11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 4 marzo 2012

1506


P
erfettamente trasparenti delle proprie intenzioni, le parole della Figlia di Marr'Mahew risultarono, purtroppo e a posteriori, del tutto prive di significato, dal momento in cui a quel secondo attacco da parte degli angeli, fallito o no che avrebbe avuto piacere di essere considerato, ne seguì, immediatamente e rapidamente, un terzo, senza concedere in tale occasione, ai cinque avventurieri, occasione di riorganizzarsi al fine di attuare una qualunque strategia più originale, ed elaborata, rispetto a quelle da loro attuate sino a quel momento.
Compiuta, infatti, una parabola più stretta rispetto alla precedente, l'akero già avversario del giovane Seem, tornò rapidamente a precipitare verso la sua direzione, non muovendosi metaforicamente in tal senso, ma, concretamente, lasciandosi cadere contro di lui dall'alto, forse nella speranza, in tal modo, non soltanto di sorprenderlo, ma, anche, di schiacciarlo al suolo. Intuendo una simile volontà, lo scudiero reagì con ancor encomiabile prontezza di riflessi, non cercando, vanamente, di rifuggirgli immediatamente, ma attendendo sino all'ultimo l'occasione giusta per sottrarsi a lui, lasciandosi rotolare a terra lontano dalla posizione un istante prima da sé occupata. Una scelta, la sua, che tuttavia si ritrovò nuovamente a essere vanificata nei propri intenti, nei propri scopi, in questa occasione non tanto da una propria carenza, da una propria mancanza, quanto piuttosto dalle azioni avversarie, le quali, al momento del supposto impatto, si rivelarono rivolte non tanto a una mera offensiva nei suoi riguardi quanto, e peggio, a conquistare il suolo e, con esso, una nuova dimensione orizzontale per i propri movimenti, per le proprie offensive. Così, laddove il ragazzo pur aveva sperato di poter vedere l'avversario schiantarsi al suolo o, quantomeno, di riservarsi un qualche tentativo, sicuramente stolido, di offesa nei suoi riguardi; questi non poté far nulla al di fuori di offrirsi inerme all'aggressione che l'altro gli volle dedicare, spazzandolo con violenza immane con un movimento della propria ala destra e, in ciò, proiettandolo in alto nel cielo e, ancora una volta, lontano da sé.
Contemporaneamente a lui, anche gli angeli già rivoltisi in contrasto a Howe e Be'Wahr, o se non loro altri due loro pari, ove difficile sarebbe stato seguirne le rapide evoluzioni in cielo, tornarono a cercare occasione di scontro verso gli stessi, ridiscendendo a propria volta al suolo con due rapidi movimenti che, al di là dello scopo finale, non vollero negarsi la speranza di schiacciare sotto i propri piedi, o qualunque estremità essi avessero nella parte inferiore dei propri corpi, gli avversari, le prede lì loro presentate. In tal occasione, tuttavia, essi non colsero i due divisi e impreparati qual, purtroppo, si erano offerti un istante prima: caduto a terra il biondo, duramente punito per il proprio tentativo d'offesa a discapito dell'akero, lo shar'tiagho suo fratello si era precipitato verso di lui, preoccupato per le sue condizioni. Per questo, quando le due creature di luce tornarono all'attacco, la coppia di mercenari poté far affidamento sulle proprie forze congiunte, predispongo rapidamente una tattica utile a ovviare al peggio. Restando uniti sino all'ultimo, e attraendo a sé due distinti angeli, i due fratelli attesero, non diversamente rispetto a quanto già compiuto dallo scudiero, l'ultimo istante utile per muoversi, sospingendosi reciprocamente lontani da quel punto nel far leva l'uno sul corpo dell'altro e destinando, in tal modo, i propri antagonisti a schiantarsi non tanto al suolo, quanto, e peggio, l'uno contro l'altro. E gli angeli, forse in quanto creature superiori e in questo incapaci a supporre una qualche effettiva possibilità di reazione ai propri movimenti, non ebbero modo di arrestare il proprio movimento, il proprio volo, ricadendo, come preventivato e augurato, l'uno contro l'altro, in un impatto che generò un violento lampo di luce, non dissimile da quello già conseguente al tentativo d'offesa imputato loro da parte del biondo.

