11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 4 giugno 2019

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« Già! » replicai per tutta risposta, sorridendo verso il mio interlocutore, annuendo e lasciando riecheggiare, in ciò, il mio accento assolutamente non australiano, utile a confermare quanto, in tal senso, il mio avesse a doversi considerare realmente un volto nuovo.
« Studentessa in viaggio di studio…?! » ipotizzò egli, consegnando il primo boccale che stava finendo di riempire un attimo prima, insieme a un secondo che, nel contempo di quello breve scambio di battute aveva già colmato, a una ragazza, lì in attesa degli stessi.
« Magari! » ridacchiai, ora scuotendo il capo ed escludendo, mio malgrado, tale opportunità « Ti ringrazio per la tua cortese galanteria, ma ho passato già da qualche anno l’età propria di una studentessa! » negai gentilmente, accostandomi al bancone e studiando la variegata offerta di birra, a scegliere quale ordinare.
« Mah… sai come si dice, no?! Non si finisce mai di imparare… » si strinse egli fra le spalle, a voler insistere, malgrado tutto, nella posizione precedente, e, in ciò, a volermi riconoscere implicitamente una fanciullezza che, ormai, ero ben consapevole non essermi più propria « Cosa ti spillo, misteriosa ragazza senza nome dai capelli color del fuoco e dagli occhi color del ghiaccio…?! »
« Andiamo su una mild ale… » richiesi, indicando nel contempo una marca mai sentita prima, probabilmente locale, e sperando, in tal senso, di non avere a sbagliarmi nella scelta, non desiderando certamente, stanca qual ero, ritrovarmi a bere qualcosa di disgustoso che potesse rischiare di darmi alla testa senza neppure piacermi « … e, comunque, il mio nome è Rín. »
« Vada per la mild ale… » confermò egli, iniziando immediatamente a spillare una pinta, evidentemente non prevedendo di poter avere a servire un formato più piccolo rispetto a quello « … e felice di fare la tua conoscenza, Reen. » soggiunse poi, pronunciando il mio nome con un po’ troppa cadenza australiana, e in ciò storpiandolo appena, in un errore che, comunque, non ebbi a volergli correggere, nel non desiderare risultare antipatica a chi, comunque, sino a quel momento, sicuramente complice il proprio lavoro, mi aveva accolta con tanta gentilezza.

Sorrisi, pertanto, alla consegna del boccale, e feci per porgere una banconota da dieci dollari australiani, non conoscendo il prezzo della birra e pur, ipotizzando allora, che potesse essere comunque sufficiente.
Ma, da parte del mio anfitrione, ebbi a vedermi rifiutato il gesto, con un amplio sorriso e un cenno di diniego della mano…

« A posto così, Reen. » puntualizzò, a ribadire ulteriormente il concetto « E’ tradizione che la prima bevuta di un volto nuovo venga sempre offerto dalla casa! » precisò, a giustificare il perché di quella gentilezza nei miei riguardi « Considerala una “pinta di benvenuto”, nella speranza che tu possa avere a pagarne molte altre! » ammiccò poi, con fare complice nei miei riguardi, ovviamente, dal proprio punto di vista, non potendo ovviare a voler fidelizzare una possibile nuova cliente, e a volerlo fare nell’immediato, per assicurarsi, in tal maniera, un sufficiente introito di denaro.

