Preoccupato e arrabbiato, Howe si diresse verso la superficie, risalendo di buona lena attraverso l’intera estensione verticale di quel complesso sotterraneo che, ormai, nel corso di quegli ultimi giorni, aveva imparato a conoscere e a girare in autonomia.
Aveva bisogno di sbollire un po’ i nervi. E quei nervi conseguenza non soltanto dell’ostinazione di Midda nei confronti dell’idea del proprio suicidio, ma anche, e ancor peggio, dell’impassibilità di Lys’sh innanzi a tutto ciò. Possibile che nessuna delle due riuscisse a comprendere il vero punto della situazione? Possibile che entrambe avessero a preferire l’idea di rischiare in quella maniera...? E per cosa poi...?!
Nel mentre in cui risaliva verso la Città della Pace, lo shar’tiagho non poté ovviare a viaggiare con la propria mente a diversi momenti della propria personalissima storia con Midda Bontor, a partire dall’inizio, e da quel primo, obiettivamente strano, incontro nella Terra di Nessuno. All’epoca la Figlia di Marr’Mahew si era lasciata imprigionare volontariamente all’interno di un carcere, ormai distrutto, concepito per non offrire ad alcuno possibilità di tornare indietro, di rimettere il naso nel mondo esterno. Non rammentava ora per quale assurda ragione ella avesse scelto di agire in maniera così stolida... ma, del resto, agire in maniera stolida era obiettivamente parte del suo modo di essere, e il segreto in grazia al quale ella era divenuta colei che era divenuta. In quale altro modo, altrimenti, giustificare il suo successo? E il suo successo nel tradurre in realtà quanto per i più ritenuto impossibile...?!
Tante avventure. Tanti rischi. Tante battaglie. Tanta complicità. Tante bevute. Tante risate. Midda Bontor, subito dopo suo fratello Be’Wahr, era obiettivamente la persona che aveva condiviso con lui la fetta più importante della propria vita. E, ora, ancora una volta, egli avrebbe dovuto essere pronto a dirle addio.
“... ancora una volta...”
Di ciò non ne aveva parlato. Ovviamente. Ma ancora, a pesare sul suo cuore, avrebbe avuto a dover essere inteso l’addio da lei offerto loro prima di partire per le stelle, in un viaggio che aveva avuto inizio con l’idea, inespressa e pur obiettivamente chiara, di non prevedere possibilità di ritorno.
All’epoca Midda Bontor era finalmente riuscita a chiudere un capitolo molto importante della propria vita, nella conclusione, purtroppo e pur ineluttabilmente tragica, della propria disfida con Nissa, la sua gemella. Ma, in immediata conseguenza a ciò, Anmel Mal Toise aveva palesato in maniera incontrovertibile la propria presenza, fuggendo verso le infinite distese siderali. E là dove, nel contempo di ciò, avevano avuto occasione di scoprire, di apprendere, quanto la responsabilità di tutto ciò avesse a doversi intendere anche loro, e conseguenza diretta del recupero di quella corona maledetta, la donna guerriero non si era tirata indietro. Non si era tirata indietro e aveva accettato di partire, sulle ali della fenice, verso l’ignoto... e un ignoto assoluto, qual solo quella smisurata immensità avrebbe potuto rappresentare.
Ella aveva deciso di partire. E di partire addirittura permettendo a Be’Sihl, il suo amato, di seguirla, segno evidente di quanto, in fondo, avesse a escludere l’eventualità di un qualche ritorno a casa, per una ragione o per l’altra. E loro, tutti loro, i suoi amici, i suoi compagni di ventura, i suoi fratelli d’arme, l’avevano dovuta altresì salutare, in un arrivederci dal sapore di addio, o forse in un addio ammantato dalla speranza di potersi tradurre in un arrivederci... non lo ricordava, ormai, e non avrebbe avuto valore nella propria distinzione, là dove il concetto non sarebbe mutato: ella era stata, ancora una volta, pronta a sacrificarsi. E si era sacrificata.
