11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 23 aprile 2012

1556


« S
i narra che in origine fosse il nulla. E nel nulla comparvero gli Antichi. »
« Gli Antichi erano prima del nulla. E sarebbero ancora stati a seguito del suo ritorno, alla fine dei tempi. »
« Ad alcun mortale, e ad alcuna divinità, sarebbe stato concesso di conoscere l’origine degli Antichi. Tentare di comprendere l’origine degli Antichi avrebbe reso folle chiunque. Uomo o dio. Mortale o immortale. »

Le parole delle cantore, accompagnate dall’arpeggio delle loro abili dita sulle corde degli yueqin, risuonavano eleganti all’orecchio della straniera, per quanto, probabilmente, la maggior parte delle stesse non potessero essere ancora ben comprese da lei.
La straniera sedeva come un uomo di Hyn, a terra con le gambe incrociate; vestita come un uomo di Hyn; e nonostante ciò, chiaramente, ella era estranea a Hyn, come primi fra tutti avrebbero potuto testimoniare i suoi capelli. Quei capelli rossi, rosso fuoco, con qualche venatura di bianco a rendere nota la sua non più giovane età, erano sconosciuti in Hyn e caratteristici, altresì, delle popolazioni di Myrgan o di Qahr, i due altri continenti con i quali l’Impero condivideva il mondo conosciuto. Capelli di straniera, stretti, malgrado tutto, sulla parte superiore del capo secondo la moda locale, e lì tenuti fermi da due spilloni di legno nero, decorati nelle estremità con motivi classici, l’uno con un fiore di loto e l’altro con un ideogramma significante “guerra”.

« Gli Antichi osservarono il nulla. E il nulla non li soddisfece. »
« Così gli Antichi plasmarono il cielo. E nel cielo posero gli astri, il maggiore fra i quali è il sole. »
« Così gli Antichi plasmarono la terra. E nella terra posero l’acqua, allo scopo di portare la vita, e il fuoco, allo scopo di togliere la vita. »

Ma non solo i capelli avrebbero potuto classificare quella donna qual straniera in terra a lei straniera.
Le sue braccia, più di qualunque altro particolare, l’avrebbero infatti tradita, eventualità verso la quale, comunque, ella non appariva desiderosa di riconoscere il benché minimo interesse.
Il mancino, in carne e ossa, era decorato da un complesso tatuaggio, estraneo nel proprio stile a qualunque altro in Hyn e prossimo, altresì, a quello di molti marinai provenienti da Qahr e dalle sue regioni meridionali. Sinuoso, sì, e pur anche vigoroso nella propria muscolatura, nelle proprie forme, quell’arto era anche ornato da un monile dorato, di quelli, altresì, caratteristici di una particolare popolazione settentrionale al continente di Qahr, gli shar’tiaghi, del tutto estranei ai viaggi in mare.
Il destro, ancor più del sinistro, racchiudeva in sé un inconcepibile mistero per qualunque osservatore, presentandosi in forme non meno eleganti rispetto all’altro, ma costituite da lucente metallo argentato che nulla avrebbe potuto vantare di umano: non armatura, non ornamento era quel metallo, quanto e piuttosto protesi, un surrogato come mai, in tutti i tre continenti conosciuti, se ne erano viste. Una protesi, in effetti, da lei ereditata a seguito della permanenza, in un recente passato, al di là dei confini propri del proprio mondo e, in ciò, animata non da un’antica e maledetta magia, qual era stato il predecessore di quello stesso surrogato, ma da qualcosa che, né nella pur progredita Hyn, né in Myrgan o in Qahr sarebbe potuta essere riconosciuta: la tecnologia. E, più precisamente, una particolare tecnologia basata sull’energia derivate da un elemento che ella aveva imparato a conoscere con il nome di idrargirio.

