11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 10 marzo 2014

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« Rosso, verde o blu…?! » domandai al termine dell’incontro, dopo aver preso al vaglio tre diverse giacche di dimensioni idonee a quelle che avrebbero potuto rivestire le forme della mia amata, in tre colori diversi, lasciandole, in ciò, diritto di scelta nel merito dell’espressione di una propria preferenza a tal riguardo « Io punterei al blu… non ti ho mai vista vestita di blu… »
« Pensarti intento a sognarmi vestita di blu, se possibile, è anche più inquietante di averti avuto a meno di sei piedi di distanza a guardare impassibile nel mentre in cui affrontavo questi balordi… » osservò per tutta replica, inarcando un sopracciglio con fare critico nei miei riguardi.
« Erano soltanto tredici… e ubriachi. Ci hai messo meno di un quarto d’ora a stenderli tutti. E non ne hai ucciso neppure uno… » osservai, in risposta, a giustificare il perché di un mio mancato coinvolgimento nella questione, salvo rendermi conto tardivamente di quanto ingenuo fosse stato il mio fraintendimento, volto a ritenere la sua una critica per l’assenza, da parte mia, di un intervento nel corso della battaglia, così come, immediatamente, ella ebbe quindi ragione di farmi notare.
« Intendevo riferirmi al fatto che tu sia rimasto a guardare senza lamentarti della mia impulsività… » evidenzio quindi, sorridendo divertita nel confronto con la mia supposta arringa, spesa a difendermi lungo un fronte sul quale, obiettivamente, ella non mi aveva aggredito « … già mi aspettavo qualche predicozzo su quanto sbagliato possa essere stato da parte mia esordire in maniera tanto violenta su un mondo che non conosciamo… eccetera… eccetera… eccetera… »
« Io non faccio predicozzi. » sbuffai, svestendo da uno degli antagonisti privi di sensi il giubbetto rosso per gettarlo verso di lei « Tieni… inizia a metterti addosso questo. » le consigliai, premurandomi per lei ancor prima che per me, non qual atto di galanteria ma, quantomeno, al fine di ovviare all’eventualità di essere nuovamente sorpresi da qualche altro gruppo di sbandati come pocanzi avvenuto « Ora ti prendo anche i pantaloni e ti aiuto a indossarli… »

Per quanto ella non avrebbe mai voluto ammetterlo, ove ammettere qualcosa del genere sarebbe equivalso ad ammettere una difficoltà, e ammettere le difficoltà non era mai stata parte del suo carattere, non era mai stata parte della sua indole, ritrovarsi a essere privata del proprio braccio destro non avrebbe avuto a doversi considerare un’esperienza gradevole, né, soprattutto, pratica anche e soltanto per piccole cose, come, fra le molte, il vestirsi. Certamente ella avrebbe potuto obiettare come già da più di vent’anni il suo braccio destro non avrebbe avuto a doversi considerare realmente presente, essendo stato parzialmente mutilato, per la prima volta, in conseguenza a un’ingiusta accusa per pirateria. Ma quell’arto amputato sotto al gomito, pochi mesi dopo simile tragedia, aveva comunque fatto, in parte, ritorno nelle fattezze di un arto d’armatura, in nero metallo dai rossi riflessi, grottesco, insensibile, incapace a concederle meno della metà rispetto a quanto avrebbe mai potuto essere per lei proprio nell’arto destro originale e, comunque, tale da costringerla a reinventarsi in quanto mancina, benché mai lo fosse stata: un compromesso, quindi, e pur, ciò non di meno, un compromesso utile a permetterle di tirare avanti, di vivere la propria vita così come aveva sempre vissuto, o quasi. L’aver, tuttavia, perduto prima la propria mano metallica e, successivamente, aver nuovamente subito un’altra, terribile amputazione, qual quella che l’aveva vista privata della quasi totalità dell’arto rimastole, lasciandole soltanto la spalla, al di là di tutti i pur incolmabili limiti di quella protesi stregata, l’aveva nuovamente vista precipitare in una situazione di bisogno, di difficoltà, innanzi alla quale, ciò non di meno, ella non aveva preso in esame, neppure per un momento, di tornare a rivolgersi alle medesime creature che, vent’anni prima, le avevano concesso quell’estemporaneo surrogato.
Così, al di là del proprio orgoglio, al di là della propria indole, al di là di tutto quello che l’avrebbe spinta a gridarmi contro la propria indifferenza alla supposta necessità di un aiuto qual quello da me in tal modo quietamente garantitole; ella già da qualche tempo aveva incominciato ad accettare l’idea di potersi servire di me per sopperire a quanto, da sola, non era in grado di compiere, senza, in ciò, fraintendere i miei gesti, le mie azioni, qual compassione, qual pietà, in essi leggendo soltanto, e correttamente, amore.

