11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 5 maggio 2014

2241


Confrontandomi a posteriori con la mia amata, per così come anche da lei riportato nei propri resoconti, ho avuto possibilità di verificare come, effettivamente, Anmel non avesse mentito nel merito del suo stato di prigionia. Esattamente come riportato per voce della nostra antagonista, e in tutto e per tutto mio pari, anche Midda avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual, proprio malgrado, rinchiusa all’interno di una stanza identica a quella entro i limiti della quale io stesso ero stato rinchiuso, e legata a un tavolo di metallo in tutto e per tutto identico a quello al di sopra del quale io stesso ero stato confinato. Il tutto con soltanto due, significative differenze: la prima riconoscibile nella presenza attorno al mio collo, e non al suo, del particolare congegno in grazia al quale, non avrei saputo dire come o perché, Anmel, per mezzo della sua tirapiedi Tannouinn, era stata in grado di inibire ogni mia possibilità di contatto con Desmair; la seconda, invero ancor più significativa, identificabile nelle torture, nelle sevizie che, nel proprio periodo di prigionia, Midda si ritrovò costretta a subire… e a subire ripetutamente. Diversamente da me, infatti, nel proprio periodo di permanenza all’interno di quel candido contesto, la mia amata si ritrovò, tragicamente, a essere fondamentalmente uccisa più e più volte consecutive, restando in ogni occasione soltanto flebilmente ancor legata all’esistenza mortale e, per solo mezzo dell’intervento di straordinarie tecnologie del tutto equiparabili a pura stregoneria, per lo meno dal nostro punto di vista, riportata in salute, al solo, terrificante e sadico scopo di essere nuovamente offerta in pasto alla propria carnefice.
Non cercherò, ora, di rendere in parole l’orrore caratteristico di un simile tormento, non cercherò di tradurre in frasi degne di nota l’oscenità propria della follia nella quale ella venne precipitata per effetto di un tanto letale impegno. In primo luogo perché, non essendo la mia professione quella di bardo, di cantore, dubito che potrei mai essere realmente capace di offrire corpo alle emozioni che furono per lei necessariamente proprie a confronto con tanto patimento, con una prova che avrebbe spinto chiunque altro a rimettere la propria sanità mentale in molto meno tempo di quello che le venne allora domandato, chiudendosi definitivamente e irrimediabilmente entro un limbo creato appositamente dalla propria coscienza al fine ultimo, e quanto mai condivisibile, comprensibile, giustificabile, di conservarsi, per preservarsi da qualcosa che avrebbe necessariamente posto in dubbio persino la resistenza di un dio o di una dea, ove egualmente sfidati. In secondo luogo perché, un tale ed eventuale esercizio di stile, ove anche condotto da parte di chi adeguatamente capace di individuare i più adeguati significanti allo scopo di permettere il propagarsi, anche nel cuore e nell’animo di coloro che di simili eventi ne potrebbero essere soltanto indiretti testimoni attraverso la lettura o l’ascolto di queste parole, delle emozioni maggiormente prossime a quelle allora proprie della mia amata, rischierebbe soltanto e comunque di tradursi nella ricerca di soddisfazione, di appagamento, di un mero desiderio di perverso sadismo, o di sadica perversione, difficile a individuarsi nella propria più corretta accezione, da parte di chi, semplicemente impossibilitato a dar sfogo a tale aspetto della propria personalità, o, addirittura, fondamentalmente inconsapevole di un tale aspetto della propria personalità, in alcun altro modo potrebbe essere in grado di conquistare una pur ricercata possibilità di intimo e malato godimento. E giacché, allora, quanto fu imposto alla mia amata avrebbe avuto a dover essere riconosciuto soltanto qual il tentativo, da parte di una figura intimamente malata, di trovare soddisfazione a tale patologica tara; impegnarsi, pur indirettamente, al solo scopo di offrire reiterata occasione di appagamento ad altri, eguali individui, null’altro potrebbe or rappresentare al di fuori di candidarsi complice di tanta ingiustificata e ingiustificabile crudeltà, non soltanto mancando del dovuto rispetto nei confronti della mia compagna, ma, ancor peggio, gratuitamente infierendo a suo discapito, dimostrazione d’odio ancor prima che d’amore, d’oscena avversione ancor prima che d’illimitato affetto.
Alla luce di tutto ciò, nel confronto con l’evidenza di quanto, pertanto, accadde a discapito dell’unica donna che abbia mai conquistato, con tanta forza, con incommensurabile energia, una posizione sì rilevante, sì predominante nel mio cuore e nel mio animo, nella mia quotidianità e nei miei pensieri, tormento e letizia della mia vita, di quella che avrei potuto forse desiderare essere la mia vita con lei e di quella che, parimenti, in questi ultimi anni, in questi ultimi decenni, ho avuto la straordinaria occasione di vivere al suo fianco, a volte qual mero spettatore, altre qual invidiabile protagonista; ancor più difficile da comprendere, da giustificare, avrebbe sol avuto a dover essere definito quanto Anmel ebbe altresì e parallelamente occasione di riservare al mio indirizzo… fondamentalmente, e concretamente, nulla.
