11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 25 dicembre 2011

1436


U
na frase potenzialmente ambigua, quella appena scandita dalla donna, che pur non si impose, né si sarebbe mai potuta imporre, qual tale, dal momento in cui entrambi gli interlocutori di quel dialogo non avrebbero mai potuto equivocare il reale significato di quell'espressione, non rivolta a sottintendere una qualche relazione fra le parti in causa, quanto, e piuttosto, le rispettive relazioni l'una con il defunto capitano della goletta, l'altro con colei a cui tutti speravano di negare una qualche possibilità di ricongiungimento con il proprio perduto amico d'infanzia, nonché ex-amante.
Forte di tale consapevolezza, di simile impossibilità di fraintendimento per le parole da lei così pronunciate, Be'Sihl non poté ovviare a spendere un pensiero in direzione del fu Salge Tresand e, in ciò, del dolore inevitabilmente proprio per la stessa Berah, così apparentemente forte, energica, salda nei propri propositi e nelle proprie posizioni. Se, infatti, trascorso pressoché un lustro dagli eventi che avevano condotto alla prematura dipartita di Ja'Nihr e dello stesso Salge, qualcuno avrebbe potuto facilmente ipotizzare, da parte dell'equipaggio della Jol'Ange, il completo superamento di tale lutto, in un mondo sì frenetico, e impietoso nelle proprie evoluzioni, da lasciar apparire un simile arco di tempo più prossimo a quello di una vita intera, di un secolo o anche più; Be'Sihl era pur certo di come non cinque anni, non quindici e neppure cinquanta sarebbero stati sufficienti a ognuno di loro per scordare la violenta e prematura fine di due compagni tanto amati, di due amici, due parenti, fratello e sorella, per tutti a bordo di quella goletta, non di meno, certamente, coloro che agli stessi più avrebbero potuto legittimamente definirsi legati, quali Av'Fahr e la stessa Berah. Dopotutto, anch'egli, se solo avesse perduto Midda, se solo non fosse riuscito a giungere in tempo per salvarla, seppur ancora incerto su come poter concretizzare tale proposito, non si sarebbe potuto perdonare per il proprio fallimento, non si sarebbe potuto concedere requie per il proprio insuccesso, piangendo, nel proprio cuore, la perdita della propria amata non solamente nei giorni e nei mesi successivi alla sua scomparsa, ma anche, e addirittura, negli anni a venire.

« Pensi a lui ancora di sovente, non è forse vero? » domandò dopo un prolungato momento di silenzio, riprendendo parola ora con tono quasi timido, discreto nel proprio incedere, non desiderando potersi imporre qual ragione d'offesa a suo discapito.
« No. Non sovente. » negò ella, rabbuiandosi in volto a quell'interrogativo tanto diretto, nell'abbandonare il contatto con la sua spalla e nel riportare la propria mano a fondersi con il legno del timone, in una tonalità quasi equivalente fra il colore della sua pelle e quello proprio di tale lucido e importante strumento di navigazione « Sempre. » corresse, sforzandosi di sorridere, seppur in tal senso carica di amarezza.
« Io… non credo di poter immaginare il tuo dolore. » espresse egli, cercando di dimostrarsi il più solidale possibile con lei, non per semplice formalismo, quanto, e piuttosto, perché realmente triste per quella sua perdita, persino in misura maggiore di quanto, probabilmente, non avrebbe potuto definire razionalmente.
« E tu auguro di non poterci mai riuscire… » scosse il capo, risollevando lo sguardo, per un istante precipitato verso il suolo, in direzione del proprio interlocutore « E' facile scendere a patti con la morte quand'ella colpisce dei perfetti estranei, semplici nomi privi di volto, o addirittura numeri privi di nome in qualche conteggio a noi lontano. » commentò, apparendo, in tale asserzione, incredibilmente più vittima degli anni rispetto a quanto la sua ancor sufficientemente giovane età non le avrebbe concesso ragione di essere « Meno immediato, invece, è accettarla quando giunge impietosa accanto a noi, risparmiandoci non per un qualche sentimento di grazia, quanto, e piuttosto, per costringerci a domandarci, per il resto della nostra vita: "Perché non io?!" »

