11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 27 novembre 2012

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Anticipando qualunque possibilità di organizzazione strategica nel gruppo delle mercenarie, dalla medesima via lungo la quale era lì sopraggiunta colei che aveva assunto il triste soprannome di Monca, fecero nuovamente la loro apparizione quegli stessi fanatici della Progenie della Fenice dai quali ella aveva cercato di sottrarsi con la propria ripiegata. E questi, senza porsi eccessivi dubbi sulla presenza di quante Midda Bontor potessero attenderli in fondo a quel passaggio, senza concedersi possibilità di sorpresa in tal senso, quasi a giudicare la questione qual assolutamente serena, normale, addirittura banale nella propria occorrenza; reagirono alla ricomparsa della donna guerriero innanzi al loro sguardo aizzando, in contrasto a quell’obiettivo estemporaneamente loro fuggito, gli stessi mastini della morte innanzi ai quali, prudentemente, la Figlia di Marr’Mahew aveva deciso fosse meglio non impegnarsi in battaglia, non cercare necessariamente scontro, a discapito della propria nomea, della propria fama di impavida guerriera, ucciditrice d’ogni genere di mostri. Come offrirle torto, tuttavia, nel considerare la natura di quelle feroci creature assetate di sangue e di morte, alte al garrese almeno cinque piedi e facenti proprie delle masse sicuramente superiori alle trecento, forse anche trecentocinquanta libbre? Come offrirle torto, ancora, nel valutare quanto il pericolo rappresentato da zanne lunghe come stiletti e affilate come lame, delle quali le fauci di quei mostri erano costellate, nonché da una pelle corazzata, ricoperta da placche contro le quali neppure la propria pur stupefacente lama aveva reso propria una qualunque possibilità di successo? Come offrirle torto, infine, nel conteggiare quei minacciosi antagonisti, quelle immonde creature provenienti da chissà quale lurido anfratto, in un numero sufficiente ad assediarla, e a ricoprirla, ancor prima che ella avesse potuto sperare di scendere a patti con una singola unità?!
Non pavida, ma neppure stolta, ella era e avrebbe dovuto essere riconosciuta, nel non avere alcun interesse a gettare la propria vita quasi fosse priva di valore, e neppure a impegnarsi contro simili avversarsi per il semplice piacere della sfida. Una sfida innanzi alla quale, comunque, avrebbe sicuramente risposto, e risposto affermativamente, ove non avesse lì spinto i propri passi per uno scopo ben preciso, per un interesse ben dettagliato, ma in risposta a una semplice, e pur naturale, brama volta a dimostrare il proprio valore a se stessa e agli dei tutti, come talvolta, nel proprio passato, era anche accaduto. Così, posta a costretto confronto con quegli bizzarri incroci fra grossi cani neri, grossi felini neri e, soprattutto, grossi crostacei neri, nel dimostrare forme richiamanti il concetto di un possente canide da difesa personale, soprattutto all’altezza della testa e delle spalle; proporzioni addirittura superiori a quelle del più temibile predatore dei regni desertici centrali, dai quali sembravano aver ereditato anche il profilo delle zampe e della parte posteriore del corpo; nonché la corazza propria di un’aragosta, o di un qualunque altro simile abitante delle profondità marine, entro la quale tanta possanza appariva straordinariamente protetta, per quanto, probabilmente, non ve ne sarebbe neppure stata l’esigenza nel considerarne l’intrinseca pericolosità; non soltanto prudente, ma addirittura saggio, sarebbe stato da parte sua cercare occasione di disimpegno, ancor prima che di scontro aperto, nel ben riconoscere i propri limiti e nel non volerli avventatamente violare.
Ove, in ciò, dietro al significante di “avventato”, avrebbe dovuto essere riconosciuto il significato di “stupido”. E raramente, ella ne era consapevole, agli stolti era concessa una qualunque speranza di sopravvivenza o di vittoria, nel confronto con un qualunque avversario non più stolido di loro.

« Dannazione! » esclamò Monca, ritrovando la propria attenzione attratta dai latrati provenienti dalle proprie spalle, suoni sempre troppo vicini, versi sempre sgraditi, provenienti dalle gole di quelle bestie immonde, presentatele da parte dei loro stessi non più cordiali padroni con l’enfatico nome di mastini della morte « E’ meglio andare… » suggerì alle proprie compagne e pari, rotando il proprio intero corpo sul baricentro, con l’eleganza di una danzatrice, la sensualità di un’odalisca, quanto sufficiente per tornare a offrire il proprio volto, e la propria spada subitaneamente estratta, a quel corridoio; al tempo stesso, retrocedendo, ancor priva d’ogni volontà d’impegno in quel confronto, a meno di non ritrovarsi costretta a ciò.

