« E... quindi...?! » domandò tuttavia Be’Sihl, scuotendo appena il capo « Partiamo pure dal presupposto che tu abbia ragione, e che tutto ciò che è accaduto, sia accaduto per colpa tua e di come tu hai reagito in quell’occasione di... quando?!... trent’anni fa...? » continuò egli, seguendo quietamente il ragionamento da lei proposto « E allora...? » si ripeté, stringendosi appena fra le spalle « Eri una ragazzina e hai commesso un errore...? Non per sminuire la tua autostima, ma sono certo che non sia stato il primo e, soprattutto, ti posso assicurare quanto non sia stato l’ultimo, giacché di errori ne continui a commettere ogni giorno. » sottolineò, sorridendo con aria quasi divertita, a dimostrare l’assenza di qualunque volontà di rimprovero da parte sua in tal senso « Il più recente dei quali, per inciso, è stata la pessima idea di consegnarti alla Progenie della Fenice, ben sapendo quanto il solo e unico desiderio da parte di quei folli fanatici fosse quello di ucciderti! » non mancò di sottolineare, in un evento che, benché per lui apparisse di quasi trent’anni addietro, per lei e per chiunque altro al mondo avrebbe avuto a doversi riconoscere, cronologicamente, l’errore più recente del quale avrebbero potuto offrire esempio.
Il ragionamento compiuto dalla Figlia di Marr’Mahew, in verità, non avrebbe avuto a poter essere considerato sbagliato. Ma neppure il ragionamento compiuto, allora, dal suo degno compagno di vita e di letto, in verità, avrebbe avuto a poter essere considerato sbagliato. Perché egli, pur nulla negando di quanto da lei asserito, aveva posto la propria attenzione su un fronte ben diverso, e un fronte comunque del tutto inattaccabile: quello della fallibilità della stessa Midda Bontor, in quanto, proprio malgrado, fallibile essere mortale.
« L’errore è intrinseco della nostra natura umana e mortale... » insistette quindi egli, guardandola con dolcezza infinita, e, a tratti, persino paterna, in quella che, probabilmente, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta in lui qual una nuova maturità non soltanto conseguente alla sua attuale età psicologica, di gran lunga a lei superiore benché, al contrario, fisicamente fosse addirittura ringiovanito a suo confronto, quanto e piuttosto alle esperienze di vita vissute, e a quella paternità da lui affrontata nel crescere ben tre figli, e nel ritrovarsi, addirittura, prossimo ad assistere al matrimonio del maggiore fra gli stessi « Certamente questo non può divenire una scusante tale da giustificare ogni sbaglio, ma, parimenti, non può neppure rappresentare un’inibizione tale da impedire ad alcuno di vivere la propria vita, nel timore degli sbagli che potranno occorrere e, soprattutto, delle possibili conseguenze degli stessi. »
« Non sono certa di comprendere dove tu voglia andare a parare con questo tuo discorso... » esitò allora la donna guerriero, aggrottando la fronte con aria dubbiosa, là dove, pur non avendo certamente a poter muovere critica a quanto da lui asserito, non avrebbe neppure potuto considerarsi sicuro di quanto egli avrebbe effettivamente voluto suggerire così dicendo.
« Quello che voglio dire è, semplicemente, che non puoi permettere all’idea di un errore commesso quand’ancora eri una ragazzina, di influenzare il tuo presente o il tuo avvenire. Tanto nel bene, quanto nel male. » riformulò l’uomo, ammiccando verso di lei « Hai dato tu origine al conflitto con Nissa...? D’accordo. Bene. E’ successo. Hai fatto tornare tu Nissa e tutti gli altri dal regno dei morti...? D’accordo. Bene. E’ successo. Devi essere lapidata in pubblica piazza per questo, decapitata e arsa al rogo come la peggiore fra tutte le streghe...? Può anche darsi. » dichiarò, con tono che non avrebbe potuto far fraintendere la provocatoria ironia propria di quell’ultima ipotesi « Ma che debba essere tu stessa a radunare la folla in quella piazza, a distribuire le pietre, e a organizzare la tua esecuzione... beh... scusa, ma questo mi sembra un pochino esagerato. » puntualizzò, scuotendo il capo « Hai commesso degli errori. Lo hai sempre fatto. E lo continuerai a fare per sempre. E a confronto con questa verità, l’unica domanda che, secondo me, dovrebbe contare è: permetterai a questa consapevolezza di rovinarti la vita? »
« ... » esitò nuovamente ella, non sapendo, in effetti, cosa rispondere.
