11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 14 marzo 2012

1516


N
on collera, pertanto, animò il cuore, la mente e i gesti del lord di Kriarya innanzi alla donna. Al contrario, nei suoi occhi, e sul suo viso, fu interpretabile unicamente dolcezza e tenerezza, qual solo avrebbe potuto rivolgerle in un tale contesto, in un simile frangente, nel ben comprendere quanto l'apparente distacco impostogli, riservatogli dalle sue parole, avesse da considerarsi qual la più genuina dimostrazione d'affetto nei propri riguardi, verso sé e, ancor, verso la propria prole, il proprio unico erede e sol riprova dell'amore vissuto fra la sua cara Nass'Hya e lui, quand'ella era ancora in vita e dopo ancora.
Ovviamente non da me, non dal mio intelletto derivò una consapevolezza a tal riguardo, a simile proposito, quanto, piuttosto, dalla mera contemplazione di quegli eventi, nelle parole dette e, ancor più, nelle parole taciute che, meglio di qualunque altra, sarebbero state in grado di descrivere il profondo rapporto esistente fra loro, fra chi, oggettivamente, reciprocamente parte della vita dell'altro da oltre tre lustri. E, oggettivamente, da un tempo ancor antecedente all'epoca in cui io divenni capace di intendere o di volere, allora ancor poco più che neonato.

« Brote… » tentò di erigere vana opposizione la mercenaria, ritornando, forse involontariamente, all'uso del nome proprio del suo interlocutore.
« Midda. » negò ancora egli, restando fermo sulle sue posizioni e scuotendo, lievemente, il capo, a offrire maggior trasparenza nel merito dei propri sentimenti « Non insistere, te ne prego… questa guerra è anche la mia guerra. » volle sottolineare poi, ribadendo un concetto noto e pur, forse, in quel contesto quasi dimenticato « Se oggi sono padre lo devo a te. E se oggi sono vedovo, invece, lo devo a tua sorella. Rammenti?! »
« … sì… » non poté che annuire la mia signora, così posta senza possibilità di difesa con le spalle al muro.
« E allora lascia che la combatta… » insistette, avvicinandosi a lei e ponendole le mani sulle spalle, con fare fraterno se non, addirittura, paterno « Lascia che difenda il mio ruolo in questa città, difenda il futuro di mio figlio e, soprattutto, ti aiuti a porre finalmente la parola fine sul libro della vita di tua sorella. Cosicché la mia sposa, ovunque sia ora, possa essere fiera di me. Di suo marito che ancora l'ama più della propria vita. »

Una dichiarazione di guerra e, al contempo e paradossalmente, d'amore, la sua, sì intensa, sì carica di sincere e trasparenti emozioni, che anch'io, dal basso della mia limitatezza, la compresi, e la compresi al punto tale da non riuscire a non rendere mie quelle stesse emozioni, quella particolare, ammirevole energia, al punto tale che, trascinato dal carisma di quell'uomo, provai per un fugace istante un'incontrollabile brama di vendetta nei confronti di Nissa Bontor per avermi privato dell'amore della mia splendida Arasha, e di un altrettanto ingestibile desiderio di protezione, di tutela per il futuro di mio figlio.
Un figlio che non ho mai avuto né ho mai immaginato di poter avere, in verità.
Fu in quel momento che, non lo nego, compresi anche il come e il perché Brote fosse divenuto lord in una capitale qual Kriarya, città del peccato. Non tanto per una sua supposta crudeltà, qual pur avrebbe potuto anche essergli propria; non tanto per una sua abilità guerriera, sicuramente ammirevole e innegabile; non tanto per la sua vivace intelligenza, altrettanto indubbia; non tanto per una qualche sua profonda ispirazione criminale, e in tal senso non so esprimermi; quanto, e piuttosto, per il suo carisma, per quella sua intrinseca, e coinvolgente, energia, in grado di trascinare con sé anche chi, con lui, non avrebbe avuto invero nulla a che fare, qual non tanto io, che mi ero già onorato di una breve, fugace collaborazione con il soggetto in questione, quanto e piuttosto i due fratelli mercenari, Howe e Be'Wahr, e ancor più il vostro compagno Av'Fahr, il più estraneo fra tutti noi con quel mondo, con quella particolare realtà. Perché ove persino egli, nato e cresciuto in terre lontane, e successivamente vissuto sempre a bordo di questa goletta, ha allora silenziosamente dimostrato di essere stato a propria volta ammaliato dal mecenate, chiunque avrebbe parimenti potuto esserlo… in Kriarya e anche fuori. Nulla di straordinario, pertanto e persino, all'idea che una principessa y'shalfica, qual era Nass'Hya, potesse aver abbandonato il proprio retaggio, la propria famiglia e il proprio intero regno per seguire un sogno d'amore insieme a lui. Sogno d'amore, purtroppo, interrottosi prematuramente, ben prima di quanto mai, sicuramente, entrambi avrebbero gradito potesse finire.

« Brote… » cercò, ancora una volta, di ritrovare voce Midda, evidentemente sola, in tutta la stanza, a resistere al carisma del suo mecenate, laddove chiunque altro, fra noi, lo avrebbe allora seguito fino anche all'oltretomba e ritorno, per sostenerlo nella sua ricerca di vendetta… o, forse, di giustizia.

Prima di una necessaria, inevitabile e, forse, persino ovvia replica da parte del mecenate, in un assurdo giuoco fra i due, per quanto non giuoco fosse il loro, una nuova e inattesa voce richiese il proprio momento di gloria, la propria occasione di parola, non tanto per intervenire sulla questione in corso, quanto, e solo, per mantenere fede al proprio impiego in quella torre, al servizio di chi accettato qual proprio signore.

« Lord Brote. Chiedo perdono. » esordì un ragazzo forse mio coetaneo, o forse poco più giovane di me, evidentemente impiegato all'interno di quell'edificio con mansioni sufficientemente generiche quali erano state le mie nell'epoca in cui, anch'io, ero impiegato al servizio di un lord di Kriarya « Conduco meco un messaggio per voi da parte di lord Jessen. »
« Puoi anche gettarlo nel fuoco… » minimizzò Brote, stringendosi fra le spalle « So bene cosa lui e tutti gli altri possono volermi chiedere in questo momento. » evidenziò, in riferimento all'ovvia resa della Figlia di Marr'Mahew e dei suoi compagni, per la salvezza della città intera « Non è mia intenzione cedere ad alcun ricatto: né ora, né mai. »
« Ma… signore. » deglutì il giovane, ben temendo una reazione peggiore da parte del proprio interlocutore, e pur evidentemente spinto da una qualche necessità di espressione nei suoi riguardi, di comunicazione di una qualche ambasciata, utile a giustificare il rischio reso proprio in tal azzardo « Il messo ha det… »
« Non mi importa di cosa abbia detto il messo o chiunque altro! » commentò a bassa voce il mecenate, evidentemente compiendo un serio sforzo nel mantenersi per evitare di defenestrare un altro servitore a troppa breve distanza dal precedente « Getta quel messaggio nel fuoco… o ti ci scaglierò io. »
« Ma… » piagnucolò l'altro, soffocato dal timore per la propria sorte e, ciò nonostante, ancor fermo nel proprio compito, nell'obbedienza al proprio ruolo per qualche ragione apparentemente incomprensibile.

Incomprensibile, per lo meno, a chiunque non fosse stato almeno una volta nella propria vita in quegli stessi panni, in quelle vesti tutt'altro che agevoli o gratificanti, e facenti proprie un pericolo di vita forse e persino superiore a quello che sarebbe potuto essere proprio di molti altri ruoli normalmente considerati più rischiosi. Io, in quelle vesti, in quei panni, ero stato per un lungo periodo della mia vita e avevo ben appreso come una notizia data avrebbe potuto essere dannosa per la salute del messaggero almeno quanto una notizia non data, una parola di troppo avrebbe potuto essere nociva quanto una sola sillaba taciuta, ponendo, in ciò, facilmente il malcapitato, il disgraziato, a correre sul letale filo di una lama, dal quale troppo facile sarebbe stato cadere o, sul quale, ancor più semplice sarebbe stato morire.
Se quel poveraccio, forse mio coetaneo e di certo rappresentazione vivente di cosa io sarei potuto ancor essere, tanto appariva combattuto fra il parlare e il tacere, ben sapendo quanto tragico sarebbe stato per lui insistere nel tentare di parlare, indubbia avrebbe dovuto essere giudicata l'importanza del messaggio che egli voleva comunicare, tale per cui, se non fosse stato condotto a destinazione, certamente la sua vita non avrebbe avuto prospettive più rosee rispetto all'alternativa già presentatagli. E nel ritrovarmi a essere il solo in grado di apprezzare tale pericolosa sottigliezza, simile dettaglio, ove il solo ad aver vissuto in quel ruolo in un tempo fortunatamente ormai lontano, alcuna indifferenza avrei potuto rendere mia innanzi a quella scena, a quel rapido scambio di parole, conscio di quanto un messaggio sufficientemente importante da meritare il rischio della vita del suo latore, avrebbe potuto rappresentare, anche per tutti noi, la differenza fra morte certa e una forse vaga, e pur presente, speranza di vita.

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