Ritrovarsi a essere sdraiata su un altare non avrebbe avuto a dover essere frainteso, per la Figlia di Marr’Mahew, qual espressione di qualcosa di positivo. Né, tantomeno, positivo avrebbe avuto a doversi intendere circondata da quattro persone intente a recitare strane formule in un linguaggio per lei sconosciuto, tracciando all’unisono, con le mani, strani gesti in aria, in conseguenza ai quali innaturali tracce di luce venivano tracciate attorno a lei, sotto di lei, nulla di positivo avendo, in generale, a suggerire per il suo futuro... non, per lo meno, qual primo e più immediato pensiero.
La se stessa di cinque anni prima, o di quindici anni prima, o di venticinque anni prima, o, persino, di trentacinque anni prima, non avrebbe mai accettato quell’idea, quella situazione, preferendo, piuttosto, avere ad accogliere il suggerimento proposto da Howe e, in ciò, a fare una vera e propria strage di quei quattro stregoni, qual, necessariamente, avrebbero avuto a dover essere intesi i capi della Progenie della Fenice. Ma la se stessa di cinque anni prima, o di quindici anni prima, o di venticinque anni prima, o, persino, di trentacinque anni prima, non avrebbe neppure mai accettato l’idea di essere diventata, a propria volta, una strega, e non una strega qualsiasi, ma una strega del calibro di Anmel Mal Toise, della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice... anzi, e ancor più, erede della medesima regina maledetta.
Insomma: a confronto con una situazione così drastica, drastica avrebbe avuto a doversi necessariamente intendere anche la risposta da parte sua. Ma nulla di tutto ciò avrebbe avuto minimamente a doversi fraintendere qual qualcosa che ella avrebbe avuto a poter spontaneamente accettare con positività.
Al contrario...
“Thyres... questa volta mi sa che finisce male davvero...”
Immobile, a cercare di minimizzare l’eventualità di un qualche errore da parte dei quattro lì impegnati in qualcosa di chiaramente più grande di loro, non avendo avuto mai a tentare prima qualcosa di simile né, tantomeno, a immaginare potesse essere tentato qualcosa di simile, Midda Bontor non si sarebbe negata occasione utile a restare in silenzio a confronto con tutto ciò, trattenendo per sé ogni commento più o meno ironico comunque utile a permetterle di contrastare quella tensione crescente. Non che ella non desiderasse parlare, non che non desiderasse commentare tutto ciò, fosse anche, e soltanto, per rilassarsi: ciò non di meno, però, ella non avrebbe potuto desiderare, in misura ancor maggiore, sperare di sopravvivere a tutto ciò, ragione più che utile, pertanto, a restarsene buona buona, sperando che tutto potesse andare per il meglio, malgrado le probabilità non sembrassero, propriamente, deporre a suo favore.
Ovviamente, al di là di quanto dimostrato con Howe e Lys’sh, al fine di non giustificare maggiori ritrosie da parte loro, ella non avrebbe in alcuna misura a potersi considerare così ferma nel proprio intento, nel proprio proposito. Certo: ella desiderava liberarsi di Anmel e del suo potere, e quella sembrava offrirsi obiettivamente qual un’ottima occasione per farlo. Ma, proprio malgrado, ella era anche spiacevolmente figlia dei propri tempi, del proprio mondo, e in quanto tale non avrebbe potuto in alcuna misura confrontarsi in maniera positiva con l’idea di una soluzione di quel genere. E, soprattutto, di una soluzione con una possibilità di successo tanto remota.
“Dai... dopotutto sono sopravvissuta anche a situazioni peggiori...”
A spronarsi, a giustificarsi, a promuovere l’assennatezza di quella soluzione, ella ebbe allora iniziare a elencare mentalmente tutte le occasioni nelle quali si era stolidamente confrontata con qualche minaccia superiore alle proprie possibilità di vittoria, in un elenco che, con buona pace, ebbe a tenerla occupata per un tempo di difficile discriminazione, e pur così lungo che parve estendersi per ore, se non, addirittura, per giorni.
