11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 30 marzo 2009

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C
ercando di isolare la propria mente dalle percezioni sensoriali offerte all'udito, in quel momento eccessive nel loro quantitativo ed eccessivamente confuse nel loro proporsi per essere accettate ed ascoltate, la mercenaria si concentrò completamente sull'ambiente offertole innanzi e, parallelamente, cercò di richiamare le immagini relative all'interno della sala che sapeva essere state sicuramente impresse nella sua memoria, allo scopo di trovare dei punti di raccordo, delle possibili vie di accesso.
Pur non avendo avuto occasione di studiare preventivamente la planimetria della struttura, né di maturare una reale coscienza sull'intero edificio, essendo lì da troppo poco tempo per raggiungere un simile risultato, ella avrebbe potuto comunque fare affidamento sul periodo apparentemente sterile trascorso all'interno della sala, in quella serata, allo scopo di attingere ad un discreto quantitativo di dati impressi nella sua mente su quella particolare zona all'interno della struttura. A questo, poi, non avrebbe potuto evitare di aggiungere anche tutte le informazioni comunque per lei proprie in conseguenza dell’esperienza accumulata nel corso del tempo su architetture similari, seppur non appartenenti alla medesima cultura, seppur non derivanti da uno stesso modo di concepire il mondo. In ciò, per esempio, ella era fiduciosa di come una cupola ampia e possente quale era quella che sovrastava l’edificio, in ciò, non avrebbe mai potuto essere stata concepita e costruita con un unico strato di muratura, con un solo livello di superficie: al contrario almeno un’intercapedine doveva essere stata prevista all’interno di essa, uno spazio forse stretto, sicuramente celato, ma attraverso cui, semplicemente anche la stessa servitù avrebbe potuto avere accesso a punti della medesima struttura altrimenti irraggiungibili, improponibili a qualsiasi attività di manutenzione o pulizia quali, invece, sarebbero obbligatoriamente state richieste per evitarne il disfacimento. Al pari di tali vie, altre non dovevano mancare, passaggi segreti che pur potevano essere stati probabilmente concepiti senza desiderio di segretezza, di malizia, e che in quell’occasione le avrebbero permesso di raggiungere il proprio obiettivo dove altrimenti apparentemente a lei negati. Un insegnamento importante, fondamentale che aveva del resto imparato nella propria vita, nelle proprie numerose missioni aventi come unico scopo la violazione di luoghi dimenticati dagli uomini e dal tempo, progettati anche per non essere mai violati, era proprio come raramente una costruzione avrebbe offerto un’impossibilità completa di accesso: se anche molteplici, in quel mentre, si stavano presentando le porte chiuse lungo tutta la circonferenza della sala, ella non avrebbe mai potuto evitare di essere confidente del fatto che, di certo, almeno un'altra strada fosse rimasta libera da ogni barriera, da ogni blocco. Un condotto che ella avrebbe ritrovato ed adoperato, per raggiungere la propria protetta.
All’interno della sala, quest’ultima, Nass'Hya, pur inconsapevole dell’interesse verso di sé rivolto dalla mercenaria, o più propriamente del tutto ignava in merito all’esistenza stessa della sua custode, si poneva in una situazione tutt’altro che piacevole, dalla quale neppure la speranza di essere raggiunta da una donna guerriero del calibro della Figlia di Marr’Mahew le avrebbe potuto offrire quiete. Terrorizzata al pari di tutti gli altri presenti, si era dovuta ritrovare costretta nella scelta ambigua e pur, parimenti, negativa offerta dal finire schiacciata dal panico della folla contro una delle vie di uscita, sigillate da una forza oscura, oppure ghermita dagli artigli dell’algul. Ma proprio quest’ultima, per sua fortuna dove non aveva voluto negarsi ogni possibilità di movimento all’interno dell’isterismo di massa, non era apparsa bramosa di iniziare il proprio pasto da lei.

« No… no… no! » gridò, disperato, uno dei pochi guerriglieri rimasti ancora in vita, notando lo sguardo del proprio fato dirigersi verso di lui, comunicandogli una sentenza letale che, umanamente, non avrebbe mai potuto accettare.

In effetti, la jinn vampira, fin dal momento stesso del proprio ingresso nella sala, era apparsa preferire innanzitutto i rappresentanti della milizia armata che entro quell’area le stavano venendo offerti, richiedendo apparentemente solo le loro vite per saziare il proprio appetito. Grazie a ciò, in una scelta probabilmente inconscia, ella stava svolgendo un eccellente ruolo di salvataggio per tutti gli ostaggi, dove, comunque, nessuno fra questi ultimi si sarebbe mai potuto ritenere fiducioso del fatto che, terminato il proprio impegno con i guerriglieri, l’algul sarebbe effettivamente scomparsa nel nulla, non imponendo su alcun altro una tremenda, straziante morte.

