Per quanto, certamente, H’Anel, figlia di Ma’Vret Ilom’An, il leggendario Ebano, potesse vantare i propri problemi psicologici, anche e soprattutto in conseguenza a quanto subito da bambina, impossibile sarebbe stato per chiunque avere a poterla accusare di difettare in coraggio. Anzi. Se una cosa non avrebbe avuto a poter mancare ad H’Anel tale avrebbe avuto a doversi intendere proprio il coraggio, caratteristica che, in fondo, l’aveva contraddistinta sin dalla più tenera età, e che, anche durante i famigerati eventi della sua infanzia, le aveva permesso di mantenere quanto più possibile in controllo, fosse anche e soltanto per non permettere al suo fratellino M’Eu di avere a disperarsi.
In ciò, nel momento in cui H’Anel si scoprì sola in quel corridoio oscuro, e in quel corridoio oscuro apparentemente privo di fine, ella non ebbe a cedere in alcuna maniera al panico o alla paura. E, anzi, ebbe addirittura a rallentare volutamente il proprio respiro, per impedire al proprio cuore di poter accelerare i propri battiti in maniera incontrollata.
« Duva...?! » provò per la terza volta a chiamare l’amica, per escludere che tutto ciò avesse a poter essere un fraintendimento da parte sua, e che, in verità, ella non avesse a doversi considerare sola.
Ma ancora una volta nessuno le rispose. E nelle imperscrutabili tenebre di quel corridoio sotterraneo, ella ebbe quindi a fermare del tutto i propri passi, nella consapevolezza di quanto, allora, avere a proseguire oltre avrebbe potuto rappresentare per lei una spiacevole occasione di pericolo, nell’inconsapevolezza di ciò che avrebbe potuto attenderla il passo seguente.
In effetti, anzi, inconsapevole ella avrebbe avuto a dover essere intesa non soltanto di quanto avrebbe potuto attenderla lì avanti, ma anche, e persino, della propria attuale ed effettiva locazione, là dove, in quelle tenebre, ella avrebbe potuto anche essere finita in qualunque altro luogo diverso dal corridoio in cui si trovava pocanzi, senza, in ciò, avere a potersi riservare la benché minima possibilità di intendimento a tal riguardo. Per tale ragione, quindi, la priorità maggiore sarebbe dovuta essere avere a ridefinire la propria attuale collocazione e, possibilmente, ritrovare una qualche occasione di luce prima di aver ad avanzare di un solo, ulteriore passo.
Allargando, quindi, le braccia a destra e a sinistra, ella provò a muovere qualche piccolo passo in entrambe le direzioni, a verificare la presenza, o meno, delle pareti attorno a lei. E quando sotto alla punta delle sue dita ebbe a palesarsi la fredda superficie della roccia, e dei mattoni di roccia che costituivano le pareti di quel corridoio, la figlia di Ebano non poté che riservarsi un’occasione di soddisfazione, a confronto con l’idea di essere, quantomeno, ancora dove avrebbe dovuto essere. O, quantomeno, in una versione similare di ciò...
« In fondo lo sapevo che questo luogo non è molto stabile... » commentò in un sussurro fra sé e sé, a ricordare quanto, in effetti, tale caratteristica avrebbe avuto a doversi intendere la ragione per la quale, allora, lei e Duva si erano spinte sino a lì, alla ricerca di Midda Bontor.
Concentrandosi, allora, sulla parete alla propria destra, la seconda da lei raggiunta a conferma della propria invariata presenza nel corridoio, ella ebbe a lasciar risalire quietamente la mano verso l’alto, a ricercare in ciò il canaletto lungo il quale avrebbe dovuto scorrere quel liquido infiammabile, responsabile dell’illuminazione di tutto quel complesso. E quando raggiunse tale punto, a nuova riprova che tutto avesse a doversi intendere invariato, ella si ritrovò prossima a gioire, prima di essere costretta a placare il proprio entusiasmo nel confronto con un particolare tutt’altro che entusiasmante.
