Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
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Sean, 18 giugno 2022
sabato 13 luglio 2013
2000
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Un lungo addio, quello da lei in tal modo cantato, che, nella straordinaria energia della sua voce, nell’incredibile forza delle sue tonalità, così distanti da quanto, comunemente, sarebbe stato riconosciuto qual trasparente di una qualche soave femminilità, più roco, più profondo, più intenso di quanto ci si sarebbe potuti attendere da una donna; si impose, nel crescendo delle proprie note, non solo all’attenzione dei suoi compagni, dei dieci a cui la stava lì dedicando, ma anche, straordinariamente, sull’intera isola di Rogautt che, improvvisamente, vide cessare il frastuono che, sino ad allora, aveva tutti dominato, il roboante vociare di morte che, sino a quel momento, aveva tutti contraddistinto, per permettere, anche a chi più lontano da quel palco eretto al solo scopo di rappresentare la tragedia della fine di una straordinaria vita, di udire, ascoltare e seguire l’intera ballata, l’intero saluto che, non dissimile da un testamento, la stava trovando alfine in quieta accettazione della propria sorte e, ciò non di meno, decisa a non permettere che la ropria fine avesse a considerasi la fine della propria missione, di ciò per cui ella era lì sopraggiunta. E benché tale impegno, simile intento, avesse a doversi riconoscere in violenta contrapposizione a colei che, allora, dall’alto del proprio trono, stava attendendo l’adempimento, l’esecuzione della condanna da lei stessa promulgata; non uno fra tutti i suoi sudditi, fra tutti i pirati che a lei si erano votati nel corso di quegli anni, di quei decenni, sembrò in grado di levare parole o azioni in contrasto all’imporsi di quella canzone, in un paradossale rispetto per chi, in tal modo, stava apprestandosi a rimettere il proprio spirito immortale in gloria agli dei e, nella fattispecie, alla dea Thyres, che da sempre aveva venerato, aveva onorato e, talvolta, bestemmiato, e che, nell’ipotesi della sua esistenza, certamente non si sarebbe nascosta innanzi a lei una volta che il labile confine fra la vita e la morte fosse stato superato.
Persino la stessa triplice nemesi della Figlia di Marr’Mahew, della Campionessa di Kriarya, dell’Ucciditrice di Dei, la sovrana di quell’isola, la dominatrice di quegli uomini e donne, Nissa Bontor, Amnel Mal Toise e l’Oscura Mietitrice riunite all’interno di un unico, indubbiamente splendido, corpo, identico a quello della gemella e pur, diversamente da lei, non contraddistinto dagli orrori di un’intera esistenza trascorsa a lottare per la propria sopravvivenza, e turbato, soltanto, da un’identica cicatrice in corrispondenza al proprio occhio sinistro, da lei stessa inflittasi unicamente per poter interpretare il ruolo della propria antagonista nel corso dei suoi ultimi attentati; persino ella, allora, tacque, e non si intromise nel naturale decorso di quelle rime, di quei versi, di quelle strofe, attendendone pazientemente la conclusione. E solo quand’essa occorse, necessaria e imprescindibile, la regina di Rogautt si levò, alfine, in piedi, per offrire la propria replica a quelle parole, a quell’ultima dichiarazione della propria sorella, della propria nemica, prigioniera e condannata.
