11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 23 giugno 2009

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Q
uella notte, la Figlia di Marr’Mahew restò sola: sola nel tergere il proprio corpo, sola nell’immancabile esercizio fisico utile a concederle un completo rilassamento, sola nel proprio giaciglio.
Naturalmente i rimproveri che ella si addusse non furono pochi e non trovarono rapida conclusione come probabilmente ella avrebbe preferito. Quanto accaduto, del resto, le si concedeva quale un madornale errore, uno sbaglio dettato forse più dal timore di ciò che sarebbe potuto derivare dal raggiungimento di un nuovo stadio nel proprio rapporto con Be’Sihl, che dai freni impostile da un sogno, dalla macabra fantasia che l’aveva colta nel mentre di quel riposo inatteso, non programmato. Proprio lei che di fronte ad alcun pericolo, ad alcuna sfida, per quanto mortale, era solita retrocedere, rinunciare, arrendersi, in quella particolare occasione aveva agito vigliaccamente, in maniera disonorevole per se stessa e per il sentimento che pur il compagno aveva deciso di dichiararle, di donarle nonostante i suoi tentennamenti, le sue incertezze. Non era più una fanciulla ormai da molti anni, non era di certo una verginella nuova ad emozioni e sentimenti forti, o all’amore di un uomo, eppure aveva indietreggiato, aveva accampato ogni genere di scuse per evitare quell’abbraccio, quel calore, benché avesse goduto nel perdersi in esso, nel bacio che pur egli non aveva voluto mancare, per quanto avesse insistito, infine, per restare sola: di tale comportamento non avrebbe potuto evitare di vergognarsi, di imbarazzarsi, addirittura prendendo in esame l’ipotesi di abbandonare la locanda e cercare rifugio altrove, lontano da lui e da ogni cosa che potesse in qualche modo rimembrarlo, farlo riaffiorare alla sua attenzione, alla sua mente. Un rimedio che sarebbe rimasto comunque privo di soluzione, là dove avrebbe semplicemente negato la questione anziché affrontarla, con le ovvie conseguenze che a tale azione sarebbero immancabilmente derivate.
Nel tentativo di dimenticare, di obliare quanto accaduto, ella cercò sfogo nel proprio allenamento, in quella serie di attività ritmiche, costanti, quotidiane delle quali nei limiti del possibile non era solita mancare di impegnarsi, per mantenere in perfetta efficienza ogni singola parte del proprio organismo oltre che, forse più concretamente, per ristabilire un corretto equilibrio fra mente e corpo, attraverso un rituale più prossimo alla meditazione che al semplice esercizio fisico. Tutto lo sforzo che pretese dalle proprie membra, però, tanto da arrivare a crollare senza più energie sul proprio letto, sfinita oltre ogni misura, non riuscì a distrarla, non le permise di rifuggire ai propri pensieri, alla propria coscienza, che senza sosta continuava a ripeterle poche semplici sillabe.

« Stu-pi-da! » sbuffò, rigirandosi con frustrazione sotto le coperte, non riuscendo a raggiungere un compromesso con se stessa neppure nel merito della posizione in cui riuscire ad addormentarsi.

In verità, difficile sarebbe stato comprendere se tale insulto, come la lunga serie di altri identici o comunque similari, che ella non mancò di attribuirsi in molteplici occasioni quella notte, stesse derivando dalla scelta compiuta, dal rimorso maturato attorno ad essa, segnale trasparente di quanto sbagliata non mancasse di apparire innanzi alla sua stessa coscienza, o, ancora peggio, dall’inibizione che la tratteneva legata a quel giaciglio ogni qual volta riusciva a prendere in esame l’ipotesi di discendere alla ricerca del locandiere, per terminare quanto iniziato. Ma la decisione era ormai stata effettuata e, per quanto controversa, per quanto discutibile e discussa intimamente, con e contro se stessa, non sarebbe potuto essere revocata: in virtù di simile, semplice principio, in effetti, non venne modificata in alcuna delle sue parti e la donna guerriero, vittima della propria stessa testardaggine, non poté che restare costretta a quella notte solitaria, non diversa da qualsiasi altra lì trascorsa in passato e, pur, incredibilmente pesante, quasi insopportabile, al pensiero di quanto si era negata, di quanto aveva perduto.