« Attento a non scegliere qualcuno che se l’è fatta sotto… » mi raccomandò, pertanto, in merito alla selezione dei pantaloni, nel mentre in cui, lasciando appoggiare la spada a terra, raccolse la giacca offertale e, con malgrado tutto una straordinaria e innata eleganza, riuscendo a indossarla malgrado la sola presenza di quella mancina, unica mano rimastale, unico arto rimastole, in grazia al quale, del resto, non si era riservata problema alcuno a privare d’ogni consapevolezza del mondo a sé circostante ben tredici bruti, quali quelli che, probabilmente, incrociando sul proprio cammino una diversa presenza femminile, non si sarebbero poi concessi eccessive remore ad abusare di lei così come, senza troppe necessità di analisi, non avevano tardato a cercare di compiere anche con la mia amata « Già l’idea di girare senza perizoma non mi entusiasma… se a questo ci aggiungi delle brache già bagnate di urina, il mio amor proprio potrebbe avere di che risentirne. »
« Dovresti lamentarti con la tua amica fenice, allora… » osservai, nel contempo nel quale, pur, non mancai di prestare attenzione così come richiestomi a scegliere non solo dei pantaloni della sua taglia, ma, anche, dei pantaloni nei quali alcuno di quei disgraziati, svenendo, non avesse pensato bene di rilasciare il contenuto della propria vescica… o peggio « Che bisogno c’era di spogliarci…?! »
« Probabilmente era curiosa di poter osservare il tuo bel sederino… » commentò maliziosa, facendo atto di sporgersi a contemplare le mie forme ancor nude, mordicchiandosi il labbro inferiore a dimostrazione di tutto il proprio più sincero interesse in tal senso « … e, perdonami, ma non me la sento di darle torto! »
« … ti diverti proprio tanto a stuzzicarmi… non è vero?! » protestai, inspirando ed espirando aria dai polmoni, per cercare, ancora una volta, di costringermi a restare concentrato sull’urgenza del momento, allorché permettermi di distrarmi dietro a qualche fantasia che, purtroppo, a meno di non scoprire di aver perduto il mio coinquilino nel corso del viaggio, non si sarebbero potute realizzare tanto presto.
« Naa… giusto un pochettino, magari… » ridacchiò, concedendosi la stessa leggerezza psicologica di una bambina, quasi dimentica, in tutto ciò, del contesto in cui ci stavamo ritrovando a essere e del fatto che, giusto per iniziare di buon umore, si era appena liberata di tredici facinorosi « … e poi lo sai bene che dopo una bella rissa mi viene sempre voglia di fare l’amore con te! » soggiunse, sbuffando, e in ciò dimostrandosi nuovamente sincera in tutta la propria più viva frustrazione per le difficoltà imposte al nostro rapporto, alla nostra relazione, che stavano psicologicamente gravando anche su di lei, per quanto, pur non senza una giusta ragione, avesse a doversi considerare l’artefice dietro alla decisione di quella nostra, costretta, separazione.

In verità, per quanto, comunque, mai Desmair fosse stato in grado di prendere il controllo su di me senza un mio esplicito consenso, o, quantomeno, per quanto mai Desmair si fosse preso qualche libertà in tal senso; io stesso, per primo, non mi sarei razionalmente fidato a concedermi occasione di giacere con lei sapendo che, da un istante all’altro, il semidio dentro la mia testa avrebbe potuto decidere di non restare, semplicemente, a osservare passivo l’evolversi della situazione, così come, in diversi modi, già ero consapevole avesse compiuto in passato, ma di prendere parte all’azione, estromettendo temporaneamente la mia coscienza per subentrare lui, a consumare, in tal modo, un matrimonio del quale pur, ancora, non aveva mai potuto godere, benché nel corso del tempo qualche pensiero, qualche fantasia in tal senso avesse iniziato a essere presente in lui, malgrado l’astio che pur non avrebbe potuto negarsi nei confronti di Midda per averlo privato della propria sposa prescelta, una giovane negromante che, ove a lui legata in matrimonio, sperava sarebbe stato in grado di liberarlo dai confini della propria prigione… confini che, ormai e obiettivamente, non avevano più per lui alcuna importanza, essendo, sostanzialmente, deceduto.

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