Il discorso proposto da Be’Sihl non avrebbe potuto che risuonare strano alle orecchie della Figlia di Marr’Mahew, simile a quello che avrebbe potuto intercorrere fra loro tanti anni addietro, all’inizio del loro rapporto di amicizia e di complicità, e pur, al contempo, estremamente diverso, probabilmente vittima dell’accresciuta maturità dello stesso, non soltanto negli anni e nelle avventure da loro vissuti insieme, quanto e ancor più negli anni e nelle avventure da lui affrontati lontano da tutto quello, in quella fittizia e perduta realtà alternativa.
E proprio nel doversi confrontare con un Be’Sihl così simile e così diverso da quello da lei da sempre conosciuto, ella non avrebbe potuto che scoprirsi necessariamente ancor più confusa nel merito di tutto il mondo attorno a lei, e di un mondo che, istante dopo istante, si stava terribilmente rivoluzionando.
« E’ che è tutto così... strano. » sospirò alfine, ritornando ad abbassare lo sguardo « Tutto quanto. » ribadì, ad anticipare un’eventuale richiesta di ragguaglio da parte sua « Noi due. Questa città. Questo mondo. La mia vita e tutto il resto. » ammise, non potendo ovviare a provare nostalgia per l’idea di una qualche normalità, e una normalità che, pur, non le era mai stata propria e che non avrebbe neppure saputo probabilmente come definire di preciso « Cioè... dannazione: ero soltanto una mercenaria al servizio di uno dei tanti signori della città del peccato. D’accordo, non una mercenaria qualsiasi, di certo. Ma, comunque, soltanto una mercenaria fra tante. E ora sono la signora di questa città. L’unica signora di questa città. E io che non sono mai stata capace di realizzare nulla di buono, là dove, invece, ho sempre dimostrato una grandissima predisposizione a distruggere ogni cosa, mi ritrovo ora con la responsabilità di dover gestire e, addirittura, riedificare questa città! » definì, strabuzzando per un momento gli occhi « Una città al di fuori delle mura della quale riposano quasi duecentocinquanta semidee immortali, che guardano a me come chiunque guarderebbe a una dea, e che confidano in me come non hanno mai avuto ragione od occasione di confidare prima d’ora in alcun altro. Diamine: tre dozzine di loro, in questo momento, sono in questa stessa locanda, a tenere sotto controllo la mia gemella non morta e i suoi degni compari, rinchiusi nella tua cantina! » puntualizzò, scuotendo il capo « E, giusto per non farsi mancare nulla, ecco per l’appunto che la mia gemella, la stessa a cui io ho rovinato la vita e, in buona sostanza, ho anche già ucciso una volta, si è ritrovata condannata a un’esistenza da non morta ancora una volta per mia sola responsabilità... accompagnata, giusto per l’occasione, da qualche migliaio, o qualche decina di migliaia, di altre persone, umane e non, nonché mostri mitologici di varia natura, che nel corso della mia vita ho ucciso, e ho ucciso in maniera estremamente sistematica e continuativa, manco avessi a dover battere un qualche genere di primato di sorta! »
« E a margine di tutto ciò, non hai neppure la possibilità di guardare in viso l’uomo che ami e ritrovare nei suoi occhi il suo sguardo, là dove, sicuramente ancora incolpandoti anche per questo, parti dal presupposto di avergli rovinato l’esistenza... » suggerì egli, andando a completare la narrazione così da lei impostata « O sbaglio...?! »
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