Un sacrificio, quello di pochi anni prima, obiettivamente non diverso da quello di molti anni prima, e di ogni altra dannatissima occasione. E un sacrificio che, ancora una volta, aveva veduto Howe e Be’Wahr, insieme a Seem e a tutti gli altri, essere costretti al ruolo di meri spettatori, piangendo la perdita della loro amica, di quella loro sorella, e con essa di una parte fondamentale della propria esistenza.
“... ora basta...”
Howe era stanco. Era obiettivamente stanco di veder Midda Bontor entrare e uscire dalla sua esistenza con assoluta noncuranza, con la più totale indifferenza, quasi come se, in fondo, a nessuno importasse veramente. Perché a lui importava. E quanto, ora, non gli importava più sarebbe stato il timore di apparire egoista, egocentrico, nell’accentrare la questione su di sé, nel riportare l’interesse unicamente sulle proprie esigenze, sui propri sentimenti.
Anche perché, sino a quel momento, a nessuno, chiaramente, era importato dei suoi sentimenti. Neppure a Lys’sh...
« Posso avvicinarmi o sei ancora troppo arrabbiato...? »
A sorprenderlo, costringendolo a riemergere dal turbinio dei propri pensieri, e di quei pensieri nei quali era sprofondato seduto a terra in un angolo fra le rovine della Città della Pace, fu proprio la voce di Har-Lys’sha, allora quasi evocata, in tal maniera, dal proprio stesso flusso di coscienza.
Har-Lys’sha che, ovviamente, non soltanto era stata in grado di ritrovarlo, ma, anche, di appropinquarsi a lui con la propria consueta discrezione, tale per cui, anche non fosse stato così assorto dal proprio flusso di coscienza, egli non avrebbe avuto probabilmente ad accorgersi di lei.
« Non sono arrabbiato. Sono deluso... » puntualizzò egli, salvo rendersi conto di essersi appena mentito, e, in ciò, ritrovarsi costretto a correggere il tiro « Cioè... sono anche arrabbiato. Ma con Midda. » precisò, aggiungendo subito dopo « Cioè... un po’ anche con te. »
Lys’sh sorrise a confronto con l’evidente confusione emotiva del proprio amato, e di quell’uomo che, al di là di tutta la propria apparente spavalderia, avrebbe avuto a doversi intendere decisamente più fragile di quanto chiunque non potesse immaginare. E muovendosi fino a lui, con un gesto elegante, ebbe a lasciarsi sedere al suo fianco, senza tuttavia ancora cercare un contatto fisico, a rispettarne i sentimenti.
« Dannazione, Lys’sh... » argomentò allora, scuotendo il capo con chiara frustrazione « Possibile che tu non ti renda conto di quanto Midda stia rischiando in tutto questo...?! »
« Me ne rendo conto. Me ne rendo conto perfettamente. » confermò ella, annuendo appena e sorridendo con dolcezza verso di lui, in quel suo personalissimo modo di sorridere, conseguenza di una bocca priva di labbra « E non credere che io non sia preoccupata per lei. Anzi... sono terrorizzata dall’idea di poterla perdere, e di perderla per sempre. »
« E allora perché ti sei dichiarata concorde con questa follia? Perché hai accettato l’idea che possa sacrificarsi in questa maniera...?! »
Per un solo, fugace istante ella si concesse di restare in silenzio. Non per avere a riflettere, non per sforzarsi di trovare le parole giuste, quanto e piuttosto per concedere al proprio interlocutore tempo utile a predisporsi psicologicamente ad accettare la sua risposta.
Risposta che, alfine, ebbe quindi a offrigli in termini terribilmente semplici e concisi...
« Midda sta mettendo in gioco la propria vita, rischiando di morire? » domandò retoricamente, con un quieto sorriso « E cosa c’è di diverso rispetto a ogni altro, singolo giorno della sua vita? O delle nostre vite...?! »
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