11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 21 ottobre 2018

2706


Il tempo che Jacqueline ebbe a concederle al fine di non imporle alcuna ragione di possibile ansia in un momento ineluttabilmente complicato, nel confronto con una persona nelle sue condizioni, servì alla sua ipotetica paziente per ponderare attentamente la propria posizione e quanto, in quella situazione, avrebbe fatto meglio a dire piuttosto che a tacere a confronto con quella particolare figura professionale.
La domanda propostale, infatti, al di là della ben ponderata minimizzazione della medesima da parte della strizzacervelli, a ridurre, in ciò, l’eventuale carico emotivo che, altrimenti, avrebbe potuto essere preventivamente attribuito alla questione e alla risposta così attesa, non avrebbe comunque avuto a doversi considerare banale: non, in particolare, nel confronto con la sua più totale inconsapevolezza di quanto fosse successo tanto a lei, in prima persona, quanto e ancor più alla sua versione alternativa di quel mondo, della quale, per una non meglio definita ragione sembrava aver preso inaspettatamente il posto. In effetti, anche della vita personale della Maddie che ella aveva avuto passata occasione di incrociare all’interno del tempo del sogno, e che sapeva risiedere, in quel mentre, in quel di Kriarya, insieme ai suoi vecchi amici, insieme ai suoi antichi alleati, occupando metaforicamente il vuoto altrimenti da lei lasciato in quel del proprio pianeta natale e della città nella quale, lei e Be’Sihl, erano stati soliti risiedere per oltre vent’anni, non avrebbe potuto vantare particolare confidenza, che potesse esserle in qualche modo d’aiuto per comprendere potenziali dinamiche proprie di quel mondo, di quella realtà, nell’ipotesi pur priva di qualunque fondamento che avesse a esistere un qualche parallelismo fra la Maddie da lei conosciuta e la Maddie lì assente. E in questa propria più completa assenza di qualunque consapevolezza, di qualunque informazione, Midda non avrebbe potuto ovviare a ritrovarsi decisamente in difficoltà, non avendo propriamente idea di cosa poter proporre in possibile risposta a quel quesito, a quell’interrogativo.
Uno stallo, il suo, che non ebbe ovviamente a sfuggire all’attenzione della propria interlocutrice, la quale, quietamente, si limitò a sorriderle e ad affrontarla, allora, con incedere pacatamente accondiscendente, che non avrebbe desiderato, in alcuna maniera, porla in una qualunque situazione di disagio… al contrario.

