne ogni forma, ogni singola traccia, ovviando alla loro minaccia e, ciò non di meno, restituendo loro la pace negata, in una soluzione che, purtroppo, non sarebbe stata allora attuabile da parte di alcuno fra i compagni della Figlia di Marr’Mahew, a meno di non voler offrire alle fiamme l’intera isola, sacrificando in tal senso anche le proprie stesse vite.
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