« ... grazie... » scandirono silenziosamente le labbra della donna ritornata, a confermare l’impressione offerta dal suo sguardo, e quella reazione assolutamente inedita per lei, soprattutto nei riguardi della propria gemella, in un sentimento che aveva smesso di provare dalla sfortunata notte in cui quest’ultima aveva avuto a scomparire, e a scomparire senza neppure degnarla della possibilità di sapere cosa avesse in mente o, anche e soltanto, di un saluto.
E il brivido che era corso lungo la schiena di Midda Bontor, a confronto con quelle poche sillabe, ebbe a svanire, e a svanire nel nulla, quasi, innanzi a lei non avesse più a essere la versione non morta della propria nemesi, quanto e piuttosto una vecchia amica, e un’amica per il ricongiungimento della quale con le proprie figlie ella non avrebbe potuto che essere meno che felice.
Un quieto sorriso, quindi, vide sollevare le estremità delle labbra di Midda, nel mentre in cui un leggero movimento di diniego escludeva la necessità di rivolgerle ringraziamenti di sorta, quasi nulla di meno avrebbe dovuto esserle allor riconosciuto.
« Sei così fredda... mamma... » suggerì, al termine di quel lungo abbraccio, Meri, separandosi appena da lei ed esprimendo quelle parole con una nota di disappunto, quasi avesse avuto a dimenticarsi di quanto, purtroppo, il calore avesse lasciato quel corpo già da molto tempo.
« Sono morta, bambina mia. » riconobbe semplicemente Nissa, non potendo argomentare in altra maniera la propria condizione e non volendo, comunque, fingere che ciò non fosse successo e che ella non fosse ciò che era « Non so come sia successo, eppure sono nuovamente qui... e, credo, lo sarò per sempre. »
Benché contraddistinti da un’indubbia ostinazione, nel corso degli anni, dei secoli, o, comunque, anche e soltanto, delle battaglie, presto o tardi qualunque comune non morto avrebbe avuto alfine da consumare completamente le proprie spoglie mortali, sino al punto in cui, alfine, nulla avrebbe avuto a restare di lui, sancendone, in ciò, una sorta di nuova, e definitiva, morte. Diverso discorso, tuttavia, avrebbe avuto a valere per quella nuova schiera di non morti, i ritornati, e quei non morti che, involontariamente generati dal potere di Anmel Mal Toise, estemporaneamente proprio di Midda, si erano ritrovati a essere contraddistinti da regole decisamente diverse rispetto a quanto mai visto prima, a partire dal semplice fatto di essere coscienti di sé, e di possedere ancora tutti i ricordi della propria vita passata, sino a giungere a quell’assurda capacità di rigenerazione, tale da permettere loro, addirittura, di resistere persino alle fiamme vive, abituale e drastica soluzione per qualunque non morto.
In tal senso, quindi, le parole così pronunciate da Nissa non avrebbero avuto a doversi fraintendere qual gratuite o immotivate, là dove, in effetti, molto probabilmente ella avrebbe avuto a esistere per sempre. Un’esistenza che non avrebbe potuto essere fraintesa qual vita, là dove, a differenza delle desmairiane, pur a loro volta immortali, ella non avrebbe avuto necessità alcuna né di nutrirsi né di riposare, e neppure di respirare, così come non avrebbe mai potuto né provare sofferenza fisica né patire il freddo o caldo, e neppure percepire realmente lo scorrere del tempo. Se Siggia, Raska e tutte le loro sorellastre avrebbero avuto a vivere per sempre, incapaci a morire e pur, in tutto e per tutto, contraddistinte nel proprio incedere dai termini propri di una vita, e animate, nel proprio petto, da un cuore pulsante; Nissa, così come qualunque altro ritornato, avrebbe avuto semplicemente a esistere per sempre, in maniera non diversa dal una montagna, dal cielo sopra le loro teste o dal mare infinito.
« Hai... sofferto...? » domandò allora Nami, a sua volta ritraendosi appena dalla madre e contemplandola da capo a piedi, a verificare le sue condizioni, e quelle condizioni in apparenza indubbiamente migliori rispetto all’ultima volta che l’aveva veduta.
