11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 6 marzo 2017

RM 064


Quando i primi soccorsi arrivarono, ben poco era rimasto del mondo felice che Brote aveva tentato di costruire in quegli ultimi dieci cicli.
Sito in un’area rurale del sesto pianeta del sistema periferico di Ae-Mlich’Cras, sotto il controllo del meta-regno del sistema Vornilo come molte altre potenziali risorse in quell’area della galassia, la magione era stata volutamente eretta a non meno di sei ore di volo atmosferico rispetto alla più vicina città… all’unica città, propriamente indicabile come tale, di quell’intero pianeta, Ae-Mlich’Loos. Il pianeta, straordinariamente rigoglioso e, per lo più, ancor disabitato, era stato colonizzato per la prima volta solo quattrocento cicli prima, quattro secoli, all’incirca, secondo la codificazione comune, e da allora gli insediamenti erano rimasti estremamente contenuti nella propria proliferazione a causa della posizione sufficientemente scomoda di quell’intero sistema solare, estraneo alle principali rotte commerciali. Poca gente avrebbe avuto piacere a vivere pressoché isolata dal resto dell’universo… ma, per Brote, quella che per chiunque altro sarebbe stata una motivazione in direzione contraria, si era dimostrata qual una delle ragioni principali nella scelta di tale destinazione, dieci anni prima.
Tuttavia, proprio in conseguenza a quella distanza, quando l’allarme di un’incursione aliena era scattata, necessariamente troppo lunghi erano stati i tempi di risposta. E quando i primi soccorsi arrivarono, quello che ebbero a trovare fu uno spettacolo a dir poco desolante.
Nell’intero cortile interno, nell’abbraccio protettivo del chiostro che Brote aveva voluto così eretto nel rispetto del proprio stesso gusto personale, una trentina di corpi carbonizzati, o semicarbonizzati, erano sparsi in maniera disordinata, palese risultato dell’azione devastante delle armi al plasma: uomo e donne, talvolta, non erano neppur distinguibili nella propria medesima appartenenza di genere, dal momento in cui l’azione del plasma aveva letteralmente sciolto le loro carni a livello cellulare, rendendo irriconoscibili le vittime in maniera tale che, forse, ammesso di trovare materiale genetico sufficiente, solo un’analisi del DNA avrebbe potuto permettere di associare loro un qualche nome. Il corpo del padrone di casa, Brote, fu uno, forse, fra i meno danneggiati, per quanto l’azione, in tal caso folgorante, del plasma, ne avesse sostanzialmente bruciato l’intero addome, dal collo al pube, non concedendogli possibilità di scampo: il trauma per tale attacco, probabilmente, doveva essere stato così intenso da non avergli neppure consentito di elaborare l’idea di essere morto.
Fra tutti i cadaveri, tuttavia, quanto ebbe a preoccupare i soccorritori fu l’evidente assenza di qualunque bambino o bambina…

« Razziatori… probabilmente delle chimere. » constatò, con tono grave, Iano Koltre, il responsabile di quella spedizione, storcendo le labbra verso il basso in segno di disapprovazione a quella prospettiva « Hanno ucciso gli adulti e hanno preso i bambini… probabilmente per rivenderli come schiavi. » scosse il capo, chiudendo per un istante gli occhi, ed evitando di completare la frase per così come avrebbe desiderato.

Dentro di sé, infatti, per quanto terrificante potesse essere tale pensiero, Iano ebbe a dispiacersi per il fatto che, loro malgrado, i bambini fossero stati risparmiati: la morte, probabilmente, sarebbe stata una sorte migliore per tutti loro, rispetto a quella che, in quel modo, era stata loro promessa.
La schiavitù, nell’universo, era un argomento di vivo confronto fra posizioni sempre antitetiche, e, purtroppo, incredibilmente trasversali a qualunque discorso razziale. Così come, in molti sistemi, la schiavitù delle razze non umane, comunemente indicate con l’improprio termine chimere, da parte degli umani era considerata legale; in molti altri sistemi, la schiavitù degli umani, da parte delle chimere, era parimenti considerata legale; ciò senza dimenticare la schiavitù di umani da parte di altri umani, o di chimere da parte di altre chimere. E, anche laddove, come nei pianeti sotto il controllo del meta-regno di Vornilo, la schiavitù non era legale, pur senza scadere in traffici clandestini, troppo spesso essa finiva per assumere altre forme, altre caratteristiche, tali da aggirare il limite nel pieno rispetto della legge.
Il sergente Koltre, personalmente, aborriva l’idea di schiavitù. E, in questo, nel corso di quegli ultimi anni, aveva avuto modo di instaurare un ottimo rapporto basato su grandissima stima nei confronti del defunto Brote, dal momento in cui, pur vivendo in quel luogo ai margini della società, e dell’universo, e pur essendo, potenzialmente, in condizione di poter trattare i propri dipendenti alla stregua di schiavi, aveva altresì sempre dimostrato loro maggiore rispetto e garantito loro maggiore dignità di chiunque altro lui avesse avuto occasione di conoscere nella propria vita.
Alla luce di ciò, l’idea che i suoi figli fossero stati in tal modo condannati a un tanto infausto destino, sinceramente, gli contorceva l’intestino al punto tale che, se solo avesse avuto fra le mani uno di quei razziatori, lo avrebbe volentieri fatto a pezzi… con un coltello.