« Sai… per quanto non abbia avuto passate occasioni per confrontarmi direttamente con te, non posso che provare una certa stima nei tuoi confronti. » riprese quindi voce la psicologa, inspirando profondamente l’aria attraverso il proprio delizioso naso, in una sorta di moderato sospiro « E non interpretare la mia frase come pura retorica: la mia stima ha da considerarsi di natura personale e, persino, professionale, nel confronto con l’incredibile calma da te dimostrata dal momento del tuo risveglio sino a ora, tanto nel confronto con la tua situazione clinica, quanto e ancor più nel rapporto con tuo padre e tua sorella. »
« … grazie…?! » esitò l’altra, aggrottando appena la fronte nel non aver esattamente compreso il perché di tanta manifesta stima nei propri riguardi, e nei propri riguardi per le motivazioni da lei così addotte « In verità… mi sento decisamente confusa nel merito di tutto quello che sta accadendo. E, in questo, non credo di poter essere meritevole di un sì benevolo giudizio… » soggiunse, in una risposta utile a frammischiare, attentamente, verità e omissioni, in misura tale da non spingersi in una vera e propria menzogna, salvo, ciò non di meno, esprimere una vera valutazione nel merito del proprio stato emotivo in quel frangente.
« Confusa…? » quasi ridacchiò la prima, scuotendo appena il capo « Diamine! Ci credo che tu possa sentirti confusa… sarebbe assurdo che tu non avessi a esserlo. » incalzò, ora annuendo « Ciò non di meno, il fatto che tu, a fronte di tutto questo, tu abbia reagito con la compostezza con la quale hai reagito, definisce sicuramente più che meritato il mio giudizio. Credimi… non è la prima volta che ho a che fare con una persona nella tua situazione, per quanto, devo essere sincero, il tuo caso possa giudicarsi a dir poco straordinario. »
« … ecco… a tal riguardo… » introdusse Midda, cercando di cogliere quell’occasione, quell’aggancio, per esprimersi nel merito della situazione corrente e, soprattutto, per domandare lumi « … non è che potresti aiutarmi a capire un po’ meglio le ragioni di tanta straordinarietà? » sorrise, cercando di trasmettere anche un certo senso di imbarazzo in quella richiesta, un imbarazzo che, a quel punto, avrebbe potuto essere quietamente giustificato da tanta lode a lei rivolta per motivazioni, purtroppo, ancor incomprese.
« Sì. Certo. In effetti sono qui proprio per questa ragione… » confermò Jacqueline, sempre positiva e propositiva in quel confronto « Premesso come le reazioni di coloro che, tuo pari, hanno avuto occasione di riprendersi da una simile condizione clinica, siano sempre state estremamente variegate, fra coloro i quali hanno dichiarato di aver sempre avuto percezione di quanto stesse accadendo attorno a loro, e coloro i quali, altresì, hanno dichiarato di essere stati sostanzialmente come addormentati per tutto il tempo, non ricordando nulla dell’accaduto; mia cara Maddie, tu hai avuto la fortuna, o la forza, o una straordinaria combinazione di entrambe, necessarie per riuscire risvegliarti dopo un coma durato per oltre trent’anni. »

Anche l’idea di coma, le fosse stata proposta solo quattro anni prima, sarebbe stata di difficile comprensione da parte sua, giacché nel suo mondo la divisione fra la vita e la morte avrebbe avuto a doversi considerare decisamente più netta, complici anche delle primitive conoscenze mediche, ragione per la quale un individuo avrebbe avuto a poter essere considerato o vivo, o morto, o, all’occorrenza, non morto, ma senza ulteriori sfumature nel mezzo. In grazia, tuttavia, agli ultimi tre anni trascorsi attraverso le vastità siderali, e a tutte le nuove informazioni a confronto con le quali ella si era necessariamente dovuta ritrovare a essere, anche quel concetto precedentemente inedito aveva avuto occasione di esserle chiarito; ragione per la quale, quindi, ella non avrebbe avuto a doversi considerare sì estranea a confronto con tale idea, e con le parole così appena scandite dalla strizzacervelli.
Quando, comunque, non avrebbe potuto ovviare a sorprenderla fu scoprire come gli ultimi trent’anni, e più, della vita della propria versione alternativa, esistente in quell’universo, in quel piano di realtà, non avessero avuto occasione di essere vissuti. Trent’anni, e più, a confronto con l’assenza dei quali facile sarebbe allor stato comprendere il perché tanto dell’incommensurabile gioia dimostrata da suo padre e da sua sorella, quanto della sorpresa che ella non avrebbe potuto che rappresentar innanzi allo sguardo di qualunque medico, laddove, in buona sostanza, più di tre quarti della sua esistenza non avrebbero avuto a dover essere giudicati quali per lei esistenti, in un periodo di tempo tanto lungo da catapultare, ipoteticamente, una bambina di dieci anni o meno dall’infanzia direttamente alla maturità.

“Altro che mirabile calma! Per la reazione di totale indifferenza che ho dimostrato avere, devo apparire già clinicamente pazza innanzi allo sguardo di questa Carsa…” sospirò in cuor suo la donna guerriero, domandandosi come avrebbe avuto a dover lì reagire a confronto con tale notizia e, soprattutto, in qual maniera avere a poter giustificare la propria serenità, e la propria serenità innanzi a un padre improvvisamente trent’anni più vecchio, innanzi a una sorella gemella lasciata bambina e ritrovata donna, e, probabilmente, anche innanzi all’assenza del proprio braccio destro, per lei una realtà quotidiana da circa un quarto di secolo e che, tuttavia, difficilmente apprezzabile avrebbe avuto a dover essere considerato dal punto di vista di quella Maddie.

