11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 4 settembre 2020

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E nell’offrirsi pienamente consapevole di ciò, la Campionessa di Lysiath non avrebbe avuto, allor, a poter lasciare nulla al caso. Neppure in quell’apparentemente imprevista e improvvisata ritirata, per così come, di lì a breve, Nissa e i suoi compagni avrebbero potuto sperimentare sulla propria pelle…

Sotto l’attacco congiunto di tutte le forze a disposizione di colei che un tempo era stata regina dei pirati dell’isola di Rogautt, prima e unica regina, in effetti, in un regno da lei stessa plasmato secondo i propri desideri, e private di una qualsivoglia illusione di difesa, le mura di Lysiath ebbero ad assolvere al proprio compito ancora per poco: giusto il tempo necessario, ai più veloci fra loro, ad arrampicarsi lungo quelle mura, a calarsi dal lato opposto e ad aprire le porte della città, permettendo, con buona pace di quel pur solido sistema difensivo, l’accesso all’urbe a quei nemici in poco meno di un’ora.
Un’ora nel corso della quale, tuttavia, Midda e i sopravvissuti della milizia non avrebbero avuto a doversi lì fraintendere qual in inoperosa attesa della propria fine, quanto e piuttosto in quieta fuga all’interno delle intricate vie della capitale, e di quella capitale concepita su disegno tranitha. Scopo della Figlia di Marr’Mahew, in quel cedere le mura, non sarebbe stato, infatti, quello di una qualsivoglia occasione di resa, quanto e piuttosto quello di un cambio nelle dinamiche di giuoco, e di quel giuoco della guerra che, continuando con le regole precedenti, avrebbero inesorabilmente finito per perdere. Così, allorché avere a sostenere l’onere di un assedio, e di un assedio a opera di nemici incapaci a provare stanchezza o dolore, in termini ben diversi da loro, l’Ucciditrice di Dei ebbe a preferire l’idea di tradurre quel conflitto in una guerriglia, e in una guerriglia a confronto con l’idea della quale la schiacciante disparità numerica allor esistente fra loro avrebbe potuto, con il sostegno degli dei, tradursi in un vantaggio, e in un vantaggio che sarebbe stato loro offerto da una migliore conoscenza del territorio, da una maggiore velocità di movimento e, soprattutto, dal vanificare qualunque genere di possibile approccio da parte dei loro antagonisti, nel potersi riservare, paradossalmente, maggiore libertà di iniziativa lì dentro allorché sulle mura della città.
Un’idea, quella propria della Campionessa di Lysiath, che non avrebbe avuto a doversi, comunque, lì fraintendere qual del tutto improvvisata, avendosi a considerare, purtroppo, fra le alternative da lei inizialmente previste per lo sviluppo di quel conflitto. E quelle alternative che, in momenti diversi, avrebbero potuto essere abbracciate a confronto con i più variegati sviluppi della situazione.
Certamente l’essere giunti a quel momento non avrebbe avuto a dover essere considerato riprova di un momento positivo per loro, né, tantomeno, per la loro causa: l’abbandono delle mura, in favore dell’inizio di una guerriglia, e di una guerriglia urbana, avrebbe avuto a dover essere, in effetti, riconosciuta qual l’ultima soluzione a confronto evidente con la più ovvia impossibilità a mantenere quella posizione, e quell’ovvia impossibilità, loro malgrado, resa esplicita nel confronto con il crescente numero di morti fra le loro fila, e l’esponenziale crescita di presenze, altresì, nelle fila dei loro avversari  Di quanto negativo, tuttavia, avesse a doversi intendere quell’evento, soltanto Duva e Lys’sh avrebbero avuto a doversi riconoscere qual precedentemente informate: per tutti gli altri, quello avrebbe avuto a doversi intendere né più, né meno, qual uno sviluppo come altri, un ordine certamente non atteso e, pur, che mai avrebbero avuto a discutere, per così come, sino a quel momento, non avevano avuto a discutere nessun ordine da parte della loro Campionessa.
Del resto, tutti i membri di quella milizia volontaria erano ormai troppo provati, fisicamente e psicologicamente, per potersi riservare occasione di polemica, e di una polemica che, oltretutto, sarebbe risultata palesemente inutile in un contesto qual quello. In tal senso, loro malgrado, erano tutti consapevoli che, se fossero riusciti a sopravvivere a tutto quell’orrore, ciò sarebbe stato, sicuramente, in grazia al sostegno e al supporto della loro eroina. Della loro eroina e, perché no?, delle sue due, egualmente leggendarie, amiche, la Sterminatrice di Mostri e la Furia Nera, i cui meriti in battaglia, in quelle ultime ore, in quell’ultimo giorno, avevano avuto, chi più, chi meno, tutti occasione di ammirare. Ove, al contrario, essi fossero caduti nel corso della battaglia, tale non sarebbe stata, necessariamente, colpa di quelle tre figlie della guerra, quanto e piuttosto del fatto che, proprio malgrado, tutto il loro impegno, tutta la loro buona volontà, non avrebbero potuto renderli, dal giorno alla notte, dei veri guerrieri.
Se la Campionessa di Lysiath aveva quindi lì giudicato necessario ritirarsi all’interno della città, per mutare il loro stile di battaglia, e per meglio adattarlo alla situazione… beh… nessuno di loro avrebbe certamente sollevato la benché minima critica. Anzi. A buon dire, poter abbandonare quelle mura, nel confronto con le quali avrebbero pur avuto a doversi intendere fondamentalmente estranei, per fare ritorno a un paesaggio, a una situazione per loro più quotidiana, più abituale, entro certi versi non avrebbe potuto ovviare a rinfrancarli psicologicamente, ponendoli innanzi a un paesaggio decisamente più confortevole, nonché, in effetti, estremamente più motivante, nel ben ricordare loro le ragioni di quanto allor stavano compiendo, del perché si stessero impegnando, e stessero impegnando le proprie vite in una sfida forse e obbligatoriamente destinata a sconfitta certa. Se combattere sulle mura, a confronto con quell’assedio improbo, sarebbe necessariamente risultato alienante, negando loro qualunque empatia con quel pur indubbiamente razionale scopo ultimo, e lo scopo ultimo della propria sopravvivenza; ben diverso avrebbe avuto a doversi considerare tutto ciò nel ritrovarsi innanzi all’immagine propria delle strade nelle quali vivevano, abitualmente, le proprie vite, nelle quali magari erano nati e cresciuti, o avevano visto nascere e crescere i propri figli, o i propri fratelli e le proprie sorelle; ben diverso avrebbe avuto a doversi considerare tutto ciò nel ritrovarsi innanzi all’immagine propria di quegli angoli nei quali vivevano, abitualmente, le proprie vite, nei quali magari avevano avuto occasione di incontrare per la prima volta l’amore, o, anche e soltanto, di sperimentare la gioia dell’amicizia sincera. Per quelle amicizie, per quegli amori, per quei fratelli e quelle sorelle, per quei figli… insomma… per tutto ciò che per loro era vita quotidiana, quella battaglia avrebbe potuto avere ancora senso, malgrado ogni stanchezza, malgrado ogni spossatezza, fisica e mentale.
Perché più di Midda, più di Duva e più di Lys’sh, sarebbero stati tutti loro ad avere a perdere qualcosa nel momento in cui Lysiath fosse caduto. Qualcosa che, in effetti, sarebbe stato più giusto riconoscere come tutto: e non soltanto in riferimento alle proprie vite, quanto e piuttosto in riferimento a tutto ciò per cui le loro vite avevano avuto senso sino a quel giorno.