« Mi dispiace, amico mio… » ebbe a sussurrare, chinandosi sul corpo di Brote e premurandosi di chiudergli gli occhi, con una carezza delicata sul suo viso « … nessuno potrebbe meritare di finire così. E, certamente, non tu. Non la tua famiglia… »
Proprio in quell’istante, la voce di un suo subalterno ebbe a richiamarne l’attenzione altrove: « Sergente! » esclamò questi « Qui c’è qualcuno ancora in vita. »
« Dottore… presto! » invocò Iano, rivolgendosi verso il medico assegnato alla sua squadra, il dottor Gimia Cone, piegato, poco distante da lui, a verificare le condizioni di un altro cadavere parzialmente bruciato.

Il sergente Koltre e il dottor Cone attraversarono rapidamente il cortile, verso la direzione in cui era stata dichiarata la presenza di un sopravvissuto. E quando raggiunsero il loro compagno, fra le colonne del chiostro, ebbero a ritrovarsi di fronte al corpo orrendamente devastato di una donna a dir poco splendida, che Iano non ebbe esitazione alcuna a identificare.
Benché del suo intero braccio destro, così come della sua gamba destra, non fosse rimasto fondamentalmente nulla, se non due moncherini inceneriti, benché quanto rimasto intatto del suo corpo fosse stato selvaggiamente dilaniato da numerosi tagli, simili a segni di artigli inferti sulla sua carne, e benché, in tutto quello, improbabile sarebbe stato credere che ella potesse essere ancora in vita per chiunque non l’avesse conosciuta prima; quella donna, dai lunghi capelli color del fuoco raggruppati in un’ordinata treccia a partire fin dalla parte superiore della nuca, dalla candida pelle ornata di lentiggini, e dagli occhi color del ghiaccio, in quel momento aperti ma, chiaramente, incapaci di vedere, nello stato di parziale coma in cui ella era ricaduta, non avrebbe avuto a dover essere scambiata per una persona qualsiasi, né avrebbe potuto accettare di morire come una persona qualsiasi… così come, obiettivamente, avrebbe allora dovuto essere ormai da almeno sei ore, se non per il trauma derivante dall’azione del plasma, quantomeno per il sangue che, abbondante, aveva perduto, copiosamente versato dalle ferite a lei inferte, una delle quali persino a sfregiarle il viso, proprio in corrispondenza al suo occhio sinistro.

« E’ la moglie di Brote… » esclamò Iano, non volendo credere ai propri occhi « Dottore… deve salvarla! » ordinò al medico, per poi voltarsi verso gli altri suoi uomini « Verificare rapidamente gli altri corpi, e poi prepariamoci per un trasporto d’urgenza a Ae-Mlich’Loos… presto! »
« … salvarla…? » esitò il medico, pur immediatamente genuflettendosi su di lei, per un primo esame « Sinceramente, non riesco neppure a capacitarmi di come faccia a essere ancora in vita… »
« Non si preoccupi per questo, Gimia. » scosse il capo il sergente, osservando con assoluta fiducia la sopravvissuta « Forse non ha mai sentito parlare di lei… ma questa donna è praticamente leggenda! » dichiarò, non tentando di celare l’evidente ammirazione alla base di simili parole « Se non fosse per il fatto che li ucciderei volentieri io stesso, in questo momento potrei persino provare pietà per i responsabili di questa carneficina: perché quando ella si risveglierà, non esisterà angolo in questo universo nel quale potranno nascondersi. » sancì, in una quieta profezia di morte « Midda Bontor li troverà e li farà a pezzi, vendicando suo marito e salvando i suoi figli. Mi può credere, dottore… mi può credere! »

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