Da troppi anni residente nella città del peccato, da troppi anni posto a confronto con la violenza propria dell'intero regno di Kofreya, così come delle nazioni a esso confinanti, e lì, in Kriarya, espresse senza ipocrisie di sorta, senza celare l'evidenza dei fatti dietro assurde e inconsistenti maschere, rifiutandosi di definire la realtà con il proprio legittimo nome; Be'Sihl, probabilmente, si era assuefatto alla morte in termini che, nella sua natia Shar'Tiagh o in altre parti del mondo, non sarebbero stati considerati sì normali, consueti, qual quelli a cui, per propria libera scelta, egli aveva accettato nella propria quotidianità.
In conseguenza a tale, particolare e acquisita visione del mondo, l'idea di un assassinio, volontario o no, premeditato o no, per vedetta o per denaro, non avrebbe dovuto essere riconosciuta qual nulla di straordinario, qual nulla di estraneo al comune incedere del Creato sin dal giorno stesso del proprio concepimento, non più innaturale di quanto, per lo meno, non sarebbe stata l'uccisione di una preda durante una battuta di caccia o di un capo di bestiame nel momento in cui le sue carni fossero state richieste: in Kriarya, dopotutto, la media quotidiana di morti ammazzati si poneva sufficiente a giustificare la presenza di un'enorme pira funebre perennemente accesa, una montagna ardente, ricavata all'interno di un avvallamento poco distante le mura della stessa capitale, in cima alla quale, quotidianamente, venivano riversati tutti i cadaveri accumulatisi nelle strade, al duplice scopo di ovviare al fetore derivante dalla putrefazione di sì tanti corpi e, ancora, di prevenire un loro eventuale ritorno quali non morti, piaga già, malgrado ogni impegno in tal senso, troppo spesso accusata in quel particolare angolo di mondo.
Malgrado tutto ciò, al di là di ogni possibile abitudine alla morte egli potesse aver sviluppato, le parole così malinconicamente pronunciate dalla donna sua interlocutrice non avrebbero potuto ovviare a far breccia nel suo cuore così come in quello di qualcuno più refrattario di lui a un certo genere di emozioni, colpendolo profondamente e non ovviando a far risuonare nella sua mente quella stessa fatidica domanda: "Perché non io?!". Egli, pur non privo di qualunque preparazione al combattimento, di qualunque formazione alla lotta, qual sola gli era risultata indispensabile per riuscire ad attraversare, indenne, l'intero continente di Qahr, da nord a sud, da est a ovest, nell'emigrare da Shar'Tiagh sino a Kofreya, mai avrebbe potuto ipotizzare di competere con un guerriero esperto la decima parte di quanto non fosse Midda Bontor e, tuttavia, era riuscito a sopravvivere a un suo attacco, a una sua dichiarata offensiva, nel momento in cui l'osceno giuoco nel quale Desmair, tempo addietro, l'aveva coinvolto, l'aveva posto, senza colpa alcuna, qual avversario della propria amata, bersaglio per i movimenti della sua terribile lama dagli azzurri riflessi. E ora, nel mentre in cui egli ancora godeva di quel dono negato a una netta maggioranza di suoi predecessori al fianco della Figlia di Marr'Mahew, nonché della quasi totalità di coloro che ella era giunta a considerare propri nemici, l'esistenza della stessa mercenaria era stata violentemente posta in dubbio, promettendogli l'orrore di quell'angoscia or presente sull'animo di Berah, quel sentimento di inadeguatezza a una condizione che, tutto sommato, non gli sarebbe dovuta essere propria.

« Quanto è accaduto non è colpa tua… » sussurrò egli, cercando di offrire, in ciò, una stolida occasione di conforto alla propria interlocutrice, ricorrendo, suo malgrado, a parole forse eccessivamente inflazionate in un contesto qual quello delineato dal loro stesso dialogo.
« Saresti in grado di dirlo per te stesso? » replicò ella, con amarezza, non nella volontà di aggredirlo verbalmente, ove la rabbia incontrollata, attorno a tale morte, era stata già superata da tempo, quanto in quella di spingerlo a riflettere sulla vacuità di quell'ultimo intervento, suo malgrado privo di qualunque speranza di essere apprezzato qual vero, qual concreto, qual valevole « Non voglio pensare che possa accadere… ma se Midda non dovesse farcela, saresti realmente in grado di consolarti con un tale pensiero? Difendendoti nell'asserire com… »
« No. » negò il locandiere, non permettendole neppure di concludere la propria questione, nel non avere, purtroppo, dubbio alcuno nel merito dell'unica replica possibile a un tale quesito « No. Non riuscirei. »
« Perché?! » insistette Berah, spronandolo a spiegarsi meglio, ad approfondire la questione.
« Perché mi tormenterei convincendomi di non aver fatto abbastanza per impedire quanto è accaduto, di non aver insistito abbastanza per evitare che ella potesse organizzare uno stupido piano volto a confrontarsi con la propria gemella. » argomentò Be'Sihl, avvertendo il proprio cuore colmarsi di angoscia a tale ipotesi « O, anche, mi rimprovererei di non averla seguita, di non esserle stato accanto nel momento in cui tutto è avvenuto, anche ove questo avrebbe potuto significare… »

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