Un elenco, sicuramente incompleto, il suo, che non poté ovviare a concludersi con un pensiero. E un pensiero estremamente onesto da parte sua...
“Certo che ne ho fatte di idiozie nella mia vita!”
In fondo Howe aveva ragione ed ella lo sapeva bene. Anche perché, dopotutto, Howe incarnava né più, né meno, il genere di persona, e di mentalità, nel quale anch’ella era solita rispecchiarsi, e nel quale anch’ella avrebbe avuto piacere di poter presto tornare a rispecchiarsi, senza più troppe controindicazioni di ordine morale qual, proprio malgrado, il possesso dei poteri della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice, non avrebbe potuto ovviare a imporle.
Sarebbe riuscita a farcela...? Sarebbe riuscita a ritornare a essere la cara e vecchia se stessa...?!
« Possiamo iniziare. » prese voce, in maniera del tutto imprevista, e inattesa, Simesa, esprimendosi improvvisamente in una lingua nota, ed esprimendosi direttamente all’attenzione della stessa Figlia di Marr’Mahew.
« ... in che senso “possiamo iniziare”?! » non riuscì a tacere la donna guerriero, aggrottando appena la fronte a confronto con quell’annuncio « A me sembra che abbiate iniziato da ore... »
« E’ così. » confermò Raduz, comprendendo il senso dell’obiezione della loro interlocutrice « Ciò non di meno, tutto questo era solo in preparazione all’incantesimo vero e proprio. » puntualizzò, meglio spiegando la questione « Ora è veramente l’ultima occasione che abbiamo per interromperci. Proseguendo, non si potrà più tornare indietro. »
« Vuoi che ci fermiamo qui...? » domandò Nu-Adre’gs, in un interrogativo assolutamente non polemico, quanto e piuttosto motivato dalla volontà di cercare, ancora una volta, un assenso da parte della stessa Erede in loro favore.
« No. Andate avanti. » sospirò ella, sforzandosi a dimostrare un sorriso, e un sorriso che pur non poté negarsi di apparire estremamente tirato, spiacevolmente forzato « Ma se qualcosa dovesse andar storto... se non dovessi essere io, alla fine di tutto, ad avere la meglio... per favore, fate tutto quanto in vostro potere per fermarla. »
« Esistiamo proprio per questo. » confermò Fenisadre, in una quieta conferma che non tentò minimamente di esorcizzare il timore di un fallimento da parte loro, ma che, con estrema concretezza, ebbe a partire dal presupposto che ciò potesse allor occorrere.
Dopotutto, per quanto ormai sinceramente desiderosi che quell’operazione avesse successo, e desiderosi che Anmel Mal Toise avesse a essere nuovamente esiliata senza, in ciò, avere a sacrificare Midda Bontor, né Raduz, né Nu-Adre’gs, né Simesa, né Fenisadre avrebbero potuto negare di essere psicologicamente pronti a doversi confrontare con lo scenario peggiore, e con lo scenario in conseguenza al quale, innanzi a loro, avrebbe avuto a manifestarsi la stessa regina, in tutta la sua empia presenza.
« Grazie. » annuì allora la donna guerriero, in quella che, era consapevole, avrebbe potuto essere la propria ultima frase.
Non aggiunse altro. Non una parola in favore di Howe e di Lys’sh. Non un pensiero rivolto verso Be’Sihl o verso Tagae e Liagu. Né, tantomeno, in direzione di qualunque altro membro della propria famiglia, del proprio clan. Se si fosse, infatti, concentrata su di loro, e sull’eventualità di non avere più a rivederli, ella avrebbe umanamente vacillato nei propri propositi, per così come, ora, non avrebbe potuto permettersi di fare. E così ella tacque, preparandosi a concludere la propria esistenza con quell’assurda gratitudine in favore di coloro i quali l’avrebbero forse uccisa.
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