11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 11 aprile 2009

456


T
re.
Tale fu il numero prescelto dagli dei a voler caratterizzare il momento dell'incontro tanto atteso fra Nass'Hya e il suo sultano. Tre come le candidate, all'interno dell'harem, che furono selezionate per tale compito, fra le quali ovviamente la principessa. Tre come i giorni in cui egli aveva programmato di fermarsi presso la capitale. Tre come le ore che, potenzialmente, avrebbe dovuto concedere ad ogni possibile sposa per conoscere l'oggetto delle proprie brame, per presentarsi a lui e porre le prime basi per un possibile futuro insieme. Tre come i profondi respiri che Midda riuscì ad imporsi prima di decidere di agire per la via meno violenta, limitandosi a lasciare furiosamente la stanza con il principale intendo di evitare di essere spinta dalla propria ira a guidare il freddo metallo della propria mano destra attorno al collo del monarca y'shalfico, stringendolo a sé e prendendolo in ostaggio davanti a volti che sarebbero diventati decisamente più stupiti di quanto comunque non furono, per quella sua reazione.

In verità, comunque, la giornata non era cominciata in maniera tanto negativa, non per lo meno tale da giustificare, da dare spazio ad un simile risvolto.
In qualità di serva particolare, ed in effetti unica, preposta al servizio della principessa all'interno dell'harem, a Midda era stato imposto l'onere di accompagnare la propria signora anche in occasione dell'incontro con il sultano: un dovere che venne da lei inizialmente interpretato più come un'opportunità, utile a comprendere se e quando la conclusione della sua missione avrebbe potuto considerarsi prossima o, addirittura, già giunta. Purtroppo nonostante nel suo passato, anche non prossimo, vi fossero state già esperienze decisamente spiacevoli con la nobiltà y'shalfica, la donna guerriero non avrebbe dovuto mancare di rimproverarsi di aver commesso un'evidente ingenuità nell'ignorare l'insegnamento già ricevuto, maturato sulla propria stessa pelle, a proprie spese, lasciandosi forse trascinare dall'entusiasmo del momento e della sua protetta e dimenticando, in esso, il mondo con cui aveva avuto ed aveva ancora tristemente a che fare. Se così non fosse stato, infatti, ella avrebbe affrontato con migliore preparazione psicologica ciò che si ritrovò, invece, ad affrontare con sguardo calibrato sui propri principi, sulle proprie regole di vita, estremamente diverse da quelle che regolavano quella realtà a lei tanto lontana e con la quale non avrebbe mai potuto avere qualcosa in comune.
Il sultano attualmente regnante, ignoto prima di quel giorno alla donna guerriero, si era presentato quale un uomo, o un ragazzo, di età probabilmente superiore ai vent'anni ma decisamente inferiore ai trenta: succeduto al padre innanzi tempo, egli era apparso effettivamente essere più prossimo ad un cadetto che ad un erede al trono, dimostrando nel proprio modo di essere, ancor prima che nel proprio esprimersi o agire, l'ingenuo trasporto tipico della gioventù, che probabilmente nel corso degli anni sarebbe stato sostituito da un meno romantico senso pratico, frutto della maturità politica che inevitabilmente avrebbe dovuto acquisire nel desiderio di sopravvivere.
Dotato di un fisico atletico, decisamente slanciato, non si sarebbe potuto descrivere quale privo di avvenenza: la sua pelle chiara tradiva la tendenza ad una carnagione olivastra che si sarebbe dimostrata pienamente se solo egli avesse trascorso maggiore tempo all'aperto ancor prima che rinchiuso all'interno del proprio palazzo, prigioniero del proprio ruolo; il suo viso proponeva una forma regolare, appena affilata lungo i propri zigomi, nella propria sagoma, con un mento comunque non appuntito ed un naso ben proporzionato, in perfetta linea con la fronte se osservato di profilo; la sua bocca, ornata da labbra sottili, presentava una lunga fila di bianchi denti perfettamente curati, impeccabili nella loro presenza; i suoi occhi castani si concedevano, infine, un una tonalità quasi rossastra, fra le punte di capelli castani, tagliati non corti, eppur non lunghi, i quali ricadevano alla rinfusa sul suo volto e sul suo collo, vanamente stretti da un turbante ugualmente scuro. La stoffa di quest'ultimo, pur simile nella propria tonalità alla notte più cupa, appariva quasi nell'intenzione di riprendere proprio del cielo stesso la meravigliosa trama stellata, mostrando, in un'ostentazione forse eccessiva, una miriade di piccoli diamanti intrecciati in maniera regolare alla medesima trama, concedendo così al copricapo un prezioso effetto unico, difficilmente imitabile. A sua volta scuro, per quanto non altrettanto rispetto