11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 26 dicembre 2019

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Non fu certamente banale, ma la scelta compiuta dalla donna guerriero e dal suo compagno e complice in favore di quella ridiscesa, a posteriori, ebbe a rivelare decisamente azzeccata nella propria occorrenza. Azzeccata, quantomeno, nella misura utile a permettere loro di trovare una via di accesso al grattacielo sottostante e, da lì, a iniziare una rapida, e pur al contempo estremamente lunga, scarpinata verso il livello del suolo. Certo, a ovviare a un’infinità di gradini, e di gradini fra loro sì eguali, sì omogenei da offrire, a un certo punto, l’illusione di essere intrappolati all’interno di un circolo vizioso, e di non star realmente muovendosi rispetto alla propria posizione iniziale, essi avrebbero anche potuto votare in favore dell’impiego dell’ascensore, interessante soluzione pratica al problema generato da edifici sì smisuratamente estesi in verticale e che, in effetti, avrebbe potuto trovare quietamente anche la propria possibilità di impiego in quel di Kriarya, contraddistinta da numerose torri e torri certamente non estese quanto quelle di quei mondi, e pur sempre torri: ma ricorrere, in quel momento, a un ascensore, avrebbe significato affidare il proprio stesso destino a una scatola metallica letteralmente appesa nel vuoto e a una scatola metallica che, troppo facilmente, avrebbe potuto essere manipolata, nel proprio stato, dall’esterno e, in ciò, dai loro antagonisti se non, addirittura, dalla stessa Anmel Mal Toise. Per questa ragione, quindi, allorché risparmiare le proprie energie per una sicuramente più comoda e più veloce ridiscesa in ascensore, tanto Be’Sihl quanto Midda non ebbero esitazioni a preferire, piuttosto, l’impiego di un sistema decisamente più antiquato e, ciò non di meno, pur sempre mirabilmente affidabile: le scale… e quell’infinità di scale da percorrere in sola grazia alla forza delle proprie gambe.
E se pur, almeno all’inizio, le chiacchiere fra loro risultarono estremamente moderate, nel non volersi concedere impropria possibilità di distrazione, e di distrazione da possibili pericoli che pur avrebbero potuto sorgere in loro contrasto in qualunque momento, da qualunque direzione, dopo i primi trenta piani, e con ancora, probabilmente, dieci volte tanto da percorrere, e da percorrere nella medesima, monotona, direzione, qualche occasione di confronto verbale non poté iniziare a essere spontaneamente ricercato tanto dall’una quanto dall’altro, in termini tali per cui, dopo altri sessanta piani, quella loro ossessionante ridiscesa avrebbe avuto a potersi reinterpretare qual un quieto momento di dialogo, come forse da troppo tempo non avevano più avuto l’occasione di concedersi…