Nel partire da presupposti tanto spiacevoli, il mattino seguente il suo risveglio si concesse inevitabilmente quale estremamente irritato, a proprio discapito scatenato da un martellante bussare contro la sua porta, contro il legno dell’uscio della sua camera.
Per quanto abituata a destarsi, in maniera naturale, alle prime luci dell’alba, non riuscendo a sopportare di restare a letto nella consapevolezza del sole crescente all’esterno, in quel particolare giorno l’astro maggiore si stava già proponendo alto mentre ella ancora era rifugiata fra le coperte, fra le lenzuola, alla ricerca di un riposo prima negatole, rifiutatole per quasi tutta la notte. Nell’avvertire tanto frastuono, nella mente pur annebbiata della mercenaria fu immediatamente chiaro come solo due categorie di persone avrebbero potuto spingersi in simile azione, a turbare in tal modo il suo giusto sonno: la prima si sarebbe potuta considerare formata da tutti coloro che, conoscendola ed avendo familiarità con lei, i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi legittimamente preoccupati dal suo ritardo, così insolito, improprio per lei; la seconda, al contrario, si sarebbe dovuta ritenere generata dall’unione di tutto il resto dell’umanità, coloro che senza conoscerla, senza alcuna familiarità con lei, i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi impavidamente autorizzati a offrirle siffatta sfida in casa propria, nei suoi stessi alloggi. Comunque, al di là delle ragioni celate dietro a quell’insistenza, le conclusioni che da essa sarebbero potute derivare, nella mente della donna, si concentrarono in una sola, comune direzione: quella che la vide allungare la propria mano mancina a raccogliere la spada lasciata a riposo accanto a sé, al fianco del letto, per essere pronta ad aprire il cranio dello sventurato avventuriero sopraggiunto nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
Amico o nemico che egli fosse dove, in quella giornata ella non desiderava considerarsi clemente con alcuno.

« Rammenta uno ad uno i nomi di tutti i tuoi dei, razza d’imbecille. » suggerì, con voce impastata, rialzandosi dal giacilio e ondeggiando fino alla soglia della propria camera, stordita come raramente le era accaduto essere in conseguenza del riposo interrotto « Presto ti sarà utile per riconoscerli, quando li incontrerai di persona… »

Ma nell’aprire di scatto la porta, già pronta a menare un violento fendente contro il disturbatore, ella si ritrovò di fronte all’ultimo volto che forse mai si sarebbe attesa di incrociare in quel momento, di cogliere in quell’occasione, indugiando, in conseguenza di ciò, nella propria altrimenti ferma condanna.

« Ti sei completamente ammattito?! » gli ringhiò contro, abbassando la propria spada nel concedergli clemenza, pur senza, in ciò, offrirgli perdono per quella violazione del proprio spazio vitale, della propria intimità « Avrei potuto ucciderti ed essere assolutamente giustificata per questo… »

Alcuna risposta, però, le venne offerta dal proprio interlocutore, che, oltre ad essere stato evidentemente colto di sorpresa dall’impeto di quella reazione, nonché del tono adottato dalla donna guerriero, avrebbe potuto anche e legittimamente considerarsi quantomeno sconvolto alla vista del corpo nudo offertogli innanzi, in maniera tanto naturale.
Nel lasciare il proprio letto per accogliere il responsabile di una tale scocciatura, Midda non aveva ovviamente preso in esame alcun senso di pudore nel merito del proprio aspetto, presentandosi di fronte alla porta, da lei stessa dischiusa con evidente violenza, senza alcun abito addosso. Non era sua abitudine, invero, indossarne per dormire, soprattutto se in una locanda ed a seguito di un bagno caldo, come era stato per lei nella sera precedente, senza poi considerare come, inoltre, ella non si fosse mai posta alcuna remora nel merito del proprio aspetto fisico, a riguardo della propria femminilità, non trovando alcuna ragione per la quale doversi vergognare del proprio corpo e, in conseguenza, non vivendo il minimo imbarazzo dinnanzi anche agli sguardi più indiscreti. In virtù di quelle filosofie, addirittura, ella era spesso giunta ad estremi che la maggior parte delle persone avrebbero considerato assolutamente impropri, quali combattere e vincere intere battaglie rivestita unicamente da una coperta attorno alle spalle, a semplice e necessaria protezione dal freddo e non, di certo, a difesa di un qualche sentimento di decenza.

« Lo dirò solo una volta… e ti invito a farne tesoro prezioso per il bene del futuro del nostro rapporto: evita questo atteggiamento di meraviglia ogni volta che ti capita di vedermi nuda. » suggerì al proprio ospite, tirandosi indietro e invitandolo ad avanzare, dove chiaramente egli doveva essere giunto fino a lei con tanta irruenza solo per questioni serie e non per un semplice saluto « Ormai dovresti conoscere a sufficienza come sono fatta e, sinceramente, le tue scene mute stanno iniziando a diventare ripetitive… »

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