Purtroppo, dal giorno del suo risveglio, era ormai trascorsa più di una settimana, e qualunque ipotesi di rettifica a quanto, sino a quel momento, reso qual proprio avrebbe avuto certamente a doversi considerare quantomeno inappropriato, se non, direttamente, sospetto, ragione per la quale, allora, avrebbe dovuto offrire il proverbiale buon viso a cattivo giuoco e, in ciò, non porsi perplessità di sorta su quanto già compiuto nel concentrarsi, altresì, su quanto allora avrebbe avuto ancor a dover compiere, e su come, a confronto con tutto ciò, avrebbe dovuto decidere di relazionarsi.

« … come…? » domandò, cercando di dimostrarsi palesemente perplessa innanzi a quell’annuncio, in un interrogativo che, allora, avrebbe avuto a dover essere considerato assolutamente giustificabile e comprensibile, e che, a margine di ulteriori informazioni potenzialmente utili, le avrebbe concesso tempo utile a temporeggiare per meglio elaborare la propria posizione.

sabato 20 ottobre 2018

2705


« Signorina Mont-d'Orb…? Madailéin Mont-d'Orb…?! » domandò con voce armoniosa, spontaneamente suadente, nel rivolgersi verso di lei con il nome che avrebbe avuto a dover essere considerato qual proprio in quel mondo, e nell’aspettare un qualunque cenno di conferma prima di proseguire « Il mio nome è Jacqueline… dottoressa Jacqueline Marchetti. Ma apprezzerei la possibilità di darci del tu, se lei è d’accordo. » sorrise, restando quietamente in piedi innanzi a lei, con dimostrazione di straordinario equilibrio, nell’essere in grado di affrontare così quietamente la sfida rappresentata da quei vertiginosi tacchi, la follia dei quali, forse, in quel momento avrebbe avuto a dover essere considerata, per la sua interlocutrice, qual quella contraddistinta da più ragioni di potenziale incredulità per lei.
« Certamente. » annuì Midda, laddove, dopotutto, sarebbe stata addirittura in crisi all’idea di dover ricorrere a quell’ipotetico uso del “lei” come forma di cortesia, con il quale non avrebbe saputo considerarsi a proprio agio malgrado, da ormai quasi tre anni, fosse a costante confronto con esso, soprattutto per bocca del suo capitano, Lange Rolamo, che non mancava di rivolgersi a lei con tale formalismo soprattutto nei momenti in cui maggiormente marcata avrebbe avuto a doversi considerare la volontà, da parte sua, di rimproverarla.
« Perfetto. » annuì con tranquillità Carsa, anzi Jacqueline, nell’osservarsi un istante attorno, nell’individuare una sedia e nel muoversi a recuperarla, per potersi accomodare accanto a lei, accavallando in ciò le proprie splendide gambe in una postura a dir poco perfetta, riuscendo a mantenere perfettamente parallele le proprie tibie, e, in tutto questo, a dimostrare un’apparente comodità in tal senso, quasi si fosse appena comodamente sdraiata su una morbida poltrona.

Il ritrovare, in quel momento innanzi al proprio sguardo, una versione alternativa di Carsa, non avrebbe potuto ovviare a incuriosire tremendamente la donna dagli occhi color ghiaccio.
Benché, infatti, la presenza di suo padre e di sua sorella, pur squisitamente gradite, avrebbero potuto essere quietamente considerate quasi naturali nella propria occorrenza, laddove, in fondo, parte della propria irrinunciabile storia personale a prescindere dall’universo in cui si sarebbe potuta riconoscere qual capitata; la presenza di Carsa Anloch, al contrario, avrebbe avuto a dover essere considerata un’interessante parallelismo, e un parallelismo inter-dimensionale atto a suggerire, in verità in termini particolarmente spiacevoli, una certa premeditazione della sorte utile a guidare l’occorrenza di quell’incontro, e della loro interazione, per così come, in assenza di un qualsivoglia legame di parentela, non avrebbe avuto ragione di poter altrimenti occorrere. E se pur, in effetti, tutto ciò avrebbe avuto necessariamente a contrariare una parte del suo spirito, e quella parte che, da sempre, aveva rinnegato qualunque idea di destino preordinato, in contrasto a quell’assoluta autodeterminazione che, da sempre, aveva perseguito al prezzo di sudore e sangue; un’altra parte del suo animo non avrebbe potuto, altresì, che riconoscersi semplicemente interessata a comprendere quale possibile ruolo, in quel contesto, avrebbe potuto riservarsi quella donna tanto particolare, nel non dimenticare quanto, di lei, la bellezza avrebbe avuto a dover essere forse considerata una fra le ultime e minoritarie qualità.

