11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 25 settembre 2018

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Quali fossero le ragioni proprie di Midda, a giustificazione del rischioso viaggio compiuto sino a lì, tuttavia, Pemir non ebbe modo di scoprirlo… non subito, quantomeno.
Accompagnati da Athon attraverso il piccolo, ma popoloso, insediamento, Midda e Be’Sihl ebbero in ciò occasione di giungere sino alla casa del cosiddetto borgomastro, la figura di riferimento all’interno di quel paese dimenticato fra i ghiacci. E se, lì attorno, tutte le case avrebbero avuto a doversi riconoscere pressoché eguali, le une con le altre, sia in forme, che in proporzioni, anche quella del borgomastro non ebbe a risultare diversa, rendendo, in effetti, persino non banale mantenere un qualunque senso dell’orientamento per quelle strette vie, per quei volontariamente contenuti passaggi, le dimensioni dei quali avrebbero avuto a doversi necessariamente mantenere le minime possibili, al solo, e importante scopo di imporre a chiunque di trascorrere eccessivo tempo a confronto con il gelo esterno. Un gelo che, nella fattispecie di quel particolare momento della giornata, come loro preannunciato, non avrebbe potuto che tendere, soltanto, a livelli sì bassi, sì estremi, da poter letteralmente congelare il sangue nelle vene, così come, sicuramente, sarebbe anche a loro accaduto se non avessero incontrato la generosità di quella famiglia e se non avessero allor potuto godere della loro mirabile misericordia. Perché, se già laddove tanto pesantemente bardati, con scarpe, guanti, pellicce, e passamontagna, il freddo del mondo esterno, dell’area meridionale di quella luna, avrebbe avuto a doversi considerare spiacevolmente percepibile; certamente letale non sarebbe stato difficile a credersi, sarebbe risultato tutto ciò in assenza di quell’adeguato vestiario, di quella corretta attrezzatura, e, magari, nel confronto con le nude gambe della donna guerriero o con i nudi piedi del suo compagno, così come dei loro volti, delle loro mani, che, sferzati da temperature tanto glaciali, banale sarebbe stato a credersi avrebbero potuto presto infrangersi, come un fragile cristallo a confronto con un colpo deciso.
Anche parlare, nel corso di quel tragitto, non ebbe a risultar consigliato e consigliabile, laddove dischiudere minimamente le labbra, anche dietro al passamontagna, avrebbe necessariamente significato offrire una via a una spiacevole dispersione di calore corporeo: una dispersione forse effimera, una dispersione forse fugace, e pur, nel confronto con quella situazione, con quel contesto, una dispersione che alcuno fra loro avrebbe potuto apprezzare di subire, abbisognando di ogni minimo frammento del proprio stesso calore, per sperare di sopravvivere a tutto ciò. Così, attraversando in silenzio il villaggio nella più totale, e persino inquietante, quiete lì vigente, Midda e Be’Sihl non poterono ovviare a essere osservati nella stessa misura in cui ebbero a osservare, volgendo curiosi i propri sguardi all’ambiente circostante e, ciò non di meno, dall’ambiente circostante venendo parimenti scrutati, quasi come se, al di là della più totale copertura offerta loro in quel momento, avessero a poter essere identificati da un qualche cartello luminoso al di sopra delle proprie teste. In molti, quindi, furono coloro che si avvicinarono alle piccole finestre delle proprie abitazioni, quasi degli oblò, per osservare non senza una certa curiosità quel piccolo contingente rivolto all’indirizzo del borgomastro, anonimi volti che, al di là di quelle importanti pareti stavano lì vivendo la propria quotidianità, nel bene così come nel male. In molti, quindi, furono coloro che a sua volta la Figlia di Marr’Mahew osservò da quella prospettiva inversa, cercando di cogliere, da essi, qualche informazione più approfondita nel merito di quel piccolo universo a sé circostante, quella realtà fra i ghiacci che, pur così vicina al resto della civiltà, avrebbe avuto a doversi considerare, quasi, una sorta di eccezione nel confronto con essa.
Ma se, nel contemplare quei volti, ella non colse immediatamente nulla di insolito; un particolare non poté che essere ravvisato dal suo subconscio: un particolare che, almeno in un primo momento, ella non fu in grado di elaborare, e a confronto con il quale, tuttavia, forse le sarebbe potuto sorgere un qualche sospetto su quell’insediamento e sui suoi pur squisitamente accoglienti abitanti.
Solo quando, alfine, ebbero modo di giungere alla soglia dell’abitazione del borgomastro, l’interesse generale sembrò scemare, forse e soprattutto per una qualche forma di rispetto nei loro riguardi o nei riguardi della figura del capo di quella piccola comunità. Soglia, quella innanzi a loro, che non richiese alcuna attesa nel confronto con l’idea della sua apertura, laddove, anzi, evidentemente a sua volta ravvisando il loro arrivo, chiunque li stesse attendendo lì dentro avrebbe avuto a doversi riconoscere sufficientemente ospitale da far trovare loro soltanto appoggiato l’uscio di casa, per garantire al trio un immediato accesso alla camera stagna e, da lì, all’interno dell’edificio. E così, rapidamente avanzando all’interno di quella nuova oasi di calore, Athon e i suoi ospiti ebbero a richiudere la soglia volta all’esterno, alle proprie spalle, e a dover attendere qualche necessario istante di acclimatamento, prima di poter veder dischiudersi anche la via verso l’interno dell’edificio, innanzi ai loro occhi.