« ... e dai. » protestò, nel ravvisare quanto, purtroppo, il canaletto lì sopra fosse terribilmente asciutto, del tutto svuotato del proprio supposto contenuto.
Per sicurezza, e pur senza riservarsi particolari illusioni, ella ebbe allor a muoversi verso la parete sinistra, a verificare anche lì la situazione. E, purtroppo e come in parte previsto, anche nel canaletto lì presente non ebbe a poter trovare alcuna evidenza di liquido alcuno, in termini tali per cui, proprio malgrado, avrebbe avuto a dover restare al buio.
Per carità: nella bisaccia in groppa al proprio cavallo, ella poteva vantare di possedere una coppia di splendide torce. Ma, obiettivamente, non avrebbe avuto ragioni per potersi illudere del fatto che, anche riuscendo a riconquistare l’uscita da quel luogo, avrebbe avuto a emergere nel proprio mondo e innanzi al proprio cavallo. Anzi...
« Per la grazia di tutti gli dei. » sussurrò, intimamente contrariata dall’idea di essersi potuta smarrire in un altro mondo, e di averlo fatto in maniera così potenzialmente banale, senza apparentemente alcuna possibilità utile a tornare indietro.
A confronto con tutto ciò, un’altra persona, meno padrona di sé e delle proprie emozioni, avrebbe potuto cadere vittima del panico, in maniera, in fondo, neppur ingiustificata o ingiustificabile.
Tuttavia H’Anel, figlia di Ma’Vret Ilom’An, il leggendario Ebano, non ebbe in alcuna maniera a palesare alcuna ansia, né, ancor meno, a soffocarla nel proprio intimo. Ben consapevole, in fondo, di quanto cedere alla paura, in quel momento, non l’avrebbe aiutata a trovare un modo per sopravvivere a tutto quello e per tornare a casa, ella semplicemente si negò qualunque occasione in tal senso, decidendo di affrontare quella nuova avventura con stessa positiva propositività che, ne era certa, doveva star animando in quel momento anche Duva, ovunque fosse.
« ... e comunque l’avevo detto che sarebbe stato meglio evitare il corridoio immerso nelle tenebre. » ironizzò con un sospiro, scuotendo appena il capo a margine di ciò.
Nessun rimprovero, nessuna asprezza, avrebbe avuto a poter essere riconosciuta a margine di quelle parole: benché ella si fosse dichiarata contraria a proseguire in quella direzione, e benché in tal senso fosse stata la sua compagna d’arme a insistere, ella non avrebbe potuto in alcuna maniera colpevolizzare la stessa Duva per quanto accaduto, là dove, dopotutto, non era certamente dipeso da lei tutto ciò.
Come anche appena ricordatasi, ella sapeva bene quanto quel luogo non avesse a doversi fraintendere qual particolarmente accogliente: in caso contrario non avrebbe potuto adempiere al proprio compito, e al compito di ospitare e proteggere la fenice. E pur perfettamente consapevoli di ciò in cui si sarebbero andate a cacciare, tanto ella quanto Duva avevano scelto comunque di proseguire, sospinte dal comune desiderio di soccorrere Midda Bontor, ovunque ella potesse essere andata a finire.
« Boh... » concluse, stringendosi appena fra le spalle e, quindi, decidendo di riprendere ad avanzare, e di riprendere restando rasente al muro alla propria mancina, in grazia al quale poter allora sperare di conservare un minimo di orientamento malgrado le tenebre più assolute nelle quali era sprofondata « Tanto restare qui ferma non mi aiuterà di certo a uscire da questa situazione. »
Una speranza, in fondo, ella avrebbe potuto renderla propria malgrado tutto: quella di riuscire a giungere sino alla parte più profonda e protetta di quel tempio, e lì di avere occasione di incontrare la fenice in carne e ossa... o di qualunque sostanza fosse composta. Perché, ovunque ella potesse essere allor finita nel multiverso, certamente la fenice sarebbe stata in grado di ricondurla a casa, per così come, del resto, tante volte aveva fatto lo stesso per Midda.
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