11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 22 novembre 2020

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Kriarya: città del peccato.
Non esisteva, né era mai esistita, un’altra capitale simile in tutta Kofreya. E, forse, in tutto l’intero continente di Qahr.

Kriarya: città di ladri e prostitute, di mercenari e assassini.
Il declino di Kriarya, o, forse, la sua gloria, aveva avuto inizio in un’epoca ormai dimenticata da tutti, in concomitanza all’inizio dell’interminabile guerra fra il regno di Kofreya e il vicino regno di Y’Shalf. Simili in tutto, e pur diversi sotto ogni aspetto, Kofreya e Y’Shalf avrebbero potuto essere intesi al pari di due fratellastri, figli di medesima madre e pur di padri estranei: una condizione che non avrebbe necessariamente dovuto porli in antagonismo e che pur avrebbe potuto essere considerata più che giustificativa di qualunque inimicizia fra loro.
Così, in un’epoca ormai dimenticata da tutti, Kofreya aveva dichiarato guerra a Y’Shalf... o, forse, era stata Y’Shalf a dichiarare guerra a Kofreya, difficile a dirsi. E Kriarya si era improvvisamente ritrovata a essere la provincia più prossima al fronte bellico, con tutte le più spiacevoli conseguenze possibili.
Divenuta ben presto luogo di transito per le truppe, fossero esse regolari o meno, Kriarya aveva necessariamente veduto crescere, entro le proprie mura dodecagonali, un clima di violenza e di incertezza, che, ben presto, aveva veduto la maggior parte degli artigiani, dei contadini e degli allevatori abbandonare il campo, soltanto per essere sostituiti da locande, taverne, alberghi e, soprattutto, postriboli, all’interno dei quali, i prodi difensori del regno, avrebbero potuto trovare occasione per sfogare le proprie tensioni, le proprie ansie senza, in questo, ricorrere necessariamente ad atti di violenza a discapito di fanciulle meno disponibili rispetto a quelle professioniste. Ovviamente, ben presto, anche i mercenari iniziarono a prendere Kriarya come riferimento per i propri affari, fossero questi al fronte, fossero, altresì, di diversa natura. E accanto ai guerrieri e agli avventurieri in senso più lato, ineluttabile fu la comparsa degli assassini, gente priva di qualsivoglia parvenza di moralità e, in questo, non soltanto disposta a uccidere propria madre per un soffio d’oro, quanto e piuttosto desiderosa che qualcuno avesse a domandargli di farlo. E, ultimi ma non meno importanti, anche i ladri elessero ben presto quella capitale a propria dimora prediletta, nell’affinità elettiva che, in fondo, avrebbero potuto vantare con molti mercenari, e, soprattutto, nella prospettiva di facili guadagni a discapito di sprovveduti di passaggio.
Fu così che Kriarya iniziò a essere conosciuta come una città di ladri e prostitute, di mercenari e assassini: la città del peccato.


Ovviamente, in quel di Kriarya, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa una sì assoluta omogeneità di popolazione. Per quanto, in effetti, ladri e prostitute, mercenari e assassini, rappresentassero la parte più significativa della popolazione locale, molto avrebbe avuto a dover essere comunque riconosciuto l’indotto circostante, a incominciare, ovviamente, da tutti i locandieri, tavernieri e albergatori, con relativo personale di servizio, per proseguire poi con i mercanti, nonché, inutile a dirsi, con un comunque elevato numero di fabbri e maniscalchi, il cui operato non avrebbe mai avuto a ritrovarsi privo di domanda da parte di un tanto peculiare pubblico.
A dominare una tanto particolare situazione, ovviamente, non avrebbe potuto essere alcun aristocratico smidollato, alcun rappresentante di quell’incapace, pigra ed egocentrica organizzazione feudale che pur, in tutto il resto di Kofreya, spadroneggiava in maniera pur razionalmente incomprensibile sotto ogni punto di vista, forte soltanto di un evidente e sostanziale disinteresse da parte della gente comune nei riguardi di chi fosse al potere, almeno fino a quando lo stato delle cose veniva mantenuto inalterato, tanto nel bene quanto e soprattutto nel male. No. Ciò che avrebbe potuto essere riconosciuto adeguato per Kirsnya e Krezya, per Karesya e Lysiath, e ovviamente per Kerrya, sede della famiglia reale, non avrebbe potuto più essere adeguato per soddisfare il nuovo stato dell’arte di Kriarya. Ragione per la quale, nel corso degli anni, avvenne una quieta transizione verso un ben diverso sistema di governo, e un sistema di governo che, proprio malgrado, la famiglia reale di Kofreya dovette, alfine, tollerare: non che, da parte loro, ebbe a essere mai riconosciuto; ma, comunque, fu tollerato, nella consapevolezza che qualunque tentativo volto a ristabilire l’ordine costituito avrebbe, necessariamente, provocato disordini con i quali mai avrebbero avuto interesse a confrontarsi.
All’aristocrazia kofreyota, e alla gerarchia feudale, con il passare del tempo, si sostituì quindi un’oligarchia di supposti lord, che di tale avevano soltanto un formale titolo, non potendo vantare, nelle proprie vene, una sola goccia di sangue blu. Né, tantomeno, volendolo vantare, nel ritrovarsi, piuttosto, ben fieri del colore scarlatto del proprio sangue, e di quel sangue che, chi più, chi meno, tutti avevano versato in numerosi campi di battaglia, contro innumerevoli avversari, prima di giungere lì in quel di Kriarya e accoppare le persone giuste per conquistarsi il proprio territorio, il proprio dominio all’interno di una tanto caotica realtà. Violenti e sanguinari criminali, invero, ancor prima che flaccidi e vanagloriosi nobili, avrebbero avuto a dover essere presto riconosciuti i nuovi signori della città del peccato, in una tradizione che ebbe a riproporsi nel tempo, con volti sempre nuovi, nomi sempre nuovi, e, ciò non di meno, interessi del tutto simili.
E in un tanto particolare e inedito frangente, quella nuova e improbabile società basata su valori del tutto atipici, ebbe comunque a trovare il proprio equilibrio non soltanto per ovviare a facili collassi, quanto e piuttosto per avere addirittura a prosperare, crescendo e fortificandosi nel corso degli anni, dei decenni e, persino, dei secoli.