« Se sei un medico, immagino che potrai finalmente spiegarmi cosa stia accadendo… » commentò Midda, scandendo quelle parole non senza una certa fatica, un certo impegno, e, ciò non di meno, ritrovandosi quantomeno soddisfatta di sé per essere riuscita ad articolare quell’intera frase, malgrado la situazione obiettivamente a lei avversa « … sino a ora nessuno mi ha ancora detto nulla. »
« In verità non sono propriamente un medico: sono laureata in psicologia. » puntualizzò Jacqueline, chinando appena il capo, nel correggere in tal maniera la propria interlocutrice, non per pignoleria, quanto e piuttosto per onestà intellettuale verso di lei, e per quell’onestà sulla quale, allora, sperava sarebbero state in grado di basare le fondamenta del loro rapporto « Però sì… sono qui proprio per poterti aiutare a comprendere cosa sia successo, e a fornirti tutto l’aiuto del quale potrai avere bisogno. »

Fosse stata, quella frase, a lei rivolta soltanto quattro anni prima, Midda Bontor avrebbe sicuramente reagito aggrottando la fronte, e domandando cosa diamine fosse una laureata in psicologia, nel dubbio di aver a considerare quella frase qual una ragione di vanto o, piuttosto, una sorta di complesso insulto. Tuttavia, in quegli ultimi anni, viaggiando attraverso diversi mondi e scoprendo nuove civiltà, ella aveva avuto, per propria fortuna, occasione di allargare i propri orizzonti e di scoprire concetti quali quelli da lei in quel momento resi propri per definire se stessa. E sebbene, personalmente, non avesse mai avuto precedente occasione di incontrarne uno, molte erano state le occasioni nelle quali, in maniera più o meno scherzosa, Duva o Lys’sh avevano fatto riferimento all’idea propria del concetto di strizzacervelli, in misura tale che, alla fine, ella era stata praticamente costretta a domandare spiegazioni, nell’essersi immaginata scenari decisamente cruenti e volti a prevedere crani scoperchiati e mani affondate all’interno della materia grigia di qualcuno, per scopi non meglio comprensibili ma, sicuramente, non gradevoli.
Concepire, in quel momento, la propria interlocutrice qual una psicologa, in verità, ebbe quantomeno a divertirla, se non a spingerla a considerare l’esistenza di una strana ironia da parte degli dei tutti, nel riconoscere tale ruolo proprio a tale figura.
La propria Carsa Anloch, per amor di dettaglio, non avrebbe avuto a doversi neppur realmente considerare esistente, avendo a doversi riconoscere, piuttosto, il frutto della fantasia di una giovane aristocratica di nome Ah'Reshia Ul-Geheran, la quale, posta crudelmente a confronto con orrori propri di una tragedia troppo grande per lei, per la sua mente, era stata costretta a reinventarsi nelle vesti di un’indomita guerriera mercenaria al solo scopo di superare i propri traumi e, soprattutto, di sopravvivere a essi, di sopravvivere a quanto la vita, ingenerosa, le aveva posto di fronte: in tal modo, quindi, era nata Carsa Anloch, ovviamente inconsapevole del proprio passato come Ah'Reshia Ul-Geheran, e contraddistinta da un proprio carattere, da una propria storia, da dei propri principi del tutto estranei a quelli che avrebbero avuto a dover essere per lei considerati consueti nel proprio passato. Addirittura, straordinaria caratteristica unica nel suo genere, Carsa Anloch avrebbe avuto a doversi riconoscere qual mirabilmente capace di inventarsi nuove personalità, nuove identità, dietro alle quali, all’occorrenza celarsi, per introdursi in luoghi laddove ella non avrebbe potuto altrimenti spingersi e, lì, portare a compimento la propria missione di turno: e tanto perfette avrebbero avuto a doversi considerare tali personalità, al punto tale che ella stessa avrebbe potuto correre il rischio di smarrirsi in una di esse, suo malgrado complice la verità, pur ignota, di non aver a poter essere giudicata neppur effettivamente reale la sua stessa identità di base.
In un simile scenario, che probabilmente molti strizzacervelli avrebbero quietamente definito qual disturbo dissociativo dell’identità, aver, in quel mondo, a ritrovarsi posta innanzi a una simile versione della propria antica amica e nemica, non avrebbe potuto ovviare a stuzzicare le corde dell’ilarità della stessa donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, la quale, a margine di tutto ciò, quindi, ebbe a ritrovarsi a dover prestare particolare attenzione a ovviare, proprio malgrado, a scoppiare a ridere innanzi a tutto ciò…