Una reazione, quella che ella si concesse di rendere propria, che non restò assolutamente unica e isolata, nell’essere, altresì e straordinariamente, replicata con incredibile coordinazione da tutte le altre donne guerriero, le quali, nell’udire quell’inequivocabile suono, non si concessero maggiore esitazione rispetto a lei, non si posero più dubbi di quanti ella non se ne fosse posti alla prospettiva di uno scontro, uno scontro non desiderato e innanzi al quale, comunque, non si sarebbero eventualmente sottratte.
Ragione per la quale, non una, ma sette lucenti spade di straordinaria lega metallica dagli azzurri riflessi, scintillarono alla fioca luce preposta a illuminare quei corridoi, quei cunicoli sotterranei attraverso lo stesso complesso e ingegnoso meccanismo che già ognuna di loro aveva avuto occasione di apprezzare in occasione alla propria prima visita all’interno di quel tempio. E non uno, ma sette, furono i cuori che si predisposero alla battaglia, animati dall’intima consapevolezza che, se anche quello avesse dovuto essere considerato il loro ultimo atto, si sarebbero tutte impegnate affinché non giungessero sole al cospetto della propria amata dea Thyres, nel trascinare seco quanti più nemici possibili.

« Dividiamoci. » sembrò ordinare Amazzone, in contrasto ai propri dubbi, per così come precedentemente espressi, or confermando quanto, anche da parte propria, non avrebbero dovuto essere considerate critiche in merito a quella scelta, a quella valutazione strategica.
« Appuntamento dalla fenice. » confermò Rossa, approvando quella scelta e iniziando a retrocedere verso uno dei diversi corridoi a loro circostanti, dal quale era emersa non ricordava più quale fra loro « Chi prima arriva inizia a fare domande… »
« Illusa. » sorrise Nera, con fare sornione « Credi davvero che avremo il tempo di farle qualche domanda?! » domandò, con incedere retorico, a dar voce a un dubbio diffuso nelle menti di diverse fra loro.
« Andate! » esortò Corazza, la sola fra loro a non muovere un solo passo indietro e, anzi, ad avanzare appena nella direzione lungo la quale, di lì a pochi istanti, sarebbero piovuti loro contro i mastini della morte « Io li tratterrò per quanto mi sarà possibile. »

Non un sacrificio, quello al quale ella si stava così votando, compresero ben tutte, ma solo una necessità tattica obbligata, al fine di ovviare al rischio di ritrovarsi colte alle spalle durante quella necessariamente precipitosa ritirata. Necessità obbligata, innanzi alla quale, fra tutte loro, certamente Corazza avrebbe reso proprie maggiori possibilità di sopravvivenza, nella peculiarità intrinseca della propria armatura, di quella risorsa unica all’interno del loro gruppo che maggior protezione, maggior resistenza, le avrebbe garantito nel confronto con la carica di quelle bestie, seppur, certamente, senza riservarle garanzie di sorta, senza assicurarle che, alfine, il suo non si sarebbe trasformato in un tanto eroico, quanto sciocco sacrificio personale, gesto al quale tutte loro sarebbero state certamente pronte a votarsi e, del quale, altresì, alcuna di loro avrebbe accettato passivamente di ritrovarsi a essere testimone.
Animata in tal senso da un sempre comune e sempre condiviso spirito, pertanto, fu Destra a cogliere l’occasione di replicare all’invito della loro compagna, allungando la propria mancina, in nero metallo dai rossi riflessi, ad afferrare l’equivalente, e speculare, arto della compagna, afferrandola saldamente e traendola, con decisione, verso una delle vie di fuga loro offerte, con un fermezza innanzi alla quale non sarebbe stata riconosciuta alcuna possibilità di replica, neppure a un’altra se stessa…

« O tutte, o nessuna. » definì, in sua vece, la voce di Treccia, a dimostrazione di quanto, ancora una volta, le loro azioni, le loro scelte, per quanto non esplicitamente pianificate, avessero da considerarsi non solo coerenti, ma persino armoniche, espressione di quell’unico, intimo sprone che, a prescindere da qualunque mondo, da qualunque realtà parallela, avrebbe sempre animato una Midda Bontor « Andiamo, ora! » spronò, consapevole di quanto non fosse rimasto loro alcun margine temporale tale da perdonare una qualunque ulteriore esitazione.

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