Non senza un certo imbarazzo accolsi quell’offerta, tutt’altro che abituata a vedermi rivolgere tanta cortesia in un luogo pubblico. E difficile, in quel momento, sarebbe stato per me riuscire a discriminare se, a definire la differenza rispetto al passato, avrebbe avuto a doversi considerare la persona con cui mi stavo lì interfacciando, in particolare, piuttosto che la città e la nazione stessa, piuttosto che, eventualmente e meno piacevolmente, la mia nuova condizione fisica.
Non desidero ora rischiare di risultare vittimistica nel mio discorso, ma, ciò non di meno, permettetemi un breve momento di dissertazione a tal riguardo. Giacché, dopo aver passato cinque lustri su poco più di sette della mia vita bloccata su una sedia a rotelle, intrappolata in metà del mio stesso corpo, non potrei fare a meno di notare, neppure volendo, la differenza di considerazione rivoltami dalle persone con le quali mi capita di interagire. Non ho le competenze per poter discriminare, in realtà, le ragioni alla base di un tale comportamento, di un simile approccio psicologico. Forse, alla base di tutto ciò, ha da considerarsi una certa ragione di imbarazzo, nel confronto con qualcuno meno fortunato. Forse, altresì, ha da intendersi un incontrollato timore, e timore superstizioso, quasi, ad avere troppo a che fare con una persona a cui è stata imposta una qualche disabilità, tale disabilità possa risultare… che ne so?!... contagiosa?! O forse, e peggio, ha da riconoscersi qual mera arroganza, e arroganza tale da non potersi concedere occasione di avere a che fare con qualcuno psicologicamente riconosciuto qual a sé inferiore. Quanto è certo, comunque, a prescindere dalle motivazioni dietro a tutto ciò, è come difficilmente, nel rapportarsi con una persona bloccata su una sedia a rotelle, da parte di una buona maggioranza delle persone vi sia una profonda difficoltà di interazione, in misura tale per cui, quasi, il malcapitato, o la malcapitata nel mio caso specifico, abbia a risultare pressoché invisibile allo sguardo. E, in tal caso, non importa di qual colore abbiano a poter essere i tuoi capelli, di che colore abbiano a poter essere i tuoi occhi, o quanto amplia abbia a potersi riconoscere la tua circonferenza toracica: quella sedia a rotelle, a prescindere, resterà la prima cosa che tutti, o comunque i più, avranno comunque a notare… e che, in ciò, ti pregiudicherà e ti pregiudicherà confidandoti in una sorta di ghetto psicologico, e in un ghetto psicologico nel quale tu non sarai mai considerato come una semplice persona, con i suoi pregi e, sicuramente, anche tutti i suoi difetti, ma come qualcosa di diverso.
Quante volte, entrando in un locale, ovviamente accompagnata dalla mia gemella, mi sono ritrovata a dovermi confrontare con lo sguardo quasi infastidito proprio dei camerieri, o peggio ancora del direttore di sala, innanzi all’attenzione dei quali non avrei avuto a dovermi considerare qual una semplice cliente, quanto e piuttosto una sgradevole rogna, una complicazione che li avrebbe obbligati a spostare sedie, ad arrangiare tavoli, solo per ovviare a complicazioni d’immagine, in quello che sarebbe risultato un altresì, dal loro punto di vista, più comodo e gradito rifiuto a persone come me? Per non parlare, poi, del momento in cui, sciaguratamente, mi sono ritrovata a domandare la possibilità di recarmi in bagno, scoperchiando il mitologico vaso di Pandora e, in conseguenza a ciò, scatenando una variegata pletora di sconfortanti alternative, fra l’inesistenza di bagni accessibili a disabili, sovente addirittura collocati in fondo a ripide e strette scale a chiocciola che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo anche per una persona pienamente padrona del proprio corpo, e l’esistenza di bagni ipoteticamente dedicati ai disabili e, ciò non di meno, adibiti, all’occorrenza, come magazzini per scatoloni vuoti, vecchie sedie inutilizzate, scope e quant’altro, in termini tali da renderli egualmente e tristemente inaccessibili.
Ripeto… non desidero risultare vittimistica nel mio discorso. Ma avendo avuto sfortunata, o fortunata, a seconda dei punti di vista, occasione di aver vissuto entrambe le situazioni, difficile sarebbe per me non rendermi conto di ciò.
E se, nel mio caso specifico, comunque, tale percorso ha avuto uno sviluppo anomalo, vedendomi ritornare dalla sedia a rotelle all’uso delle mie gambe; quanto non può ovviare a essere decisamente spiacevole, per qualcuno, il ritrovarsi posto a confronto con un tale, differente, approccio da parte delle persone a lui circostanti nel momento in cui, magari e al contrario rispetto a me, costui o costei ha avuto occasione di trascorrere diversi anni, se non lustri, della propria vita in condizioni “normali”, salvo poi, per una malattia, o per un incidente, o per semplice anzianità, ritrovarsi a scoprirsi “anormale”…?!
Dannazione! E’ una regola aurea che ci ripetiamo un’infinità di volte sin da bambini, salvo poi, purtroppo, dimenticare di applicarla nella maggior parte della nostra vita adulta: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.

« Ti ringrazio, allora… » replicai quindi verso il mio ospite, chinando appena il capo in segno di gratitudine, prima di sollevare la pinta e voltarmi nuovamente verso il locale, a riprendere a osservarmi attorno per comprendere in quale direzione poter avere a muovere i miei passi.

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