« La mia attenzione è tutta tua, Car… Jacqueline. » si dovette correggere all’ultimo minuto, così divertita da quanto stava venendole proposto al punto tale da essersi quasi lasciata sfuggire il suo nome, o tale, quantomeno, per così come da lei conosciuto o, in effetti, per come da lei più nostalgicamente ricordato.
« Questo non può che farmi piacere. » confermò ella, offrendo evidenza di aver ignorato quell’errore o, quantomeno, di non desiderare soffermarsi eccessivamente sullo stesso, almeno per il momento, a prescindere dalle ragioni che, dietro a esso, avrebbero avuto a doversi considerare presenti « Iniziamo da una domanda molto semplice… mi sapresti dire qual è l’ultimo ricordo che hai prima del tuo risveglio qui in ospedale? » le sorrise, quieta e accomodante « Prenditi pure tutto il tempo che ti serve per rifletterci… e non ti stressare nel cercare di offrirmi a tutti i costi una risposta, laddove non ne dovessi avere una. »

venerdì 19 ottobre 2018

2704


Se soltanto Midda Namile Bontor non avesse trascorso ben più di metà della propria esistenza ad affrontare situazioni oltre ogni confine di umano raziocinio, e tali da rendere anche quell’esperienza se non consueta, quantomeno accettabile nelle proprie folli dinamiche, improbabile sarebbe stato per lei riuscire a mantenere adeguata lucidità mentale al fine di non ritenere di essere divenuta semplicemente pazza. O, ancor peggio, di esserlo sempre stata. Giacché, nelle ore e nei giorni successivi a quel primo risveglio, di pari passo a quella che avrebbe avuto a doversi considerare una sua lenta, lentissima riacquisizione del proprio stesso corpo, anche soltanto per permetterle di riuscire, quantomeno, a esprimere verbo, seppur inizialmente in maniera spiacevolmente scomposta, quanto ebbe a delinearsi a confronto con la sua coscienza fu una situazione incredibilmente complessa, e una situazione a confronto con la quale, proprio malgrado, difficile sarebbe stato per lei riuscire a ignorare quanto, obiettivamente, l’unico elemento realmente fuori luogo avrebbe avuto a doversi considerare propriamente lei.
Un’idea più chiara sulla situazione a lei circostante, comunque, non le venne offerta né dall’affascinante medico, né da suo padre, e neppure da sua sorella Rín, ma da un’altra figura, e un’altra figura tutt’altro che estranea dal proprio personale punto di vista, e che pur, in quella realtà, in quell’universo, probabilmente ella non avrebbe avuto a dover conoscere. Tanto il medico, quanto suo padre, e persino sua sorella, la sua amata e perduta gemella, infatti, pur non mancando di rivolgerle ogni qual genere di premura, ogni qual genere di attenzione o riguardo, offrirono parimenti premura, attenzione e riguardo a ovviare a concederle spiegazioni di sorta nel merito di quanto accaduto, forti, suo malgrado, dell’iniziale sua impossibilità persino a esprimere verbo, e, in questo, a poter formulare ella stessa degli interrogativi utili a pretendere, da parte loro, risposte di sorta.