« Ma la vita non era ancora stata creata. E, per questo, gli Antichi generarono l’uomo. E gli diedero la vita. »
« Ma l’uomo era ancora giovane e inesperto. Ed egli sprecò il dono della vita. Così gli Antichi generarono gli dei, affinché guidassero il cammino dell’uomo. »
« Ma gli dei, creati immortali per assolvere al proprio compito di generazione in generazione, non conoscono la morte e, per tale ragione, neppure la vita. E della vita dell’uomo non hanno modo di comprendere il significato. »
« Così gli Antichi concessero all’uomo la possibilità di apprendere dai propri errori. E dagli errori dei propri antenati, i cui spiriti sarebbero sempre rimasti a lui prossimi, custodendolo e guidandolo con la saggezza derivante dalla propria esperienza di vita. »

Ritornando a ciò che coloro a lei circostanti avrebbero potuto cogliere e comprendere, a completare il quadro di originalità così offerto dalla straniera a tutti i figli e le figlie di Hyn, non avrebbero dovuto essere ignorati anche i suoi occhi, il suo viso e i suoi seni.
I suoi occhi si mostravano caratterizzati nelle proprie iridi dal colore del ghiaccio, in ciò carichi di un gelo che difficilmente avrebbe permesso a qualcuno di considerarla realmente umana e non, piuttosto, una strega malefica o uno spirito malvagio, da cacciare e uccidere, a prevenire l’eventualità di essere a propria volta da lei cacciati e uccisi, o, anche e solo, maledetti. Il suo viso, ricco di contraddizioni innanzi allo sguardo di qualunque abitante di Hyn, si presentava candido come quello che tutte le donne dell’Impero avrebbero bramato possedere ma avrebbero potuto ottenere solo con l’abuso di grandi quantità di trucco, e al contempo si poneva costellato di piccole efelidi, pur sconosciute a in quelle terre d’oriente e apparentemente impegnate a rovinarne l’altrimenti sublime perfezione, comunque già lesa da una tremenda cicatrice longitudinale all’occhio sinistro. Ancora e infine, i suoi seni, abbondanti come mai, prima d’allora, avrebbe potuto essere immaginato in quelle terre, simili a quelli di una dea della fertilità ancor prima che una comune donna, risultavano lì perfettamente evidenti nella propria prosperità, malgrado da lei fossero stati stretti all’interno di una fascia di stoffa, atta a contenerne la generosità e, in questo, a facilitarne i movimenti.

« Creato il cielo, creata la terra, creato l’uomo e creati gli dei, gli Antichi furono soddisfatti del proprio operato, e si ritirarono. Perché il nulla non era più tale. E l’universo avrebbe dovuto imparare a esistere senza di loro. »

Al tempo stesso affascinante, nella propria essenza esotica, e sgradevole, nella propria diversità da ogni canone consueto in Hyn, la straniera appariva comunque desiderosa di confondersi nella massa, pur, in tal senso, errando clamorosamente nella propria scelta d’abbigliamento, non con abiti femminili, quanto, e peggio, con abiti maschili.
In tonalità scure erano la maglia e i pantaloni, tagliati in forme che mai alcuna donna avrebbe osato indossare per non disonorare il nome della propria famiglia e dei propri avi; mentre lievemente più chiara apparivano le fasce attorno alla sua vita e attorno ai suoi polpacci, li dedite a mantenere ben saldi al suo corpo i suoi vestiti. E se ancora scure, quasi nere, erano le calzature da lei indossate, composte banalmente e pur efficacemente da strisce di stoffa lì sotto arrotolate; in una colorazione di rosso, invece, era la casacca da lei indossata al di sopra di tutto ciò, in stoffa pesante, senza maniche e tenuta legata sul davanti da un semplice nastro, rivestita da elegante seta ricamata in motivi classici in Hyn, forme tonde raffiguranti, al proprio interno due gocce fra loro abbracciate, e in esse la continua mutazione dell’universo, il bene e il male, l’uomo e la donna, il giorno e la notte in costante conflitto e in costante equilibrio.

« Ritirati gli Antichi, venne l’epoca dei Tre Re, i quali dalla confusione allora imperante nell’uomo, fecero emergere le tre grandi civiltà di Hyn, caratterizzandole a propria immagine e somiglianza. »
« La Regina Tigre, fiera della propria violenza e della propria istintività, anarchica e insofferente a qualunque forma di regola e di disciplina. »
« Il Re Dragone, fiero della propria forza e della propria legge, autoritario e carismatico, destinato per intrinseca natura a opporsi alla Regina Tigre, per imporre il proprio ordine sul mondo intero. »
« E Re Lupo, che della Regina Tigre e del Re Dragone volle cogliere i pregi, la forza, rinnegando altresì ogni difetto, ogni debolezza, e che, in ciò, fondò la propria forza sull’istintività e sulla violenza ma anche sul rispetto di un ordine costituto, di un capofamiglia, di un khan. »

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