Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
mercoledì 30 settembre 2020
3415
Avventura
065 - Seconde occasioni
“Ma che cosa accidenti mi è successo...?!”
Una domanda legittima, quella da lui in tal maniera formulata nella propria mente, a confronto con tanto orrore, e con un orrore che l’avrebbe sicuramente spaventato molto di più se soltanto vi fosse corrisposta una qualche sensazione di dolore.
Per quanto, tuttavia, egli fosse lì in piedi, con il ventre squarciato lungo il proprio asse longitudinale; e per quanto, ancora, lì non vi fosse la benché minima evidenza di ciò che, altresì, avrebbe dovuto essere allora lì dentro presente, a iniziare dal proprio intestino, il proprio stomaco, il fegato, la milza, il pancreas e così via dicendo; non una sola, singola sensazione di pena avrebbe avuto a gravare sulla sua mente. Al contrario, egli avrebbe avuto a dover ammettere di sentirsi bene quanto mai si era sentito in vita sua, privo di qualsivoglia senso di stanchezza, di affaticamento, e persino di ansia, benché, obiettivamente, vi fossero non poche ragioni per potersi sentire, allor, più che in ansia.
Così, più incuriosito che, effettivamente, spaventato, egli ebbe addirittura a sollevare una mano in direzione del proprio addome, per poter andare a meglio verificare cosa stesse accadendo. E in tal semplice gesto non poté ovviare a comprendere quanto, obiettivamente, la situazione avesse a doversi intendere più generalizzata rispetto a come non avesse avuto ragione di intenderla sino a quel momento. Un intendimento, il suo, conseguenza dell’evidenza della mano che ebbe quindi a muovere: una mano dalla pelle scura e incartapecorita, al di sopra non di carne, quanto e semplicemente delle sue ossa, quasi la carne gli fosse stata negata o, più probabilmente, avesse avuto a seccarsi, a disidratarsi, sino a mummificarsi, assumendo quell’osceno e fragile aspetto.
“... sono morto...?!”
Una domanda retorica, per così come egli stesso ebbe quindi a considerarla, quella da lui in tal maniera formulata nella propria mente. E una domanda, in effetti, che ancor prima di doversi intendere qual tale, avrebbe avuto ad assolvere al ruolo di risposta a confronto con l’interrogativo precedente.
Ovviamente la questione non sarebbe potuta mancare di sembrargli tremendamente sciocca. Come avrebbe mai potuto essere morto se, in quel momento, era cosciente di sé? Come avrebbe mai potuto essere morto se, in quel momento, si stava giustappunto interrogando sull’eventualità di essere morto. No. Nulla di tutto quello avrebbe potuto giustificare l’idea che fosse morto, pur, ovviamente, non offrendo credito alcuno neppure in direzione contraria, neppure a confronto con l’eventualità di avere a considerarsi vivo.
Chiudendo per un istante gli occhi, Korl Jenn’gs cercò di concentrarsi a ricordare come fosse giunto sin lì. E ancor prima di potersi offrire una qualsiasi occasione di consapevolezza in tal senso, egli non mancò di tornare a guardarsi attorno, nel ravvisare di non avere la benché minima idea di dove fosse effettivamente il “lì” in questione.
“Dove diamine sono finito...?!”
Una domanda forse di minor importanza, soprattutto a confronto con gli interrogativi precedenti, e pur una domanda a confronto con la risposta alla quale anche gli interrogativi precedenti avrebbero potuto trovare una qualche risposta.