Il suo ricongiungimento con sua sorella Rín, per amor di cronaca, avvenne il giorno stesso del suo risveglio, poche ore dopo a tale evento, quando quest’ultima riuscì a raggiungere lei e loro padre in ospedale, o in qualunque altro luogo ella avesse a doversi giudicare ricoverata in quel momento, avanzando agilmente all’interno della stanza seduta sulla propria sedia a rotelle, così come, purtroppo per lei, avrebbe avuto a dover essere ricordata anche nel proprio esordio all’interno del tempo del sogno, là dove, per la prima volta, Midda aveva avuto occasione di confronto con lei e, prima ancora, con sua sorella Maddie. Infermità della propria gemella a parte, con tutti i dubbi a essa ricollegabili sulle ragioni della stessa, quella riunificazione sororale non ebbe a concedersi meno emozionante, meno coinvolgente di quanto non fosse stata quella occorsa fra lei e loro padre, laddove, benché ancora una volta conscia di quanto quell’uomo non avrebbe avuto a doversi strettamente considerare suo padre, e quella donna non avrebbe avuto a doversi egualmente strettamente riconoscere qual sua sorella, forse egoisticamente Midda Bontor non volle riservarsi alcuna ragione per negarsi l’occasione di gioia concessale da quel ricongiungimento, da quella riunificazione con un’altra versione di Nissa, e con una versione che, almeno in quell’universo, almeno in quella realtà, non avrebbe avuto a volerla necessariamente uccidere, né, tantomeno, avrebbe voluto impegnarsi a rendere la sua vita qual un assurdo incubo. Quanto, infatti, le fu concesso di cogliere, negli occhi color ghiaccio della propria gemella, a lei in tutto e per tutto identica, fu semplicemente quella medesima strabordante gioia che già aveva avuto occasione di ritrovare umidamente impressa sul volto di loro padre, e che, ancora una volta, non poté che spingere anche Rín alle lacrime, soprattutto quando, con un quieto sforzo atto a trasferirsi, facendo leva solo e unicamente sulle proprie braccia, dalla sedia a rotelle al bordo del suo letto, ella non riuscì a resistere al desiderio di stringersi a lei, gettandosi delicatamente su di lei e affondando, commossa, il proprio volto sul suo collo, in un abbraccio che l’altra non avrebbe potuto, ancora, permettersi di ricambiare, ma che, ciò non di meno, le infiammò il cuore, e la vide, a sua volta, costretta a confrontarsi con calde lacrime sul proprio volto, nel propri stessi occhi, per quell’occasione insperata e, oggettivamente, insperabile.
Benché, infatti, gli ultimi trent’anni del proprio rapporto con Nissa non fossero stati esattamente felici, e, soprattutto, benché la sua spada bastarda avrebbe avuto a doversi riconoscere responsabile per la tragica conclusione della vita della medesima, in un’amara vittoria difficilmente riconoscibile qual tale anche per colei che pur, a tale conflitto, era sopravvissuta; Midda Bontor non aveva, né avrebbe mai smesso di amare la propria gemella, e di provare, nel profondo del proprio cuore, un’irrisolvibile senso di colpa per il tradimento che, con una certa onestà intellettuale, non avrebbe potuto negare averle imposto, e averle imposto quand’ancora avrebbero potuto vantare soltanto dieci anni sulle proprie infantili spalle. Ritrovarsi, quindi, non soltanto a poter riabbracciare un’altra versione della propria defunta gemella, e, soprattutto, ritrovarsi, sicuramente immeritatamente, a essere oggetto del suo affetto, e di quell’amore palese, incontrovertibile, sincero, espresso da quell’abbraccio, e da quell’abbraccio così carico di sentimento, tale da valere più di molte parole, più di qualunque parola, non avrebbe potuto ovviare a gonfiarle il cuore di emozioni, e di emozioni positive a confronto con le quali, per un fugace istante, tutta la sua vita, tutte le sue priorità, vennero obliate, e vennero obliate insieme a Be’Sihl, insieme a Tagae e Liagu, insieme a tutti gli amici, a tutta la famiglia che avrebbero potuto vantare di avere sulla Kasta Hamina, e