« Kasta… Duva… Rula… chi sarà la prossima? » si domandò, ora quasi in un moto di rabbia, scuotendo il capo con forza e, in ciò, levandosi in piedi, in un atto di ribellione contro se stesso ancor prima che contro chiunque altro o qualsiasi altra cosa, fosse anche lo stesso fato.

Unica nota di colore, in un quadro tanto cupo, apparentemente destinato a offrire all'attenzione di chiunque un riflesso sull'oscurità presente nel profondo del proprio animo, avrebbe potuto essere considerata una sorta di collare, di cravatta, in delicata stoffa bianca ordinata su più strati, lì composta in forme fumose a riservargli, in definitiva, un'apparenza ancor più raffinata, più originale, forse, addirittura, eccentrica, di quella che già avrebbe potuto garantirgli la sola presenza della casacca sotto di essa, rendendo in ciò estremamente complicato qualificarlo qual uomo d'azione, combattente e guerriero, al pari di quanto, comunque, sembrava voler ribadire la presenza di una lunga spada dalla lama sottile, ora appesa, con la propria cintola, allo schienale alle sue spalle, e pur normalmente presente al suo fianco, quale inseparabile compagna tanto della vita a bordo, quanto di quella fuoribordo. Un'arma da spadaccino, simile ad altre già note all'attenzione di Midda, che ella stessa aveva scoperto essere abilmente padroneggiata dal capitano, a un livello nettamente maggiore rispetto a quanto non avrebbe potuto supporre essere.
« Duva… » sussurrò, nuovamente con tono quasi strozzato, nel riportare lo sguardo verso la cornice centrale, a osservare ancora una volta una foto scattata alla sua seconda moglie e a lui, quand'ancora stavano lavorando allo scopo di rimettere insieme quella nave, coperti da ogni genere di sporco sin sopra i capelli e pur incredibilmente felici, spensierati, come solo poche volte erano riusciti poi a essere, nel ricercare continue sfide, nel bramare sempre nuove lotte in angoli remoti dell'universo conosciuto.
Solo un idiota non avrebbe colto quanto straordinariamente evidente in quel momento, le ragioni di quel violento sconvolgimento emotivo di cui egli si era ritrovato a essere vittima e che mai avrebbero potuto essere erroneamente attribuite a un vero moto di collera verso il suo primo ufficiale per l'incarico da lei accettato o per gli scontri di cui ella e il loro capo della sicurezza di erano, immancabilmente, rese protagoniste: tremendamente trasparente, infatti, era la pena da lui allora provata nel confronto con il volto martoriato di lei, quel viso che, indubbiamente, ancora amava e che mai avrebbe voluto veder similmente tumefatto in conseguenza a uno spietato e animalesco pestaggio. Tuttavia, nella propria confusione interiore, nel contrasto fra sentimenti che razionalmente non avrebbe più potuto accettare di provare, quali quelli verso la stessa Duva, e un impegno d'amore che mai avrebbe voluto tradire, quale quello con Rula, egli si stava ritrovando a essere sufficientemente privato di senno, di consapevolezza di sé e del mondo attorno a sé, da non comprendere tutto ciò, da essere sì stolido da non riconoscere l'evidenza e, in ciò, da ritrovarsi costretto a riversare verso altre direzioni l'angoscia allora dominante nel suo cuore.
« … stupida, sciocca, indisciplinata scavezzacollo che non sei altro… » continuò, osservando quell'immagine ricordo di un epoca tanto cara al suo cuore « Ti risulta tanto difficile accettare di vivere serenamente la tua vita, senza porla continuamente in dubbio in azioni tanto avventate?! Maledizione… » imprecò, cedendo per l'ennesima volta all'ira « Da quando è arrivata a bordo quella sfregiata, sembri… sembri… » tentò di proseguire, a voler, in ciò, scaricare ogni responsabilità sull'elemento più giovane, in termini di anzianità di servizio, del suo pur compatto equipaggio.
Impossibile, purtroppo, fu riuscire a completare quella frase, là dove, nonostante tutta la propria rabbia, tutta la propria angoscia, mai egli avrebbe potuto riuscire a rinnegare la realtà dei fatti, una verità assoluta e priva di possibilità di discussione quale quella propria dell'intrinseca natura della propria ex-moglie, dell'irrequietezza caratteristica del suo cuore, del suo animo, nell'ascolto della quale, da sempre, sin dal loro primo viaggio insieme, ella non era stata mai in grado di rinunciare alla sfida, all'avventura nella propria forma più pura, bramando il confronto con ogni genere di pericolo, di avversità. In ciò, il recente arrivo di Midda Bontor, era stato semplicemente utile a colmare un certo vuoto, nella vita di Duva, lasciato da lui stesso, quell'immancabile complice, quel fedele compagno che, per lunghi anni, proprio Lange era stato per lei, vivendo ogni impresa al suo fianco, quale un'ombra e un completamento allo stesso tempo.
« Stupido sciocco… io… » concluse, arrendendosi, così come, ogni volta che tentata di affrontare quel proprio turbamento interiore, era pur costretto a fare « … io… » ripeté, ancora una volta.
Ma quella frase, quello stesso pensiero, non poté essere completato in quell'occasione così come mai lo era stato precedentemente, dal momento in cui confrontarsi con esso sarebbe equivalso a confrontarsi con uno degli errori più grandi della sua intera esistenza... il divorzio da Duva. Un errore che, ipocritamente, egli non voleva accettare, non voleva considerare qual tale, ove, altrimenti, avrebbe dovuto rinnegare il suo sentimento verso la sua attuale compagna e moglie, rinnegare la scelta compiuta con quel suo terzo matrimonio, in un'offesa, in un insulto che mai avrebbe potuto imporre in contrasto a chi, comunque, sentiva di amare e da chi, comunque, era amato, come sentiva di essere con Rula.
Raccogliendo dalla propria scrivania le due cornici estranee a quel contesto, e riponendole nel cassetto da cui le aveva estratte, Lange Rolamo si costrinse a recuperare il controllo perduto in quegli ultimi istanti, in conseguenza all'uscita di Duva da quel suo sancta sanctorum, per affrontare la realtà e le priorità che da essa gli erano imposte, prima fra tutte quella di riuscire a raggiungere i disgraziati attentatori al bel volto del suo primo ufficiale allo scopo di dimostrare loro quale madornale errore sarebbe stato, per chiunque, pensare di poter attaccare un membro del suo equipaggio, della sua famiglia, e, in ciò, non pagare alcun pegno, non subire un giusto fato di dolore e morte per tanta audacia. Con quel pensiero, con quella certezza, quello scopo davanti a sé, il capitano della Kasta Hamina recuperò completamente la propria abituale determinazione, il proprio consueto stato d'animo, tornando a proporsi sì solido e forte quanto quotidianamente richiedeva di essere alla propria stessa nave, imperturbabile innanzi a qualsiasi difficoltà, irrefrenabile nel proprio cammino verso ogni traguardo prefisso. E sempre con quel pensiero, con quella certezza, con quello scopo davanti a sé, egli pose nuovamente la spada al proprio fianco, prima di uscire dal suo ufficio e dirigersi con passo spontaneamente marziale verso la plancia, il ponte di comando, a definire la nuova rotta che avrebbero dovuto seguire.
« Sveglia, Ragazzo. » esclamò, rivolgendosi all'unico lì presente nel momento in cui raggiunse la propria destinazione, un giovane tranquillamente acciambellato su un quadro comandi, quasi a imitazione di un gatto nero lì similmente posto a riposo « Leviamo l'ancora. »
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