al turbante, nel tendere maggiormente al blu rispetto al nero, si presentò essere anche la lunga veste, decorata con motivi geometrici di un colore azzurro più brillante, da lui indossata a copertura del proprio corpo o, quantomeno, di una parte di esso, dove effettivamente risultava essere completamente aperta su tutto il fronte anteriore, non celando in ciò nulla di quanto sotto presente. A livello addominale, in conseguenza di ciò, si concedeva il suo torso completamente nudo, glabro, privo di ogni ombra di peluria sopra alle forme marcate della muscolatura, ornata semplicemente da una lunga collana di perle nere, avvolta a doppio filo attorno al suo collo e da lì ricadente in tutta la propria lunghezza tale da scendere fino alla cintola, intuita quale decisamente massiccia in oro e pietre preziose. Più in basso, infine, le gambe apparivano avvolte in semplici pantaloni di foggia y'shalfica, ampi attorno alle cosce e stretti subito sotto le ginocchia, a lasciare scoperti i polpacci, mentre ai piedi presentava altrettanto semplici calzari di cuoio morbido.
Un abbigliamento certamente non povero, ma che, a conti fatti, non era parso neppure desiderare concorrere con i completi ben più pregiati proposti nelle serate di gala precedenti da semplici rampolli di famiglie nobili locali. Del resto, egli era il sultano e la propria condizione di potere, la propria ricchezza, non avrebbero avuto necessità di essere dimostrate in quel modo tanto mondano, quasi volgare: il suo nome, il suo titolo, il suo ruolo avrebbero potuto rendere anche il peggior cencio simile ad un vello d'oro se solo fosse stato indossato da lui e, consapevole di ciò, anche risultare vestito in maniera tanto leggera, priva di particolari eccessi, dove comunque il turbante già sarebbe stato considerabile tale, il giovane non aveva necessità di ricercare altro se non la propria comodità, il proprio agio.
Al termine di un momento sereno di cena, ovviamente consumata solo da parte del sultano dove alcuna delle tre candidate mogli e delle loro serve avrebbero mai potuto infrangere il rigido protocollo nel liberarsi del velo neppure in tale occasione, il giovane aveva giudicato giunto il momento di conoscere qualcosa di più in merito alle proprie controparti, iniziando ad offrire loro, alternativamente, una lunga serie di domande, utili a provarne l'educazione e, soprattutto, a sfidarne il carattere.
Di fronte alle provocazioni da lui offerte, le due nobildonne compagne d'harem della principessa erano restate praticamente inermi, accettando qualsiasi genere di verbo anche laddove esso era stato proposto in un'accezione sempre più umiliante, denigrante: in loro, del resto, era stato da subito evidentemente solo il desiderio di non tradire l'occasione concessa, quella fortuna che non avrebbero dovuto lasciarsi sfuggire, nella possibilità di diventare una delle sue mogli e, magari, un giorno la prediletta, colei che avrebbe potuto farsi fregio del titolo di sultana. Al contrario, la principessa Nass'Hya aveva avuto successo nel mantenere inalterato il proprio carattere, il proprio spirito, non infrangendo in ciò alcun regolamento, non offrendo alcun motivo d'offesa a colui che era comunque il proprio sovrano, e pur non sottomettendosi a lui, con la stessa abilità usualmente adoperata nel giostrare con i pezzi su una scacchiera. Quella stessa caratteristica che entro certi limiti era in grado di preoccupare seriamente la mercenaria, in quell'occasione l'aveva resa altresì estremamente soddisfatta, se non quasi orgogliosa, condividendo totalmente la scelta compiuta dal proprio mecenate nell'inviarla lì, a rapire quella giovane: non sarebbe certamente valsa la pena di rischiare la propria vita per trascinare attraverso il fronte di guerra la stessa, se ella si fosse dimostrata una banale sciocca come tante altre, priva di cervello.
Ma proprio quando, nel corso di quel sottile gioco psicologico fra le quattro parti in causa, quasi quella in atto fosse realmente stata una partita di chaturaji, la Figlia di Marr'Mahew si era ormai illusa che la propria compagna potesse avere la vittoria in pugno, il giovane sultano aveva espresso una volontà da lei totalmente, ed ingenuamente, inattesa, che parve rovinare un percorso altrimenti perfetto.

« Mie care… » aveva pronunciato, con voce delicatamente melliflua, volutamente sorniona e maliziosa nell'osservare le tre candidate offerte innanzi a sé e, poi, addirittura anche le tre serve loro prossime « La conversazione è stata indubbiamente piacevole e costruttiva, ma credo che ora sia giunto il tempo di spingere la selezione ad un livello leggermente superiore… »

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