« Posso essere schietta…?! » domandò a un certo punto la Figlia di Marr’Mahew, invero mai essendosi riservata, nel corso della propria esistenza, opportunità di essere meno che schietta nel proprio approccio alla vita e al prossimo, in quella che, sovente, avrebbe potuto persino intendersi qual una mancanza di discrezione o di tatto da parte propria.
« Quando mai non lo sei stata…? » replicò pertanto l’altro, sorridendo appena nel confronto con la retorica propria di quell’interrogativo, e di quell’interrogativo che ben poco significato avrebbe potuto riservarsi in riferimento proprio a lei.
« Lungi da me voler apparire ipocrita… » premesse quindi ella, aggrottando appena la fronte nella quieta consapevolezza dei termini nei quali aveva vissuto la propria intera esistenza e del quantitativo incalcolabile di sangue che aveva avuto, letteralmente, a dover lavare via dalla propria pelle nel corso di quegli ultimi trent’anni di vita « … ma vi era davvero necessità di compiere quella strage, prima? Avresti potuto trovare occasione di portarmi in salvo anche senza uccidere nessuno di quei disgraziati… »
« Sei consapevole che quegli stessi disgraziati stavano lì impegnandosi al solo scopo di catturarti o, meglio ancora, ucciderti…?! » esitò Be’Sihl, non comprendendo il senso di quel rimprovero o, per lo meno, volendosi impegnare a non comprendere il senso di quel rimprovero, giacché nel profondo del proprio cuore egli stesso non avrebbe potuto rifiutare la verità propria di quanto, sino a qualche anno prima, non avrebbe mai agito in quel modo, non avrebbe mai reagito in quei termini, e in termini tanto gratuitamente violenti nel confronto con una simile situazione « No. Non rispondere. » la fermò tuttavia egli, escludendo qualunque necessità di replica in tal senso « Lo so che hai ragione… »
« Non è che mi interessi aver ragione, amor mio… » escluse tuttavia ella, rallentando per un istante la loro ridiscesa, solo per avere occasione di volgere il proprio sguardo verso quello di lui, e per cercare, con i propri occhi azzurri, o, per meglio dire, con un occhio azzurro e un occhio ancora verde, in conseguenza all’ancor inalterata presenza di una lente sul sinistro, quelli castano-arancioni di lui « … è che… non so. Non mi sembri realmente tu, in queste situazioni. E’ quasi come se volessi essere me… e una me che, francamente, non sono certa neppure io di voler continuare a essere. » ammise ella, affrontando forse per la prima volta, ad alta voce, quell’argomento « So quanto male sei stato quando Desmair mi ha intrappolato nella mia stessa mente… mi hai raccontato quanto hai dovuto affrontare… e non desidero giudicarti per nulla di tutto ciò, laddove certamente, in una situazione inversa, io avrei compiuto anche molto di peggio: ma, per l’appunto, questa sono io… la Figlia di Marr’Mahew, la Campionessa di Kriarya, la donna da dieci miliardi di crediti… un’assassina, una mercenaria, una ladra… » dichiarò, lasciando risuonare in termini estremamente colpevoli quelle parole che, sino a qualche tempo prima, certamente sarebbero risultate quasi di vanto per lei « … ma tu… tu sei Be’Sihl: l’uomo che amo, il mio scoglio inamovibile all’interno della folle tempesta del mare della mia vita… e non c’è bisogno che tu diventi come me, per essermi vicino. Non ho mai voluto nulla di tutto questo. » concluse, arrestandosi, addirittura, nella propria ridiscesa e, in ciò, arrestando anche la ridiscesa del compagno, un attimo prima alle sue spalle, allora accanto a lei, per poterlo osservare e per potergli trasmettere, nel proprio sguardo, quel profondo senso di colpa che pur non avrebbe potuto ovviare a provare nel confronto con l’idea di aver influenzato tanto negativamente la sua vita.
« Midda… io… » esitò nuovamente egli, non potendo ovviare a un profondo senso di imbarazzo, di vergogna per quanto, allora, consapevole di aver compiuto, e per quanto già da molto tempo era consapevole di essere divenuto, non provandone orgoglio e, ciò non di meno, non riuscendo a essere diverso da ciò.

Ma la donna, ben comprendendo la pena che egli stava allor provando, e non potendo ovviare, a confronto con la stessa, a provare anch’ella pena, unita a imbarazzo e a vergogna, nella consapevolezza di quanto tanta corruzione, in lui, fosse stata ispirata soltanto e miseramente da lei stessa, non gli permise allora di proseguire in quella direzione, non gli permise allora di insistere in quell’ammissione di colpa, e di una colpa che non avrebbe mai voluto riconoscergli, interrompendo le sue parole e interrompendole nel coprire la breve distanza allor esistente fra loro, su quelle scale, solo per andare a premere le proprie labbra su quelle di lui, spingendolo appena contro il muro alle sue spalle, e, in tal senso, travolgendolo quindi con la passione propria di quel bacio, e di un bacio allor carico di tanti, troppi sentimenti, sentimenti fra loro contrastanti, e pur sentimenti forti, violenti, travolgenti, come quelli che soltanto a confronto con lui ella avrebbe potuto allor provare: perché egli, quell’uomo dolce e premuroso con lei, quell’uomo attento e presente con lei, quell’uomo violento e implacabile con i suoi nemici, era il suo uomo… ed ella non avrebbe potuto ovviare ad amarlo, e ad amarlo in maniera assolutamente incondizionata, mai giudicandolo per quelle che allora entrambi altro non avrebbero potuto intendere se non quali proprie colpe, e per quelle che, forse, e paradossalmente, non avrebbero avuto a dover essere intese come colpe di alcuno fra loro, quanto e piuttosto della loro stessa vita, e di quella vita così folle a confronto con la quale, certamente, chiunque altro avrebbe perduto il senno già da molto… troppo tempo.
Un bacio carico d’amore, quello del quale Be’Sihl si ritrovò a essere destinatario, che lo vide quindi accogliere il corpo dell’amata fra le proprie braccia e lì stringersi a lei, e stringersi a lei con delicata disperazione, quasi a voler ribaltare, nell’evidenza di quei fatti le parole da lei appena pronunciate, e quelle parole atte a volerlo indicare qual uno scoglio inamovibile, laddove già, da troppo tempo, egli non avrebbe potuto considerare se stesso qual tale, quanto, e purtroppo, in balia degli eventi, e di quegli eventi per sopravvivere ai quali l’unica possibilità rimastagli sarebbe stata quella di aggrapparsi a lei, e di aggrapparsi a lei con tutte le proprie energie, fisiche, emotive, mentali e spirituali.

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