Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
sabato 14 aprile 2012
1547
Avventura
032 - Pastorale
Gli eventi secondo Be'Wahr
Eravamo stanchi. Anzi, stremati. E qualunque cosa avrebbe potuto compiere Midda, avrebbe allora dovuto compierla quanto prima, o alcuno, fra noi, fra Howe e me, sarebbe sopravvissuto abbastanza per godere di tale trionfo, di simile traguardo anche ove fosse stato raggiunto.
Io, per ovvie ragioni, avrei dovuto essere allora il più stremato, ma, forse proprio in conseguenza alla ferita riportata e all'adrenalina da essa derivata, ero perfettamente consapevole di essere paradossalmente il più lucido, il più controllato fra noi due. Ragione per la quale i miei timori per l'incolumità di Howe avrebbero dovuto essere riconosciuti quali tutt'altro che superficiali. Un solo piede posto in fallo, un solo movimento non sufficientemente rapido, una sola distrazione, qual quella che io stesso mi ero spiacevolmente concesso, lo avrebbe condotto a morte certa; eventualità che non desideravo tollerare, che non volevo accettare qual conclusione di quella folle battaglia.
Quella pugna, che ci aveva visto posti a capo di metà Kriarya, metà città del peccato, avrebbe potuto essere il nostro massimo trionfo, avrebbe potuto rappresentare l'apice della nostra carriera, nonché l'inizio di una nuova vita. Ma, anche e parimenti, la nostra più colossale disfatta, la nostra fine certa, in una sconfitta che oltre a condurci a morte certa avrebbe infangato per sempre i nostri nomi, marchiandoli nella Storia come coloro che avevano fallito in una battaglia sì impossibile, ma con un esercito sconfinato alle proprie spalle. Non che, in verità, in quel momento l'opinione dei posteri avrebbe potuto interessarci maggiormente rispetto alla nostra possibilità di godere di un qualche futuro.
Impegnato, pertanto, a tentare di mantenere al proprio posto tanto la mia pellaccia quanto quella del mio compare, fu mio l'errore che pose entrambi in uno sgradevole scacco e che, se non fosse stato in grazia a quanto di lì a breve, brevissimo, avvenne, ci avrebbe veduti sicuramente incontrare i nostri dei e, scoprire, in ciò, quanto avessimo avuto ragione nello scegliere di venerare quel pantheon invece di un altro qualsiasi fra i molti esistenti al mondo. L'errore, nella fattispecie, fu quello di non ritenere possibile l'eventualità di un attacco dal basso, da sotto i nostri piedi, dando per certa la solidità delle mura attorno alla città. La sfortuna, in ciò, fu di scoprire che, malgrado tutto, le imponenti mura di Kriarya non avrebbero dovuto essere considerate così solide come sarebbe stato opportuno per respingere l'offensiva dei mahkra e, in particolare, per resistere a un loro attacco. Attacco che si concretizzò in un'apparente scatto d'ira del nostro avversario in conseguenza all'ennesima offensiva fallita, e che esso riversò con incredibile violenza contro le mura sotto ai nostri piedi, negandoci l'unica certezza che, sino a quel momento, ci eravamo concessi.
Così, dove un istante prima eravamo entrambi intenti a cercare di sfidare quel mostro, evadendo ai movimenti dei suoi attacchi, un attimo dopo ci ritrovammo catapultati in aria, come in conseguenza a una violenta deflagrazione, separati l'uno dall'altro e diretti, sgradevolmente, verso altri tentacoli pronti ad accoglierci e a stringerci con maggiore vigore e fermezza di quanto mai alcuna prostituta della casa di Tahisea avrebbe mai avuto la possibilità di fare.
Gli eventi secondo Howe
Salta, colpisci, scappa. Rotola, affonda, schiva. Corri, fendi, scivola. E ancora salta, affonda, scivola. Rotola, fendi, scappa. Corri, colpisci, schiva. E di nuovo, ancora da capo. In nuove combinazioni, tuttavia inesorabilmente uguali, sempre costanti, ove, parliamoci chiaro, solo in un canto, in una ballata, l'eroe di turno può concedersi colpi sempre nuovi, mosse sempre inedite: due gambe, due braccia, una testa e una spada… quante dannate possibilità potrebbe avere qualcuno?! Malgrado ciò, malgrado la ripetitività di tali movimenti, costretta tanto per me, quanto per Be'Wahr e, sicuramente, anche per Midda, Av'Fahr e Seem dall'altro capo della città, nulla di diverso avrei potuto inventare in quel momento, né avrei avuto ragione di tentare di inventare, ove un solo movimento errato, un solo pensiero impreciso, avrebbe potuto sancire la nostra condanna, la nostra impietosa fine.