Korl Jenn’gs non era mai stato una persona di fede. Non laddove, in fondo, nessuno in quel dell’intero quarto pianeta del sistema binario di Fodrair avrebbe avuto a potersi considerare tale. Il progresso tecnologico aveva spazzato via antiche superstizioni religiose e di tutto ciò che, un tempo, era considerato fede era rimasto soltanto un ricordo lontano. Un ricordo che, allora, egli avrebbe desiderato non avere a riconoscere così lontano, laddove, all’occorrenza, avrebbe potuto offrirgli una qualche chiave di lettura nel merito di quanto lì stava accadendo. Perché se egli non era morto, ma, chiaramente, neppur vivo, doveva essere da qualche parte oltre il concetto stesso di vita, in un qualche bizzarro aldilà nel merito del quale, purtroppo, non avrebbe potuto vantare alcuna pregressa conoscenza, fosse anche e soltanto teorica.
Un aldilà, comunque, parecchio strano ed estremamente affollato, quello nel quale non poté mancare di notare essere, dall’aspetto simile a un’antica biblioteca, di quelle che ancora esistevano quando le informazioni si immagazzinavano nei libri cartacei anziché in versione elettronica; e una biblioteca, in effetti, parecchio lugubre. Non che, comunque, egli avrebbe potuto vantare esperienze pregresse in altre biblioteche, per poter esprimere un ponderato giudizio di merito a riguardo di quella in particolare: ciò non di meno, quel luogo sembrava uscito da un’opera dell’orrore... e non soltanto per gli inquilini di quel luogo, in condizioni, effettivamente, non migliori delle sue, ma anche, e soprattutto, per le proprie stesse forme, per i propri colori, in un terrificante sentore di morte che, avesse avuto ancora a doversi preoccupare della morte, non avrebbe ovviato a spaventarlo.
“... sono morto...”
Non più una domanda, ora, quanto e piuttosto un’affermazione. E un’affermazione che sorse nella sua mente insieme al ricordo di quando era stato inviato a tentare di fermare l’irruente aggressione condotta da una sola, singola donna umana, e una sola singola donna umana che, a gran voce, stava ricercando due bambini...
« Il mio nome è Midda Namile Bontor. E sto cercando due bambini. » parve riecheggiare allora la voce della donna nelle sue orecchie, quasi stesse ancor lì parlando benché, chiaramente, quello fosse soltanto un ricordo... e il ricordo dei propri ultimi istanti di vita « I loro nomi sono Tagae e Liagu: un maschietto e una femminuccia. Credo di età approssimativa fra gli otto e i dieci cicli. »
Midda Namile Bontor. Questo era il nome della donna che l’aveva ucciso. E Tagae e Liagu erano i nomi dei due bambini che ella stava cercando.
Perché mai stava cercando due bambini? E perché li stava cercando lì presso quella sede della Loor’Nos-Kahn, in quello che avrebbe avuto a doversi intendere semplicemente un polo di ricerca medica...?!
« Non mi interessa cosa avete fatto in passato a quei bambini, anche perché, in tal caso, mi sentirei costretta a uccidervi tutti uno a uno, in maniera estremamente lenta e particolarmente dolorosa. Quello che desidero è che, tuttavia, essi vengano consegnati alla mia custodia nei prossimi minuti… e che siano assolutamente illesi e in buona salute. O, comunque, varrà la minaccia di cui sopra… »
I ricordi erano ancora confusi. Ma risultava evidente quanto, allora, quella minaccia fosse stata tradotta in realtà, da parte di quella singola figura femminile, da parte di quella singola donna che aveva spazzato via la sua intera unità quasi avessero a considerarsi poco più che semplici insetti al proprio cospetto.
“Chi diamine è Midda Namile Bontor...?! Come può averci annientato tutti da sola...?!”
Ottime domande, le sue, a confronto con le quali avrebbe anche potuto desiderare sforzarsi maggiormente a ricordare il passato, a ricostruire i propri ultimi minuti di vita, per tentare di dare un senso a tutto quello, a dove fosse in quel momento e a cosa potesse stargli succedendo.
Ma prima che qualunque sforzo potesse essere speso in tal senso, i rossi capelli simili a fuoco e gli azzurri occhi simili a ghiaccio della propria assassina si ebbero a ripresentare inaspettatamente innanzi a lui, nelle sembianze di un’altra non morta!
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