« Athon… che piacere rivederti! » esclamò un giovane forse appena ventenne, poco più di un fanciullo, nell’accogliere cordialmente il proprio compaesano, non avendo esitazioni a riconoscerlo malgrado l’abbigliamento pressoché identico a quello di Midda e Be’Sihl, e nell’abbracciarlo con amichevole foga, dispensando qualche calorosa pacca sulle sue spalle « Come sta Pemir…? Tuo padre…? E i bambini…?! » domandò in rapida successione, escludendo, in tal senso, che i suoi accompagnatori avessero a doversi fraintendere qual i membri della sua famiglia, ancor con una mirabile capacità di identificazione degli stessi, e di identificazione come, fra l’altro, perfetti estranei, per così come, ancor senza attendere una qualunque replica dall’altro, ebbe occasione di evidenziare « Benvenuti anche a voi, stranieri! Nella speranza che, qui fra i ghiacci, vi siate spinti solo animati da volontà di pace. »
« Orihm… » sorrise Athon, ricambiando l’abbraccio con affetto quasi fraterno « … hai ragione: è da troppo tempo che Pemir e io non veniamo a trovarti. Anche se, permettimi di sottolinearlo, la distanza fra le nostre abitazioni è la stessa in ambo le direzioni. »  confermò e poi puntualizzò, nel riconoscere il giusto valore dell’implicita critica così a lui appena rivolta e, ciò non di meno, nel sottolineare quanto, ovviamente, allo stesso modo in cui egli poteva aver mancato di visitare più sovente l’interlocutore, altrettanto era avvenuto sul fronte opposto « Concedici un istante per svestirci, e ti presenterò volentieri i miei ospiti. »

Orihm si offrì, allo sguardo dell’Ucciditrice di Dei, qual un ragazzotto imberbe, con un volto che non avrebbe potuto sforzarsi in alcuna maniera di mistificare un’età quasi fanciullesca. La pelle chiara, i capelli scuri, gli occhi azzurri di qualche tonalità più scuri rispetto a quelli della donna guerriero, avrebbero creato un’ottima base di partenza per quel volto che, di lì a qualche anno, certamente avrebbe completato la propria maturazione offrendosi al mondo contraddistinto da un sempre valevole fascino adulto, che lì sarebbe probabilmente risultato ben delineato da un profilo squadrato e da una mandibola ben definita, con zigomi alti e labbra sottili: per intanto, tuttavia, ancor morbide avrebbero avuto a doversi giudicare le sue forme, lì contraddistinte da un ampio sorriso motivato da quell’imprevista, e probabilmente insperata, riunificazione con Athon.
Cercando di associare, in quel momento, un senso alla presenza di quel giovane lì ad accoglierli, ella non avrebbe potuto in ciò ovviare a identificarlo, ad associarlo, a qualcuno sicuramente prossimo al borgomastro, probabilmente un membro del suo nucleo famigliare che, per pura fortuna, in quel momento avrebbe avuto a doversi riconoscere in prossimità della soglia e, in ciò, aveva avuto a liberare loro la via. Ma se pur, quel giovane, non avrebbe sicuramente avuto a doversi considerare qual il loro nuovo e speranzoso obiettivo, altrettanto sicuramente sarebbe stato inopportuno per i nuovi arrivati ovviare a ricambiare il benvenuto loro rivolto e, ancor più, l’ospitalità loro garantita anche e soltanto nel semplice gesto volto ad aprire loro la via. Così, ancor prima di liberarsi dei propri abiti più pesanti, la donna guerriero ebbe a rivolgere un lieve inchino nei riguardi del ragazzo e a introdurre se stessa, ricorrendo allo stesso nome per lei impiegato da Be’Sihl, a conservare una certa coerenza nelle loro dichiarazioni…

« Il mio nome è Madailéin Mont-d'Orb… ma puoi chiamarmi Maddie, se preferisci. » scandì, approfittando di quelle parole, e del movimento volto a ricondurla a una postura eretta, quantomeno per privarsi del cappuccio e, sotto di esso, del passamontagna, a rioffrire il proprio volto allo sguardo degli astanti.

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