11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 15 aprile 2012

1548


Q
uando riuscii a riveder le stelle, non mi trovai immediatamente innanzi alla mia signora.
Ingenuo, dopotutto, sarebbe stato supporre, tanto per me, quanto ancor più per lei, che il nostro avversario potesse trovarsi casualmente nell'esatto punto in cui ella, e io dopo di lei, ebbe occasione di emergere dalla selva oscura degli osceni corpi dei mahkra. Se pur in un'opera di fantasia, qual una ballata o una canzone, assolutamente perfetto, naturale, addirittura ovvio, sarebbe stato per l'eroica protagonista raggiungere il proprio avversario quasi egli fosse desideroso di riservarsi un'occasione di scontro con lei; nella realtà, nella vita concreta della mia signora e mia, mai una tale occasione si sarebbe presentata, se non per ragioni che avrebbero dovuto condurre a una condizione emotiva di maggior timore per quanto sarebbe potuto accadere, ancor prima che a una qualche espressione di gioia per la fortuna ottenuta.
Perso nella notte, e nella piana attorno alla città, non di meno di quanto non fossi stato sino a un istante prima fra i mahkra, mi ritrovai a confronto con la consapevolezza di non sapere da qual lato avrei dovuto svoltare per raggiungere il nostro avversario, il nostro obiettivo finale, né, tantomeno, per riconquistare il mio cavaliere, ovunque ella fosse andata.
Pari possibilità verso sinistra quanto verso destra, unite alle tenebre su di me imperanti e al frastuono della battaglia alle mie spalle, non mi avrebbe garantito alcuna possibilità di indovinare quale strada scegliere attraverso una qualche logica deduttiva, ragione per la quale l'unica speranza concessami sarebbe stata quella di azzeccare tale percorso per pura benevolenza divina. Conscio, tuttavia, di non potermi arrogare alcun aiuto divino nella mia totale mancanza di fede verso qualunque dio o dea, nel momento in cui estrassi a sorte la destra, imboccai, al contrario, la mancina, nella probabilmente stolida speranza di raggirare una qualche sventura altresì già garantitami.
In assoluta onestà, devo ammettere come neppur ora, a posteriori, a così tanti giorni da quegli eventi, io sia in grado di giudicare quanto la mia scelta fu azzardata e quanto, al contrario e paradossalmente, ponderata; non, per lo meno, consapevole di come quella svolta, quel cambio di via, mi concesse la possibilità di raggiungere la mia signora in meno di un miglio, ovviamente affrontato alla massima velocità concessami dalla mia corsa. Quanto certo è che la raggiunsi. E che quando ciò avvenne, non la trovai sola. Né, in effetti, in compagnia di un singolo, semplice avversario.

« Mia signora! » esclamai, con un grido sinceramente involontario, dove avrei desiderato spingermi alla pugna con la maggior discrezione possibile, ma dove, al confronto con quell'immagine, non riuscii a trattenermi, a mantenere il silenzio « Giungo a te, mia signora! »