In assenza di un censimento preciso della popolazione della città sin dall’epoca del feudalesimo, da ben prima che Kriarya fosse quindi la città del peccato, difficile sarebbe stato per chiunque offrire una stima, fosse anche molto aleatoria, dell’attuale numero di abitanti di quell’urbe.
Dovendo essere costretti, lama alla gola, a offrire un numero, probabilmente questo non sarebbe stato inferiore alle diecimila anime, senza, tuttavia, spingersi a superare le trentamila: un numero di assoluto rispetto, per quella che, in effetti, avrebbe avuto probabilmente a dover essere intesa la più densamente popolosa città di Kofreya, seconda, in termini assoluti, soltanto a Kerrya, che pur si espandeva su una superficie più che doppia, se non tripla, rispetto a Kriarya.
Un numero importante, quindi, che ebbe a rendere ancor più inquietante quello che, in maniera del tutto inattesa, accadde una mattina. E una mattina in cui una fra le residenti più famose di tutta Kriarya, Midda Bontor, leggenda vivente conosciuta con molti appellativi fra i quali Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, Campionessa di Kriarya e Lysiath, ebbe a risvegliarsi dopo una serena notte di sonno trascorsa fra le braccia del proprio amato Be’Sihl Ahvn-Qa. Ed ebbe a risvegliarsi sola nella propria stanza da letto.
Nulla di sconvolgente, in verità, avrebbe avuto a dover essere inteso nel fatto che Midda Bontor potesse essersi risvegliata sola nella propria camera da letto. In effetti, anzi, ciò avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual la più quieta normalità, nell’essere Be’Sihl il comproprietario, nonché primo gestore, della locanda “Alla signora della vita”, e, in questo, nell’essere solito svegliarsi ben prima dell’alba per iniziare una lunga, lunghissima giornata lavorativa, che difficilmente sarebbe terminata prima di almeno diciotto ore più tardi. Inoltre, impossibile minimizzarlo, Be’Sihl era anche solito dedicarsi a prepararle la colazione, con una dedizione che, obiettivamente, era stata anche una delle ragioni per cui ella aveva finito di innamorarsi di lui, molti anni addietro.
Ma se l’essere sola nel proprio letto non avrebbe avuto a poterla turbare, di ben diverso intendimento avrebbe avuto a dover essere un altro dettaglio. E un dettaglio che ebbe a risaltare immediatamente alla sua attenzione, e all’attenzione di colei che, pur, difficilmente era solita lasciarsi sfuggire qualcosa, laddove ogni distrazione, ogni superficialità, avrebbe potuto costarle la vita.

“C’è silenzio.”

Un pensiero agghiacciante, il suo, nel confronto con l’evidenza non di “troppo silenzio”, rispetto a un ben diverso livello di consueto rumore di fondo proveniente dalla città attorno a lei, quanto e piuttosto di puro e semplice “silenzio”.
Un silenzio assoluto. Un silenzio totale. Un silenzio nel quale, quindi, persino il suo respiro, e il battito del suo cuore, apparivano frastornanti.
Portando istintivamente la mancina al fodero della propria spada, appeso alla testata del letto, ella sguainò la propria spada bastarda con un gesto elegante ma deciso, nel mentre in cui, nuda così come era, si levò dal letto senza alcun fugace senso di pudore. Il pudore, del resto, non le era mai stato proprio in passato, vedendola addirittura spingersi a combattere nuda vere e proprie battaglie. E, di certo, il pudore non avrebbe iniziato a esserle proprio in quel momento, all’interno di quella che, oltretutto, avrebbe avuto a dover essere intesa qual la propria camera da letto.
Con passi leggeri, praticamente impercettibili in una condizione di normalità, e pur terribilmente rumorosi in quel silenzio assoluto, ella ebbe a muoversi, spada alla mano, verso la finestra, e quella finestra che, affacciandosi sulla città, avrebbe dovuto mostrarle una via probabilmente non ancor brulicante di vita, ma, ciò non di meno, già percorsa, in diverse direzioni, da tutti coloro che, di buon ora, si stavano preparando ad affrontare una nuova giornata.
Ma, costringendosi a trattenere un gemito spontaneo a confronto con l’assurdità di quella visione, ella non poté che sbarrare gli occhi color ghiaccio con un inconsueto senso di terrore nel momento in cui, là fuori, non vide nessuno. Non poche persone... ma nessuno.

“Thyres...” imprecò mentalmente il nome della propria dea prediletta.

Le sue gambe, a quel punto, si mossero ancora prima che la sua mente potesse formulare qualunque altro pensiero, al fine di condurla, in maniera istintiva, in maniera automatica, fino a una delle due porte della propria camera da letto. E non alla porta che l’avrebbe condotta al corridoio, quanto alla soglia che l’avrebbe collegata a un’altra stanza, di poco più piccola, abitualmente occupata da Tagae e Liagu, i propri figli.
E aprendo con forse eccessiva forza quella porta, in termini tali da scardinarla in virtù della forza del proprio braccio destro in lucido metallo cromato, ella non poté che constatare, con orrore crescente, quanto quella stanza fosse, allora, oscenamente deserta.

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