Nonostante la stanza, all'interno della quale Midda fu alfine condotta per essere posta innanzi al giudizio del magistrato, fosse formalmente ancora parte del medesimo edificio ospitante le celle di detenzione, i loculi immondi nei quali anche la donna guerriero aveva visto la propria vita sprecata per quattro lunghi giorni, il netto contrasto architettonico che le venne allora offerto fu tale da farle ritenere di esser giunta, addirittura, in una realtà diversa, estranea a quanto conosciuto sino a quel momento.
L'ambiente lì proposto, infatti, sin dalle proprie dimensioni, apparve umanamente difficile da accettare qual reale, mostrando alla propria ospite straniera una smisurata navata qual solo, nella sua vita, ella aveva ritrovato a caratterizzazione di alcuni templi perduti di epoche dimenticate. E proprio qual delubro, in verità, non avrebbe potuto evitare di essere considerato, giudicato, non solo in virtù della propria assurda estensione, sia in altezza, sia in profondità, quanto più per la presenza di enormi statue raffiguranti, ancora una volta, gli dei cari a quel popolo, propri del pantheon shar'tiagho, apparentemente d'oro. Nell'osservare le proporzioni di simili sculture, quella loro grandezza quasi oscena, la mercenaria non poté allora evitare di sperare sinceramente che esse fossero semplicemente ricoperte di nobile metallo e non, effettivamente, costituite integralmente da esso, ove, in tal caso, la ricchezza propria di quella nazione, di quella gente, già ammirevole, invidiabile, avrebbe visto impallidire ogni altro monarca, ogni altra famiglia reale, nel confronto con una opulenza superiore a qualsiasi possibilità di pensiero, di immaginazione. Se quelle raffigurazioni di divinità fossero risultate inferiori in altezza, ella, probabilmente, sarebbe meglio riuscita a coglierne eventuali dettagli, a riconoscerne i profili, i quali, pur senza poter essere correttamente ricollegati alle divinità sì rappresentate, nella sua ignoranza a tal riguardo, avrebbero comunque potuto essere posti in giusto riferimento agli animali, alle creature in tal modo pur chiaramente evocate, quali sciacalli, gatti, buoi, falchi e molto altro ancora. Combattendo contro un naturale senso di riverenza, immancabilmente derivante da una tale e colossale imposizione attorno a sé, la donna guerriero percorse con il proprio sguardo l'intera area, potendo contare al suo interno un totale di dodici statue, disposte lungo due file parallele, a camuffare, con la propria presenza, il colonnato preposto al mantenimento di quella sala, nonché a delineare un cammino obbligato verso quella che, in un luogo di culto, sarebbe stata la zona riservata all'altare, ma che, in quel diverso contesto, non stava presentando alcuna ara, quanto, piuttosto, una scrivania e un seggio, seduto sul quale una figura stava, chiaramente, attendendo il suo arrivo. Dove tanto le pareti, sebbene puntualmente offerenti un'interminabile e ormai prevedibile, nella propria presenza, sequenza di geroglifici, quanto il pavimento e il soffitto, ancora una volta, apparivano piastrellati in lamine d'oro, a non negare la maestosità dorata propria non solo di quelle statue, ma, in effetti, di ogni altro dettaglio caratterizzante quell'ambiente, anche gli unici due mobili così da lei individuati non sarebbero potuti essere considerati quali consueti, poveri nella propria lavorazione e nei propri materiali: al contrario, sia l'ampia scrivania, simile a un tavolo da banchetto, sia il seggio, prossimo ad apparire quale un trono regale, dimostravano senza imbarazzo, senza modestia alcuna, una ricchezza di particolari e di materiali a dir poco imbarazzante, tali da trasformare quelle che sarebbero potute essere pur semplici forme, in veri tesori, per il possesso dei quali, a giudizio della mercenaria, in molti sarebbero stati disposti a pagare, e in molti altri a uccidere.
In simile contesto, quasi blasfema sarebbe potuta essere quindi considerata la semplicità intrinseca nella figura di colui che la Figlia di Marr'Mahew giudicò essere il magistrato ampiamente preannunciato, il quale, posto nel centro di tanta ricchezza, di tanto oro, forse sarebbe risultato più coerente rivestito, a sua volta, integralmente di nobile metallo, e non, semplicemente, adornato con esso in misura, dopotutto, non eccessivamente superiore a quella propria di qualsiasi altro shar'tiagho.

« L'imputata venga avanti. » dichiarò egli, con tono forte e deciso, richiamando la donna guerriero ed esprimendosi, incredibilmente, in una lingua per lei comprensibile, con un accento che sarebbe stato considerato a dir poco perfetto nei limiti propri dei confini tranithi.
Simile inattesa sorpresa, nella scoperta di quella capacità linguistica propria del magistrato che ella, forse ingenuamente, non aveva precedentemente supposto sarebbe potuta essergli propria, colse, invero, la mercenaria con tale meraviglia da farla restare immobile, da negarle, per un effimero istante, qualsiasi possibilità di reazione nei suoi riguardi, imponendole, con evidente ironia del fato, l'immagine della zotica provinciale da lei pur scongiurata ancor prima del suo stesso ingresso in città. Solo un leggero incitamento fisico, allora espresso in una lieve spinta in avanti dalla stessa guardia sua interlocutrice sino a quel momento, permise alla donna dagli occhi color ghiaccio di riprendersi dal proprio stupore, elaborando, purtroppo con chiaro ritardo, il senso dell'invito formulato da parte del magistrato e permettendole, in ciò, di reagire in maniera adeguata, avanzando con passo ora fermo, con postura ritornata a essere fiera e determinato, nella sua direzione.
« Mi è stato detto che la tua provenienza è da considerarsi in riferimento al regno di Tranith, nell'estremo sud-occidentale del continente. » asserì il magistrato, quando ella, finalmente, si arrestò a pochi passi dalla sua scrivania, sopra la quale un papiro completamente vuoto si stava mostrando già spiegato e pronto per l'uso da parte dello stesso « Le mie parole hanno quindi un senso alle tue orecchie? L'informazione corrisponde a realtà? »
« Sì. Ti comprendo perfettamente. » confermò ella, incerta sul tono da adottare in quel momento, in simile confronto, non desiderando dimostrarsi eccessivamente sottomessa di fronte al proprio interlocutore e pur, neppure, troppo irriverente, irrispettosa della carica propria di quell'uomo, là dove, in tal caso, avrebbe potuto stupidamente compromettere le proprie possibilità, già rare, di riuscire a instaurare un discorso costruttivo con lui, facendo valere le proprie ragioni « Anzi, se mi poss… » tentò, allora, di proseguire, salvo essere immediatamente stroncata, in simile prova, dalla ripresa della voce dell'altro.
« Bene. » esclamò egli, chinando ora il proprio sguardo sul papiro e tracciando, con l'ausilio di un pennello, alcune prime forme « Ti invito a evitare di prendere parola quando non direttamente interpellata: l'esercizio di questo tribunale, presso la nostra gente, è considerato in maniera estremamente seria, e qualsiasi eccesso di libertà da parte tua potrebbe esser solo inteso come offensivo per le nostre tradizioni. » definì, quasi a voler negare ogni possibilità di incertezza per lei sul comportamento più utile in quel frangente « Sono stato sufficientemente chiaro? »
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