« So che siete stanchi. So che siete provati. So che avete visto morire innanzi ai vostri occhi molti vostri compagni, amici e, soprattutto, fratelli e sorelle d’armi. » si volle impegnare a comunicare loro la voce della Campionessa, nel mentre di quel ritiro, e di quel ritiro nel corso del quale le loro fila ebbero, necessariamente, a ricompattarsi « So che siete spaventati. So che siete confusi. So che probabilmente siete anche sfiduciati, nel non aver veduto neppure uno fra tutti i nostri avversari cadere realmente, cadere senza più rialzarsi. » ebbe a continuare, in un discorso che, apparentemente non avrebbe avuto a offrirsi di particolare incitamento, se non fosse presto arrivato un “ma”.
« E so che probabilmente vi state domandando se, alla fine, non vi sto semplicemente conducendo al macello, offrendovi tutti quanti come vittime sacrificali per la salvezza delle vostre famiglie, di tutti coloro che hanno lasciato la città e che, vogliamo tutti sperare, stiano viaggiando verso una meta sicura, lontana dagli orrori ai quali noialtri stiamo assistendo. » continuò, decisamente più impietosa ella stessa in proprio stesso contrasto rispetto a quanto non sarebbe stato onestamente pronto a offrirsi chiunque fra i presenti « E se anche così fosse… sarebbe poi sbagliato?! » domandò, scuotendo il capo e offrendo, in tal gesto, la retorica replica a quell’interrogativo.

Non immediato, a confronto con un tale discorso, sarebbe stato riuscire a comprenderne il fine ultimo.
In effetti, anzi, quello avrebbe potuto essere anche considerato il peggior discorso motivazionale che mai qualcuno avrebbe potuto immaginare di offrire, e di offrire, soprattutto, in un momento come quello. Ma…

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