« Dannati figli d'un cane! » esclamò con soddisfazione Howe, nel rotolar, ancora, lontano da quella specifica posizione, e pur non negandosi possibilità di assistere all'evoluzione della situazione « Questa volt… »

Ma qualunque affermazione egli pur tentò di rivolgere a discapito della coppia di angeli, non ebbe allora la benché minima possibilità di concludersi, di essere completamente espressa, dal momento in cui, innanzi al suo sguardo, e come al suo a quello del fratello, i due avversari supposti quantomeno storditi in conseguenza dello sgradevole contrasto a cui erano stati in tal modo sospinti, si ripresero immediatamente, offrendosi in fiera posizione eretta e pronti, senza confusione alcuna, a proseguire nel confronto da loro stessi ricercato, addirittura, e in maniera inedita, evocando nelle proprie destre due lunghe spade di luce, forse costituite della medesima materia dei loro stessi corpi e, in ciò, indubbiamente temibili, così come già Be'Wahr aveva avuto possibilità di scoprire a proprie spese.

« Maledizione… » gemette lo shar'tiagho, stringendo i denti e costringendosi a recuperare, quanto prima, una posizione a sua volta eretta, per evitare di lasciarsi sorprendere da chi, indubbiamente, lo avevano già trovato non solo stupefatto, ma, forse, intimamente terrorizzato, nell'evidenza concreta di come in alcun modo sarebbe stato concesso loro di fermarli.

Alla medesima conclusione, e con non maggiore entusiasmo, non poté che giungere anche Av'Fahr, nel momento in cui, ancora accanto a Midda, tentò insieme alla donna una strategia del tutto parallela a quella dei due fratelli, di pochi fuggevoli istanti differita dalla loro, ottenendo, sgradevolmente, un non diverso risultato. E così, anche il marinaio e la mercenaria non tardarono a veder schierati innanzi ai propri sguardi due angeli armati di lame lucenti, in grazia alle quali, probabilmente, non sarebbe stato neppure concesso loro il tempo di rendersi conto della propria ormai sopraggiunta fine, in una prospettiva, dopotutto, persino piacevole a pensarsi, in un'idea gradevole a prendersi in considerazione.
Tutt'altro che, però, desiderosa di assaporare la spada del proprio antagonista, la Figlia di Marr'Mahew fu la prima a reagire e, in effetti, a reagire non tanto in contrasto al proprio diretto avversario, quanto, e piuttosto, a quello elettosi a contrasto del suo scudiero, intervenendo in difesa di quest'ultimo dal momento in cui questi, ricaduto dolorosamente a terra, non avrebbe avuto tempo di recuperare una posizione eretta, o di erigere una qualunque difesa innanzi a sé, prima di essere subitaneamente sterminato dal proprio akero. In ciò e per ciò, quindi, ella si slanciò con un alto grido di battaglia, un urlo simile a un ruggito ferino, a tentare di offendere il mostro di luce con la propria spada, in un gesto non diverso da quello che già aveva voluto rendere proprio il biondo Be'Wahr pocanzi e che non lo aveva condotto a un qualche risultato degno di nota. Impossibile, nel mentre di quel rapido movimento, del quale solo l'akero stesso ebbe modo di rendere propria coscienza, sarebbe stato esprimere una qualunque ipotesi nel merito di quanto ella stesse lì agendo in quanto sospinta da reale confidenza con i possibili esiti del proprio attacco o, piuttosto, sospinta da semplice istinto bellico, slanciata contro il proprio avversario senza essersi concessa un semplice istante per ponderare sulle conseguenze che, da tal gesto, sarebbero per lei derivate. Ciò che, tuttavia, avvenne, offrendole implicitamente ragione, fu un movimento difensivo da parte dell'angelo, il quale, malgrado probabilmente alcun danno avrebbe potuto imporre in suo contrasto la pur meravigliosa lama della donna dagli occhi color ghiaccio, reagì come avrebbe reagito qualunque mortale, muovendo la propria spada a intercettare tale movimento e ad arrestarlo prima che potesse giungere a compimento.
Un gesto, il suo, in conseguenza al quale alcun lampo di luce, alcuna scarica simile a fulmine, si riversò in contrasto alla donna, vedendo la lama luminosa arrestare quella in metallo dagli azzurri riflessi così come avrebbe potuto fare qualunque altra spada, e, in tal senso, offrendo alla donna un fugace istante di speranza, un'effimera promessa di futuro innanzi a sé, ove, se solo avesse potuto combatterlo, probabilmente avrebbe potuto anche ucciderlo. Un'illusione pericolosa, la sua, alla quale non venne concessa possibilità di maturazione, ove così come, in un primo istante, alcuna reazione le era stata imposta da quella lama, in un momento immediatamente successivo ella poté avvertire un enorme energia caricarsi all'interno della medesima e, immediatamente, riversarsi in suo contrasto, con un effetto, se possibile, ancor più spiacevole, doloroso e devastante di quanto non fosse stato prima imposto ai danni del suo sodale, vedendola, in ciò, scaraventata con straordinaria violenza lontana da quel campo di battaglia, a una distanza di oltre trecento piedi.

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