« Quando sono morta...? No. » scosse il capo l’altra, escludendo quietamente tale possibilità « Tutta la mia possibilità di soffrire si è esaurita con l’assassinio di vostro fratello Leas. E la morte è stata per me una liberazione dall’orrore di quanto, purtroppo, ho compiuto... » sancì, non negando le proprie colpe e, anzi, imputandosele con convinzione benché, in effetti, ciò era occorso nel mentre in cui ella era sotto l’empia influenza di Anmel Mal Toise e, in ciò, ben lontana dal potersi considerare consapevole di quanto stesse accadendo e, soprattutto, di quanto stesse compiendo.
Leas Tresand era stato il primogenito di Nissa Bontor, da lei concepito con l’inganno nel giacere con il primo grande amore della propria gemella, Salge Tresand, per avere a sottrarle, idealmente, quel figlio che, se soltanto non l’avesse resa sterile e non l’avesse costretta a lasciare il proprio amato capitano e la Jol’Ange, forse avrebbe potuto anche esserle proprio.
In tal senso, quindi, Leas non avrebbe avuto a doversi fraintendere in alcun modo qual figlio di un atto d’amore, quanto e piuttosto di un desiderio di vendetta. Ciò non di meno, neppure il cuore indurito di Nissa Bontor era stato in grado di rivolgere meno che amore verso quel bambino sin dal primo momento in cui l’aveva veduto e stretto fra le proprie braccia, avendo in tutto e per tutto a dimenticarsi la ragione per la quale egli era.
Nissa Bontor, quindi, amava suo figlio. E lo amava veramente. Ragione per la quale, quando questi era morto scagliandosi contro di lei per difendere la sua gemella Midda, l’orrore per quanto compiuto le aveva permesso di riprendere il controllo su di sé, sulle proprie emozioni, e, persino, sul proprio corpo, dandole la forza di scagliarsi, a propria volta, sulla lama della propria antagonista, e di porre, in ciò, fine a quella vita della quale, ormai, non avrebbe potuto che considerarsi indegna. Anche perché, in alternativa, ella avrebbe rischiato di far del male anche a Mera Ronae e a Namile, in termini che, se solo ciò fosse occorso, l’avrebbero sicuramente uccisa per il dolore, anche in assenza di una lama sulla quale avere a scagliarsi.
E se, per Mari e Nami era sì stata dura, in quel giorno, avere a perdere non soltanto il loro amato fratello maggiore, ma anche la loro genitrice, e l’unica genitrice che avessero mai conosciuto, ma da quel giorno erano ormai trascorsi molti anni, offrendo loro tempo sufficiente per accettare quel dolore, assimilare quel dolore, e proseguire con le proprie vite, pur senza mai dimenticare né Leas, né loro madre; per Nissa Bontor, dal punto di vista di colei che aveva fatto ritorno dalla morte pur a distanza di un lustro, tutto ciò era pressoché appena accaduto. E, proprio malgrado, avrebbe continuato per sempre a essere pressoché appena accaduto, là dove, per lei, il concetto stesso di tempo aveva avuto così a perdere completamente di significato. Impossibile, quindi, sarebbe stato dal suo punto di vista poter minimizzare quanto compiuto, o, anche e ancor peggio, potersi in qualunque maniera assolvere.
« Lo abbiamo cremato a Rogautt... » ebbe allora a ricordare Meri, quasi a voler rassicurare la madre di quanto, ormai, Leas non avrebbe più potuto avere a soffrire.
« Avevamo cremato anche te... anzi... tutti voi... » soggiunse tuttavia Nami, rivolgendosi, in tal senso, non soltanto verso la stessa Nissa, quant’anche verso tutti i suoi accompagnatori, e quelle altre figure, ancora legate, che non avevano avuto a faticare a riconoscere quali volti noti di quell’infausto giorno, e del giorno in cui la faida fra Midda e Nissa aveva avuto a concludersi « ... eppure non avete avuto occasione di riposare in pace. » soggiunse, quasi rammaricata da ciò, nel non poter ignorare quanto, in fondo, nulla di quanto loro successo avrebbe avuto a doversi considerare secondo natura.
« Non è importante, tartarughina... non è importante. » scosse il capo l’ex-regina dei pirati dell’isola di Rogautt « Alla gloria degli dei, preferisco di gran lunga questa esistenza dannata, se ciò mi può concedere occasione di trascorrere altro tempo con voi due. »
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