Una sequenza di movimenti, una costante cadenza di azioni, che sebbene io avrei potuto continuare a proporre in maniera inesorabile sino all'alba e oltre ancora, assolutamente rilassato qual ero in quel frangente; al contrario mai avrebbe potuto sopportare ancora a lungo il mio compare, il mio fratellino, già sufficientemente provato dalla ferita alla testa. Conscio di ciò, e tutt'altro che bramoso di perderlo prematuramente, privandomi di uno degli obiettivi preferiti di ogni mio giuoco, mio impegno, in quel frangente, in quel contesto, non avrebbe dovuto essere riconosciuto semplicemente quello di preservare il mio domani, quant'anche quello del mio compare, proteggendolo da ogni male, difendendolo dalle troppe offensive del nostro antagonista.
Fosse stato il mahkra, tuttavia, un avversario comune, o quantomeno non immortale, non invincibile e, soprattutto, non dotato di dozzine, forse centinaia di enormi tentacoli da comandare in totale autonomia l'uno dall'altro, quasi ognuno fosse dotato di una mente propria; nel prefiggermi un tale impegno, una simile prerogativa, avrei forse potuto concedermi non dico una straordinaria vittoria, ma, almeno, una dignitosa situazione di stallo reciproco, di pareggio per meglio dire, tale per cui alcuno fra noi avrebbe potuto prevalere, ma, al tempo stesso, alcuno fra noi avrebbe potuto essere tragicamente sconfitto. Purtroppo per me, per noi, il mahkra avrebbe dovuto essere riconosciuto quale un concetto del tutto antitetico a quello di normalità; ragione per la quale solo chi abituata a spingersi sempre al di sopra della normalità e del possibile, tramutato in realtà quanto abitualmente neppur immaginato attuabile… solo Midda Bontor, la Figlia di Marr'Mahew, avrebbe potuto permettersi una qualunque speranza di trionfo.
E a noi? A noi l'impegno di una continua evasione, di un continuo impegno e disimpegno, nella speranza di concedere alla nostra compagna tempo utile per elaborare una soluzione, per migliorare la propria strategia e comprendere come porre fine a tutto quello.
Drammaticamente, e di lì a breve anche tragicamente, però, il tempo che noi avremmo dovuto assicurare alla nostra amica ci venne inaspettatamente sottratto, negato; in un modo che mai avremmo potuto attenderci anche se, in verità, avremmo dovuto attenderci, avremmo dovuto prevedere. Perché l'attacco che ci pose alfine non in stallo, ma in scacco, fu quello che, straordinario, emerse da sotto i nostri piedi, dalla solidità delle mura di Kriarya, improvvisamente non più tanto solide, non più tanto ferme, al punto tale da scaraventarci violentemente in aria e, in meno di un istante, renderci partecipi di quanto la nostra vita avesse da doversi considerare allora compiuta, alfine terminata.
« Lohr… » gemetti, soffocato, vedendomi allontanato da mio fratello, dal mio compagno di mille avventure, proiettato lontano da me, quasi una bambola di pezza alle prese con i capricci di un infante, e nulla più.
E in quel frangente, in quello che sarebbe potuto essere in momento conclusivo della mia esistenza terrena, mi resi conto come ogni pensiero, straordinariamente, non fosse rivolto né al mio fato, né a quello di Kriarya o del mondo intero, ma solo a quello del mio compare, e a ciò che mai le nostre famiglie avrebbero potuto pensare di quello che stava accadendo, di quello che sarebbe accaduto.
Quasi la mia stessa vita non avesse la benché minima importanza, e con essa, mi si possa perdonare, anche quella di Midda, di Seem, di Av'Fahr o di chiunque altro; l'unica mia preoccupazione fu per il mio compare, per quel fratello minore, in realtà non tale né anagraficamente né fisicamente, che da sempre avevo pur considerato qual tale e che non avrei mai dovuto perdere, impedendo, a suo discapito ogni male. Purtroppo così non era stato, né allora, né in passato, ove, a ben vedere, sin da bambini ero sempre stato io a coinvolgere Be'Wahr in ogni guaio, trascinandolo spesso controvoglia nelle più folli, e infantili, avventure.
Ma se la marachella di un bimbo avrebbe potuto essere perdonata e ricordata con un sorriso, quanto con quel mio fallimento, con quel nostro ultimo volo, avevo appena decretato, non sarebbe più potuto essere perdonato da alcuno… mortale o immortale.
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