Ti prego di non chiedermi quale genere di conforto avrei mai potuto offrirle con quella mia presa di posizione, con quel mio annuncio, innanzi al quale, al contrario, ella avrebbe avuto solo ragioni per preoccuparsi, per alzare gli occhi al cielo e rivolgere un pensiero, o magari un'imprecazione, alla sua dea prediletta, quasi colpa della stessa avesse da considerarsi la mia presenza in quel luogo, in quel momento. Ciò nonostante, al confronto con l'assedio impostole, improvvisamente, mi sembrò quanto di più logico da asserire, da affermare, da gridare addirittura, così come, del resto, feci.
Innanzi al mio sguardo, infatti, ella si presentò al centro di una vera e propria bolgia, leggermente sollevata rispetto agli uomini e alle donne a lei circostanti probabilmente in conseguenza del suo sostare al di sopra di altri appartenenti alla Progenie della Fenice già caduti, altri loro compagni sue vittime e da lei già accumulate al di sotto dei propri piedi. E malgrado il dramma intrinseco in una tale visione, nonché al di là di mahkra e angeli, di zombie e legioni, di ippocampi e scultoni, dubito che un'immagine più epica della mia signora sarebbe mai potuta essere offerta in un momento diverso da quello allora attuale, con ella in parte intrisa della stessa melma nerastra spalmata sul mio corpo, e in parte già lavata dalla medesima in conseguenza del sangue dei propri avversari riversatosi violente in suo contrasto, qual conseguenza dell'impeto da lei posto in loro opposizione.
Con una sproporzione di una sola donna a una trentina fra uomini e donne, armati di spade e scudi, e assolutamente non improvvisatisi guerrieri, qual già avevamo avuto ragione di rilevare in passato, Midda Bontor non avrebbe avuto alcuna ragione di frenare i propri colpi, alcuna ragione di arrestare la propria violenza, non dove in giuoco, in quel momento, non avrebbe dovuto essere considerata solo la sua esistenza, ma anche e ancor più l'esito di una missione accettata qual propria, nella salvezza dell'intera città del peccato di cui ella era stata eletta campionessa. Forte il suo braccio menava contro i corpi dei propri avversari, forte la sua spada tuonava contro le loro protezioni, le loro spade e i loro scudi, talvolta riuscendo ad avere la meglio e a penetrare in profondità, nelle loro carne, nelle loro ossa, infrangendole, mutilandole e strappando loro la vita senza il benché minimo rimorso, senza alcuna esitazione, certa di come alcuno fra i suoi avversari ne avrebbe dimostrata verso di lei. E sebbene non era stata mia prerogativa essere presente nel famoso giorno in cui ella, sola contro ottanta pirati, era riuscita a dominare sugli stessi con quella che sarebbe poi diventata la sua spada nella mancina, e un martello da fabbro nella destra, guadagnandosi il nome di Figlia di Marr'Mahew; nell'essere inatteso spettatore di quel momento, di quello spettacolo, non potei che apprezzare il perché di tanta gloria, di tanta fama, soprattutto ricordandomi quanto, necessariamente, ella avrebbe dovuto essere allora stanca, forse addirittura stremata, e pur ancora capace di resistere a un piccolo esercito da sola, senza alcun aiuto, senza alcun supporto.

« Non mi serve il tuo aiuto, Seem! » ringhiò ella, mulinando la spada attorno al proprio corpo, allora, incredibilmente, reggendola persino con due mani, come raramente, o forse mai, le avevo visto compiere, malgrado la natura bastarda della sua lama e, in ciò, la possibilità di gestirla anche in tal modo « Uccidi l'evocatore! »
« Mia signora… » gemetti, non riuscendo a comprendere la ragione della sua richiesta, nel coglierla troppo assediata, così chiusa in una letale morsa umana, da non apprezzare il perché non avrebbe potuto accogliere con gioia una mia azione di soccorso, di sostegno.
« Per Thyres… Seem! » gridò, volgendo per un fugace istante i suoi occhi color ghiaccio verso di me e, malgrado l'oscurità, quasi ferendomi con l'intensità di tale gelo « Se vuoi fare una cosa utile al mio servizio, ubbidiscimi! E trasforma il cranio di quel dannato evocatore in un pitale per il tuo cavaliere! »

L'evocatore. Quale evocatore?!
Giunto a lei, avevo avuto modo solo di cogliere la violenza di quella pugna, di quella piccola ma importante battaglia alle spalle della più grande e apparentemente terribile guerra. Ma nessun evocatore. Eppure doveva esserci un evocatore. Doveva esserci perché ella me lo aveva appena indicato e perché quei mostri, quei colossali mahkra da qualche parte dovevano essere usciti, dovevano essere stati richiamati. E così come già era accaduto con gli angeli, giustificata speranza della mia signora doveva essere quella che, ucciso l'evocatore, le creature evocate sarebbero scomparse con la stessa repentinità con la quale erano apparse.
Ma dove accidenti era quell'evocatore?!

« Seem! » sbraitò ella il mio nome, nel contempo infrangendo ben tre crani con un unico tondo dritto e spargendo verso l'alto dei cieli, verso la luna e tutte le stelle, i frammenti dei loro cervelli, insieme alle ossa che un tempo li avevano contenuti « Muoviti, maledizione! »

Il mio cavaliere mi aveva appena destinato un incarico e se io non avessi ubbidito, se io non avessi ottemperato alle sue parole, non solo, probabilmente, avrei condannato a morte l'intera Kriarya, la mia città natale, ma, peggio, avrei disonorato il mio nome e quello del mio maestro, il defunto padre della mia adorata Arasha. Eventualità che mai, e poi mai, avrei voluto prendere in considerazione. E ragione per la quale, ovunque fosse, quell'evocatore sarebbe presto morto. Morto per mia mano!

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