« Siamo liete che tu abbia deciso di condividere con noi tutti i tuoi pensieri, sorella cara. » annunciò, con tono che, malgrado il momento, malgrado il contesto e l’occasione, non parve imporsi sprezzante verso di lei, non abbisognando, del resto, di infierire ulteriormente a suo discapito rispetto a quanto, già, non sarebbe presto avvenuto sotto i suoi occhi e gli occhi dell’intera isola « E siamo liete che tu abbia scelto di condividerli in una maniera tanto plateale, sì teatrale, affinché tutti ne fossero testimoni. Poiché non abbia, in ciò, a dirsi che noi, regina di Rogautt, ti abbiamo impedito di parlare… ti abbiamo impedito di esprimerti liberamente, innanzi alla morte e al cospetto degli dei tutti che, presto, ti accoglieranno nella loro gloria. »
« Non sovrana ingiusta, non tirannica dittatrice, desidero abbia a diffondersi il verbo della nostra riscossa, della nostra vittoria, così alfine raggiunta e conquistata. Perché, a dispetto di tutto ciò che tu e i tuoi amici avete voluto professare in questo ridicolo tentativo di rivolta contro di noi, da parte nostra non è alcun desiderio di distruggere il mondo… ma, soltanto, l’ordine costituito al suo interno. » precisò, proseguendo in quella propria replica « E tu, sorella cara, qual più importante esponente di tale ordine, di un passato che deve morire affinché il futuro possa trionfare e la sua straordinaria luce diffondersi sopra a ogni mare e a ogni terra, devi ora morire. »
Fiera e straordinaria, in tutto ciò, ella apparve, lassù circondata dai propri più fedeli luogotenenti, dai propri più importanti capitani e alleati, nonché dalla propria famiglia. Una famiglia che, in quel particolare contesto, si mostrò per la prima volta, innanzi agli occhi della sorella, in tutta la propria completezza: non soltanto palesando il giovane Leas, già conosciuto; ma anche due ancor più giovani, poco più che bambine ma non ancora riconoscibili quali fanciulle, fra loro gemelle, e del tutto prive di qualunque tratto distintivo del sangue di Tresand, tali da suggerire un diverso padre alla base del loro concepimento.
E al centro di tale ristretta schiera, quale sovrana, comandante, amica e, persino, madre… ella, Nissa Bontor! Con un corpo maturo e ancor incredibilmente tonico, con generosi seni straordinariamente sodi, che era lì avvolto elegantemente nel lungo abito bianco da lei scelto per quel momento, quasi a voler offrire risalto, simbolicamente, a un candore, a un’innocenza che pur non possedeva più da molto, troppo tempo. Con lunghi e rossi capelli color fuoco, il naturale colore per lei e per la sua gemella proprio, che si concedevano ordinatamente acconciati al di sopra del suo capo, con il diadema appartenuto alla stessa Anmel lì adagiato, quasi a voler ricordare a colei che sarebbe presto morta come, solo per suo tramite, per sua colpa, a tutto ciò fosse stata data occasione di essere e di essere in tal maniera, ove se ella non avesse recuperato quella reliquia perduta, né lo spirito di quella defunta regina, né la sua ancor più terribile alleata sarebbero state liberate. E con un magnifico e micidiale tridente, per lei solo e straordinario scettro atto a ricordare la sua supremazia su i mari del sud e, presto, su ogni mare, che si manteneva impugnato nella propria destra, forgiato nello stesso metallo della straordinaria spada bastarda della propria antagonista, quella di cui Leas, ancora al suo fianco, si era illegittimamente appropriato.
« Prima di procedere… hai qualcos’altro da aggiungere…?! » la invitò, addirittura e nuovamente, concedendole ora dichiaratamente la possibilità di parlare innanzi a tutto il proprio popolo, lì ancora in silenzio, lì ancora placido dopo le tristi note di quella canzone e, ancora, il breve monologo della loro rispettata e temuta regina « Parla ora, sorella… »
A dispetto, tuttavia, di tale richiesta, di simile generosa concessione, Midda Bontor restò allora in quieto silenzio, limitandosi a voltarsi verso la propria interlocutrice e ritrovandosi costretta, proprio malgrado, a sollevare lo sguardo per poterla osservare, dal basso della posizione in cui si stava ponendo rispetto a lei.