« No… no! » supplicò l’uomo, cercando un qualche riparo, cercando una qualche via di fuga, stringendo ancora la propria spada quasi fosse un amuleto più che un’arma realmente utile a difenderlo.

Un sibilo fu l’unica risposta che venne concessa al malcapitato, un suono primordiale, angosciante, nel quale ogni sua negazione venne rifiutata, ogni sua speranza dissolta, il suo stesso futuro drasticamente accorciato. Sul volto dell’algul un ampio e tremendo sorriso comparve per un istante, un evidente ed inconfondibile segno di soddisfazione per quanto le stava venendo concesso, per ciò che il fato le aveva presentato innanzi e nel mentre in cui le sue braccia si levarono rapide e letali, venendo trapassate più volte senza successo dalla spada del disperato, gli artigli sembrarono rilucere di un’energia oscura, di un magnetismo malefico: proprio quelle lame, innaturali e lontane da rassomigliare a qualsiasi concetto comune, appartenente ad una qualunque quotidianità, attraversarono imperturbabili ed irrefrenabili l’intero corpo dell’uomo, penetrandogli nel petto e fuoriuscendogli dalla schiena, non ad ucciderlo, non a privarlo della propria vita in una fine rapida e, forse, pietosa, quanto solamente ad imprigionarlo. Così irretito, al guerrigliero non fu concessa altra possibilità di movimento se non quella che gli venne imposta dalla sua predatrice, dal jinn che, come già aveva fatto per quasi tutti i suoi compagni, lo sollevò di peso da terra, per poi iniziare, lentamente ma inesorabilmente, a nutrirsi della sua stessa vita, della sua energia, della sua anima, che quale un flusso luminescente iniziò a scorrere dalla bocca di lui a quella di lei, inebriando quest’ultima quasi simile sapore fosse pari a quello di un meraviglioso nettare, di una bevanda divina di cui non poter fare a meno.

« Pietà… pietà… » gemette, forse pregando con simili parole non tanto la propria assassina quanto tutti i propri dei per concedergli, in quello stesso momento, una fine migliore di quella a cui, purtroppo, sembrava essere destinato.

La principessa osservò per l’ennesima volta quel macabro rituale essere condotto a termine: la pelle dell’uomo, inizialmente pulsante per il dolore e la paura, lucida di sudore, rossa per l’intensità di tali sensazioni, iniziò ad essiccarsi, incartapecorirsi, nelle sue estremità, per poi assumere tonalità nerastre, quasi mummificate a dimostrazione di una lenta ma inarrestabile necrosi. Ancora vivo, ancora capace di muoversi, di percepire il mondo attorno a sé e di gridare la propria pena, egli si ritrovò a vivere un decadimento improvviso del proprio corpo, quasi fosse rimasto a marcire per epoche in una cripta perduta, dimenticata, maledetta, vedendo le sue dita, prima, le sue estremità, poi, ed i suoi arti man mano diventare simili a carbone bruciato: proprio in quel suo movimento, in conseguenza di gesti tanto incontrollati quanto incontrollabili nel dolore e nell’ansia di quell’esperienza tremenda, le sue stesse membra si polverizzarono, diffondendosi nell’aria attorno a lui come leggero pulviscolo, impercettibile al tatto, una cenere leggera della quale non sarebbe presto rimasto altro che il ricordo.
In momenti lunghissimi, interminabili per il condannato ad una tale pena, eppur così rapidi, così irrefrenabili per coloro che lo avrebbero presto seguito, anche di quel guerrigliero non restò che il torso, ancora urlante per una sofferenza indescrivibile, ancora incredibilmente eppur terribilmente vivo, capace di percepire perfettamente il mondo a sé circostante ed il proprio decadimento.

« Piet…ta….aaaah… »

Ed in quell’ultimo grido, ormai trasformatosi in un’imprecazione contro coloro che non gli avevano voluto concedere tanta grazia, egli svanì completamente, divorato dalla sua avversaria, dalla sua nemica. Una fine dolorosa, forse, per coloro che ancora in vita lo avevano conosciuto, ma una perdita per la quale nessuno ebbe il tempo di piangere, dove l’insaziabile jinn si volse rapida alla ricerca di una nuova preda.

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