insieme anche a tutti gli avversari dei quali, allora, avrebbe avuto probabilmente a doversi preoccupare, iniziando proprio da Desmair, sicuramente responsabile per quanto, in quel frangente, le stava occorrendo, ma anche, e non di meno, l’accusatore Pitra Zafral e l’omni-governo di Loicare, e, soprattutto, la regina Anmel Mal Toise. Tutti nomi importanti, tutte figure di obbligato rilievo nella propria quotidianità, e che pur, nella gioia che in quel momento le stava venendo riservata, prima a insperato confronto con il proprio genitore, e poi, addirittura, con la propria gemella, non avrebbero potuto fugacemente finire in secondo piano, nel vederle garantita, altresì, occasione di vivere, seppur in maniera egoistica, quel momento, quell’istante, e di piangere per la gioia propria nel ritrovare chi irrimediabilmente perduto.
Nissa, o, per meglio dire Rín, non fu, tuttavia, il solo, inatteso ritorno nella propria quotidianità che quella strana esperienza extra-dimensionale le avrebbe riservato. Perché, per l’appunto, di lì a qualche giorno, quando finalmente ella fu in grado di scandire qualche parola e, con essa, di iniziare a porre qualche domanda, soppesando con ovvia attenzione ogni singola sillaba nel non desiderare commettere ingenuità di sorta tali da poter spingere chiunque, lì attorno, a considerarla pazza; una nuova figura ebbe a fare capolino da oltre quella tenda bianca al fianco del proprio letto, e di quel letto dal quale, proprio malgrado, non aveva avuto ancora occasione di alzarsi, con buona pace dello spiacevole tubicino inserito nella sua vescica. E una figura che, nella propria consueta bellezza ed eleganza, ella dovette sinceramente sforzarsi per far finta di non riconoscere, sufficientemente confidente di quanto, al suo posto, probabilmente la Maddie al posto della quale si era inaspettatamente ritrovata a essere non avrebbe avuto a potersi riservare confidenza alcuna con essa. Del resto, per chiunque avesse avuto la fortuna di incontrare, anche in una sola e fugace occasione, nella propria esistenza, la straordinaria Carsa Anloch, difficile sarebbe stato non ricordarla, non ritrovare la di lei magnifica immagine impressa a fuoco nella propria mente, con il proprio dolce viso lievemente ovale, ornato da un sottile e grazioso nasino, due grandi occhi castani, una coppia di morbide a carnose labbra, nonché lunghi, lunghissimi capelli i quali, pur legati in un’alta coda, non avrebbero mancato di scendere ad accarezzarne i glutei, accompagnando l’immagine di quel sublime corpo slanciato, quelle forme sinuose, che alcuno sguardo, maschile o femminile, avrebbe potuto ignorare, gli uni desiderandola, le altre invidiandola, il tutto esoticamente completato da un incarnato color della terra a contraddistinguere una pelle così dolcemente vellutata che ogni mano si sarebbe dannata per avere occasione di accarezzare.
Tale presenza, per lei psicologicamente legata a colei che, forse, avrebbe avuto possibilità di essere definita qual la propria migliore nemica, o la propria peggior amica, o un’altra combinazione di tali termini, fu quella che ebbe così a presentarsi con un amplio sorriso, un diverso nome e un’elegante abito, lì composto da una corta gonna e da una giacchetta di color granata, una camiciola bianca e sandaletti egualmente rossi, contraddistinti da un alto, altissimo tacco per provare a confrontarsi con il quale, probabilmente, Midda Bontor si sarebbe ritrovata con una caviglia slogata… se non peggio.