Laconici, i suoi occhi color ghiaccio, forse vinti, ma mai realmente sconfitti, osservarono uno a uno i compagni e le compagne della propria gemella, senza soffermarsi su alcuno fra loro in particolare: non sul fisico possente di una coppia di figli del regni desertici centrali, che non avrebbero mai sfigurato accanto al possente fisico di Av’Fahr; non su una giovane donna di Hyn, dall’esotico fascino conturbante; non su un guercio dall’espressione serafica e quasi divertita né sulla sua compagna, una giovane albina addirittura inquietante nella propria eterea presenza, seppur incredibilmente sensuale. Ancora, quelle sue gelide gemme, proseguirono nella contemplazione della famiglia della propria gemella, esitando in ciò per qualche istante di più, non tanto su Leas, al quale non avrebbe avuto altro da dire; quanto sulle due bambine, nelle quali non avrebbe potuto evitare di veder riflesse l’immagine sua e di Nissa, domandandosi quale futuro avrebbe potuto contraddistinguerle, per quanto, almeno sotto un profilo strettamente fisico, fortunatamente, non si stavano proponendo quale loro ennesima copia, suggerendo un certo ricambio genetico del quale, altresì, l’erede di Salge Tresand non aveva goduto. E, alfine, pur sempre senza concedere trasparenza della volontà di aggiungere altro a quanto già detto, il suo sguardo si focalizzò proprio in quello della gemella, negli occhi egualmente color ghiaccio di lei e pur, anche da quella distanza, trasparenti di una natura ormai troppo complicata per poter essere considerata a lei in qualche misura equivalente, nell’affollamento di spiriti e di identità lassù presenti e, in egual misura, imperanti.
« E sia… » annuì Nissa, constatando in quel silenzio l’assenza di qualunque altro desio di espressione da parte della condannata « Addio… Midda Bontor! »
Parole, quelle che ella adoperò, che vennero immediatamente e correttamente intese, da parte delle guardie circostanti la donna guerriero, quale un segnale utile a procedere, nel comandarle, con le solide argomentazioni proprie dell’acciaio, di accomodarsi su quell’altare e lì di lasciarsi incatenare, in attesa di quanto sarebbe successo, di quanto sarebbe accaduto.
E se pur, accompagnata da un crescendo di tensione negli animi dei suoi dieci compari, le catene dei quali non poterono evitare, allora, di fremere sotto l’impeto dei loro muscoli, della loro ribellione, in un primo istante, ella parve serenamente rassegnata all’ubbidienza, senza null’altro aggiungere; fu proprio nell’istante in cui i suoi glutei si accostarono all’ara predisposta per la sua esecuzione, mantenendo il volto in direzione della propria indiretta assassina, che le sue carnose labbra ripresero a muoversi, scandendo un ultimo, ribelle intervento…
« In effetti qualcosa da dire ce l’avrei… » replicò, forse tardiva, ma con tono di voce utile a non permettere al proprio intervento di essere frainteso, nel non voler rinunciare a comunicare quanto, allora, aveva deciso di affermare e, in tal senso, non attendendo alcun ulteriore permesso per proseguire « … Nissa Bontor, usurpatrice di Rogautt: arrenditi e comanda la resa per tutti coloro che ti sono fedeli. E, forse, insieme, riusciremo a trovare un modo per salvarti la vita. »
« … come…?! » aggrottò la fronte colei in tal modo apostrofata, dimostrandosi, giustificatamente, trasparentemente sorpresa, se non, persino, attonita; confusa nell’incertezza del senso da poter attribuire a quell’ordine perentorio da parte di chi, obiettivamente, avrebbe dovuto considerarsi già morta « Vuoi davvero che di te sia ricordata un’isterica follia in punto di morte…? »
… ma, a negare la follia in tal modo suggerita qual dominante sull’intelletto della sua gemella, un inatteso, imprevisto e imprevedibile guizzare di lame e sangue sconvolse inaspettatamente la formazione di eletti a lei circostanti, vedendo il guercio e la sua pallida donna sterminare, in pochi, rapidi e letali colpi, tutti coloro lì presenti, a eccezione della stessa Nissa e dei suoi figli, prima ancora che ad alcuno fra coloro lì uccisi potesse percepire un pur vago sentore della propria fine.
E con un semplice sorriso, nel mentre in cui, la guerra di cui ella era da sempre incarnazione, si manifestò in tutta la propria più letale magnificenza; la Figlia di Marr’Mahew si concesse un solo commento: « Ops… »
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