Quasi, infatti, la mia cattura avesse avuto a dover essere considerata qual danno collaterale di un impegno mai ricercato, qual effetto tangente di uno sforzo fondamentalmente nullo, qual guadagno gratuito di un investimento mai consapevolmente bramato, la nostra avversaria parve addirittura obliare la mia stessa esistenza sotto al medesimo tetto della mia compagna, non semplicemente trascurandomi ma, del tutto, ignorandomi, così come se non fossi lì neppure presente, non avessi allora da considerarmi realmente un suo prigioniero. Così, con la sola eccezione di quel primo dialogo, di quel momento di iniziale, e quasi incidentale confronto, ella non tornò più a farmi visita e la sola compagnia che ebbi fu quella di una sorta di personale medico che, a intervalli regolari, in quelle che potrei presumere aversi a considerare computabile entro il limite di tre occasioni al giorno, si presentò animato dal solo intento di somministrare al mio corpo delle iniezioni che dedussi essere volte a negarmi la necessità di ricercare nutrimento alcuno, qual, del resto, per tutta la perdurata della mia prigionia entro quelle mura non mi venne mai fornito in altra forma, sotto altro aspetto. E per quanto, in tutto ciò, alcuna sofferenza fisica mi venne imposta, se non quella indirettamente conseguente alla mia costretta posizione fisica, legato, qual mi trovai a essere, a quel lettino; a modo suo Anmel riuscì comunque a torturarmi a mia volta, nel condurmi, qual conseguenza di quell’isolamento totale e quell’immobilità ancor maggiore, sulla soglia della follia.
Credete che io stia esagerando?!
Provate a concedervi un lungo periodo di riposo. Il maggiore che possiate essere in grado di riservarvi, ignorando qualunque altro genere di attività, impegni o scadenze. Dopo di che, costringetevi a restare ancora stesi supini sul vostro giaciglio, con le braccia lungo i fianchi, le gambe tese e il viso rivolto verso un soffitto sostanzialmente disadorno di qualunque dettaglio. E costringetevi a mantenervi in simile posizione, senza fare nulla, per il maggior tempo che ritenere di essere in grado di mantenervi così siti.
Sono pronto a scommettere metà della mia locanda che dopo appena un quarto d’ora, vi sembrerà trascorsa mezz’ora; dopo mezz’ora vi sembreranno trascorse due ore e dopo un’ora, ammesso che siate in grado di spingervi a tanto, l’inattività fisica e quella mentale saranno tale da risultare non semplicemente fastidiose, ma addirittura dolorose, nel non concedervi di protrarre ulteriormente la prova. E se così non sarà, consideratevi pure invitati a presentarvi presso “Alla Signora della Vita”, a Kriarya, regno di Kofreya, per esigere il giusto pagamento, giacché vi sarete più che meritati tutta la mia più sincera ammirazione, per esservi dimostrati capaci di tanto. Ovviamente, però, tal scommessa non avrà valore alcuno se, per la durata della prova, vi concederete occasione di distrazione in qualunque modo e con qualunque mezzo, fosse questa l’occasione propria del leggere qualche testo, dell’ascoltare una qualunque musica, o quant’altro utile a permettere, quantomeno alla vostra mente, occasione di evasione da tanta immobilità.
Fu in tale contesto, devo essere sincero, che mi ritrovai per la prima volta ad apprezzare, e ad apprezzare realmente, seppur non disinteressatamente, quanto straordinaria e utile avesse avuto, e avrebbe ancor più allora avuto a doversi considerare, nella mia esistenza, la presenza di Desmair nella mia mente, quella condivisione intima assicuratami dalla pur mai desiderata intromissione dello spirito dello sposo della mia amata all’interno delle mie spoglie mortali. Perché mai come allora, mai come in quella condizione, in quel periodo di prigionia, ebbi occasione di patire l’assenza di un interlocutore, di un qualunque interlocutore, con il quale potermi confrontare, con il quale potermi riservare un’occasione di evasione psicologica da tutto quello. E, soprattutto e ancor peggio, mai come allora, mai come in quel contesto, in quella costretta cattività, ebbi l’occasione di rimpiangere la possibilità unica riservatami dal mio inquilino di pur difficile sopportazione, nell’incredibile capacità per suo tramite concessami di accedere alla mia mente quasi essa avesse a doversi considerare una straordinaria realtà indipendente, alternativa e autonoma, ben superiore a quello che qualunque uso e abuso di mera fantasia avrebbe mai potuto sperare di produrre. Una realtà nella quale, se solo ne avessi avuto la possibilità, non nego allora mi sarei volentieri immerso, a cercare evasione da vuoto venutosi a creare attorno a me per effetto dell’indifferenza e della dimenticanza a mio discapito imposta dalla regina.

Nessun commento: