Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
martedì 6 agosto 2013
2024
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
E lo scontro ebbe allora inizio. Non al centro dell’attenzione di tutti, essendo comunque tutti egualmente e non di meno impegnati a cercare di mantenersi in vita; ma ciò non di meno centrale rispetto a ogni altro conflitto, nell’essere chiunque, lì attorno, perfettamente cosciente di quanto, a seconda di chi, da quella battaglia, sarebbe uscita vincitrice, ineluttabilmente sarebbe cambiato anche il loro comune destino, in meglio, verso l’ambita vittoria, così come in peggio, verso la più completa e assoluta disfatta.
Forse in conseguenza al disagio psicologico derivante dal maneggiare un’arma che non avrebbe potuto percepire qual propria, forse in conseguenza alla difficoltà fisica nel giostrare con quell’ascia, fu proprio Midda a riservarsi, allora, il diritto della prima mossa, in una prerogativa che, generalmente, avrebbe preferito destinare ai propri avversari, al fine di mantenere qual proprio maggiore controllo sugli sviluppi a essa conseguenti, ma nella quale, ciò nonostante, non mancò di impegnarsi, con tutte le proprie energie, con tutte le proprie forze, combattendo allora come se ogni propria azione avesse a considerarsi l’ultima, nel timore di quanto, effettivamente, tale pensiero avrebbe potuto concretizzarsi, tale timore avrebbe potuto trovare conferma in contemporanea al compimento del proprio fato. E se sua fu la prima mossa, ella fece in modo di renderla possibilmente straordinaria, in misura tale, quantomeno, da non permettere alla propria gemella di limitarsi a eluderla, nel costringerla, altresì, a sollevare il proprio tridente e, con esso, a difendere il proprio diritto a essere, al di là di tutti i propri poteri, al di là di qualunque osceno patto potesse aver stretto con empie forze oscure allo scopo di rendere propria quella vittoria, il successo al compimento di quella disfida, di quello scontro.
Temibile e letale, l’ascia della donna guerriero guizzò attraverso l’aria satura di sangue e di morte, promettendo, con il proprio moto fermo e deciso, soltanto un impietoso impatto non con la testa e non con il corpo della regina dei pirati, quanto e piuttosto con il suo collo, in un atto volto, in tal modo, non soltanto a ferire, o semplicemente a uccidere, quanto e addirittura a veder decollare il suo capo, qual terribile sfregio alla sua sempre magnifica bellezza e, ancor più, rassicurazione nel confronto con la prospettiva di possibili ritorni futuri. Un moto, quello di tale impietosa arma, che si vide indirizzato verso tanto sensibile punto non in maniera diretta, non seguendo un percorso lineare, quanto e, piuttosto, volteggiando quasi quell’arma avesse a considerarsi, semplicemente, un fazzoletto di seta e quella della mercenaria una danza di seduzione, allorché una ricerca di morte. Danza, la sua, che se anche e legittimamente avrebbe potuto incantare qualunque avversario, soprattutto ove di sesso maschile, non poté riservarsi influenza emotiva di sorta nei riguardi di chi a lei del tutto identica e contraddistinta da un fascino al suo in nulla inferiore, in nulla secondo.
Malgrado la propria indifferenza al carisma di quel gesto, di quell’offensiva, la sovrana dell’isola fu comunque costretta a reagire, e a reagire vigorosamente, levando la propria arma a scudo nel confronto di quell’aggressione e offrendo alla violenza di quell’attacco, sì dirompente e devastante, la fermezza della straordinaria lega metallica della propria arma, frutto di quella medesima e segreta tecnica che, aveva dato origine all’altrettanto meravigliosa spada della stessa Campionessa di Kriarya, ancora sotto sequestro nelle mani del giovane Leas Tresand. Uno scudo, quello che venne in tal modo rappresentato dalla lunga asta del tridente, il quale non poté in alcun modo ipotizzare di essere scalfito da tutto ciò, e che, anzi, si dimostrò a dir poco tediato da tutto ciò, fremendo appena sotto tanto impeto e lasciando trasparire, in tal senso, non semplicemente la resistenza del materiale che lo costituiva, quanto e ancor più la resistenza dei muscoli che, allora, si stavano impegnando a sorreggerla, e a impedire a quella lama ricurva di poter raggiungere l’altresì troppo fragile collo della donna.
E se, in conseguenza allo sforzo allora necessariamente compiuto dalla signora di tutti i pirati dei mari del sud, spontaneo sarebbe stato ritenere da parte sua difficoltosa una qualunque reazione, nell’affaticamento che da ciò doveva essere conseguito; impegno di Nissa Bontor fu quello di negare qualunque ipotesi a tal riguardo, nel dimostrarsi, se possibile, addirittura rinvigorita da quanto impostole, in misura per lo meno utile da potersi permettere di porre a rischio il proprio equilibrio per sollevare una gamba e con il proprio tallone destro andare a colpire, con forza e decisione, la bocca dello stomaco dell’antagonista, per ricacciarla all’indietro privandola di fiato e, possibilmente, di controllo su di sé e sul mondo a lei circostante, almeno per qualche, pericoloso, istante. Ma così come l’una era riuscita a contenere in maniera a dir poco straordinaria l’aggressione impostale, anche l’altra non si volle dimostrare da meno, offrendo al contatto con il piede della propria controparte, soltanto addominali incredibilmente contratti, che non soltanto limitarono i potenziali danni conseguenti a quell’aggressione, ma, ancor più, si premurarono di ridurre al minimo lo slancio che, per volontà della signora dell’isola avrebbe dovuto esserle imposto, perdendosi irrimediabilmente all’indietro, smarrendosi senza possibilità alcuna di recupero e, in ciò, troppo facilmente, esponendosi a qualunque nuova occasione di morte l’altra avrebbe voluto imporle.
Così, senza un solo verso, senza una sola smorfia e, forse a evitare di perturbare la sacralità di quel momento, senza una sola, semplice battuta carica di sarcasmo o di desiderio di provocazione; il confronto fra le due gemelle poté proseguire immediatamente, con un’iniziativa nuovamente intrapresa dalla Figlia di Marr’Mahew a discapito della propria controparte, di colei elettasi a sua nemesi senza che, da parte propria, vi fosse mai stato un qualche interesse in tal senso, a tal riguardo, non avendo mai ricercato né il suo risentimento, né, tantomeno, la sua sofferenza, per così come, tuttavia, era stata spiacevolmente capace di imporle. E la pesante ascia, ancora saldamente trattenuta nella sua mancina, riprese a roteare attorno al suo corpo, in una folle danza di morte che, senza particolare originalità, cercò ancora una volta occasione di impatto sul collo dell’antagonista, sebbene sul fronte opposto rispetto al precedente. Come già pocanzi, Nissa Bontor non ebbe allora alcuna ragione utile a scomporsi, alcuna motivazione tale da perdere il controllo, nel mantenere, altresì, inalterata la propria più imperturbabile serenità, e nel limitare tutta la sua reazione, tutta la sua risposta, a una nuovo, deciso movimento del proprio tridente, il quale, dal fronte destro, venne trasferito a quello mancino, lì arginando i più negativi e devastanti effetti di quel sempre terribile, e potenzialmente letale, impeto. E quasi avesse a doversi riconoscere suo desiderio quello di evidenziare quanto vani avessero a doversi riconoscere tutti quegli sforzi, tutto quell’impegno, a simile difesa ella scelse di lasciar seguire la medesima controffensiva già resa propria un solo istante prima, nel tornare a levare il proprio piede per andare a colpire ancora una volta il ventre della propria gemella, per respingerla nuovamente all’indietro e, seppur ormai neppure riponendo effettivamente una qualche speranza in ciò, privarla di quell’autocontrollo eccessivamente manifestato, quasi e persino vantato, sino a quel momento, sino a quell’istante, per quanto, apparentemente e ostinatamente, a lei dimostratosi avverso.
Ma dove anche, apparentemente, tutto quello spettacolo avrebbe dovuto essere considerato, ossessivamente, destinato a ripetersi, e a ripetersi in maniera tanto costante da risultare addirittura insensata, laddove alcun diverso risultato rispetto a quanto già conseguito sino a quel momento sarebbe allora potuto derivare; da parte della Campionessa di Kriarya non venne tuttavia meno la costanza e l’impegno a tentare, quasi ingenuamente, un terzo, identico e consecutivo approccio verso la gemella, in un gesto che avrebbe potuto essere interpretato o qual assenza di una qualche strategia in sua opposizione o, parimenti, qual dimostrazione dell’esistenza di un più vasto piano, di una più complessa iniziativa, le ragioni della quale avrebbero potuto dimostrarsi soltanto più avanti, nel proseguo di quello stesso combattimento. Un proseguo, comunque, che sa parte della sovrana di Rogautt non volle allora essere in alcun modo né espressamente né tacitamente approvato, così come venne dimostrato da un repentino cambio di reazione a quella già collaudata sequenza d’attacco, nel non limitarsi più, semplicemente, ad arginare gli effetti di quell’oscena violenza, quanto e, piuttosto, a risponderle, nel presentare innanzi al moto dell’ascia non la solidità dell’asta del tridente quanto, e piuttosto, la sua triplice punta, quell’estremità nelle spire della quale il corpo stesso dell’ascia non si limitò a essere lì semplicemente intrappolato ma, ancor più, infranto, con una semplice, e pur devastante, torsione della lega dagli azzurri riflessi attorno alla propria pur solida struttura, quasi essa fosse costituita da fragile vetro o ceramica allorché da temprato metallo già dimostratosi in grado di spezzare crani e corpi interi.
lunedì 5 agosto 2013
2023
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
Erano stati necessari quasi trent’anni. Trent’anni passati dalla notte in cui, una bambina non ancora fanciulla, aveva tradito la fiducia e l’affetto di un’altra bambina non ancora fanciulla, sua sorella e gemella. Trent’anni passati dalla notte in cui quella fine aveva avuto inizio, nel porre le basi per quello scontro così a lungo posticipato, per tanto tempo rimandato. Una sfida, una battaglia, che molti altri avevano combattuto, indirettamente e più o meno volontariamente, in loro vece in quegli ultimi trent’anni e che, allora, non avrebbe più loro concesso alcuna possibilità di temporeggiamento, non avrebbe più loro concesso alcuna possibilità di posticipare l’ineluttabile.
Perché per quanto tragica e dolorosa avesse a doversi considerare quella loro faida, e la conclusione a cui, inesorabilmente, avrebbe condotto, nella morte di almeno una fra loro; anche la loro storia avrebbe dovuto raggiungere una conclusione. E quello, purtroppo per entrambe, avrebbe dovuto essere considerato il momento utile, l’occasione giusta per porre, in maniera definitiva, la parola fine a trenta lunghi anni di guerra fra loro. Una guerra il prezzo della quale, presto, avrebbero dovuto rendere conto innanzi agli dei tutti, e che, ciò non di meno, era stato sino ad allora pagato da tante, troppe persone. Su entrambi i fronti.
Erano stati necessari quasi trent’anni. E ciò non di meno, alla fine, nel centro della piccola isola di Rogautt, un tempo patria di pacifiche famiglie di pescatori, allora divenuta capitale e fulcro di un intero regno eretto sulla violenza e sul sangue, Midda e Nissa Bontor, sorelle e gemelle, erano alfine giunte al loro confronto definitivo, a una sfida, alfine, priva di qualunque sotterfugio, priva di qualunque inganno, e, soprattutto, priva di qualunque speranza di futuro. Perché se già, fugacemente, le loro armi avevano avuto trascorsa occasione di incrociarsi, in quel momento, in quel frangente, non soltanto loro, ma l’intero Creato attorno a loro, era consapevole di quanto, a seguito di quel combattimento, non vi sarebbe più stata altra occasione di sfida, altra possibilità di proseguo per la loro comune e tanto drammatica vicenda.
Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, Campionessa di Kriarya, Ucciditrice di Dei, ne era consapevole. Ne era stata consapevole sin dal momento in cui la Jol’Ange era salpata da Tranith per intraprendere il lungo viaggio che l’aveva condotta sino a lì, deviando di non poco in direzione di Licsia, sua terra natia, quell’isola alla quale non aveva più osato fare ritorno dall’inizio di quegli eventi e nella quale, ciò non di meno, aveva avuto occasione di ritrovare un padre temuto qual perso e, con esso, una possibilità di riconciliazione con una famiglia creduta irrimediabilmente a lei avversa. Ne era stata consapevole, in verità, ancor da prima, e sin dal momento in cui la Portatrice di Luce, l’y’shalfica fenice, qual nella sua mente si ostinava a chiamarla a dispetto della sua infinita essenza che ad alcuna nazione avrebbe mai potuto vederla associata, l’aveva reclutata per quella missione, chiedendole di voler concludere ciò a cui ella aveva dato inconsapevolmente inizio nel giorno in cui aveva restituito libertà alla regina Anmel Mal Toise e, con lei, all’Oscura Mietitrice, poetica, e purtroppo anche pratica, metafora di ciò a cui, con non maggiore coscienza, aveva dato origine nell’abbandonare la propria gemella, a cui tali, terribili figure avevo avuto modo di ricongiungersi, rendendo praticamente ineluttabile quel confronto, quella sfida, che ormai aveva trasceso i limiti di una faida famigliare per divenire, terribilmente, un evento focale per il destino non soltanto di quell’angolo di Creato ma, ancor peggio, dell’intero mondo conosciuto.
Nissa Bontor, sovrana di Rogautt, signora dei pirati dei mari del sud, incarnazione della regina Anmel Mal Toise e dell’Oscura Mietitrice, ne era consapevole. Ne era stata consapevole sin dal momento in cui tutte le forze di cui entrambe avrebbero potuto offrir vanto si erano schierate in campo, in una battaglia che, in ciò, non avrebbe mai potuto negarsi un sapore tragicamente epico, degno di molte canzoni udite quando entrambe erano ancora bambine, e che, sebbene non l’avessero mai trovata particolarmente interessata, avevano sempre entusiasmato la propria gemella, ritrovandola in tal sentimento coinvolta unicamente per l’amore che a lei la legava. Un amore straordinario, un amore puro e illimitato, come solo avrebbe saputo essere quello di un bambino, che si era tramutato, per effetto di quel tradimento, di quel lontano e mai dimenticato triplice spergiuro, in un odio altrettanto straordinario, altrettanto puro e illimitato, a soddisfare il quale tutta la sua intera esistenza era stata votata, spingendola a compiere azioni per le quali avrebbe probabilmente dovuto provare disgusto, e che pur, alfine, le avevano concesso la possibilità di ottenere vendetta, rovinando la vita della propria gemella nella stessa misura in cui ella era stata in grado di rovinare la sua, spingendola in maniera tanto innocente, quanto crudele, in quell’abisso senza fine, in quelle tenebre dalle quali, proprio malgrado, non avrebbe mai potuto sperare di riemergere e in nome delle quali, ormai, era pronta a distruggere, ove necessario, l’intero Creato, al solo scopo di poterlo successivamente erigere nuovamente a propria immagine e somiglianza, qual un mondo perfetto.
Al di là di ogni facile interpretazione, tuttavia, nulla in quel contesto avrebbe potuto vantare l’eco di una qualche vicenda epica di antiche battaglie, dal momento in cui, malgrado tutto, non una sola fra le due parti in causa avrebbe potuto realmente essere identificata qual vittima dell’altra. Perché laddove Nissa Bontor aveva ucciso e fatto uccidere; anche Midda Bontor aveva ucciso e fatto uccidere. Laddove Midda Bontor aveva tradito e mentito; anche Nissa Bontor aveva tradito e mentito. E, ancora, ove Nissa Bontor era pronta a mettere in giuoco il destino dell’umanità in quella sfida personale; anche Midda Bontor era pronta a mettere in giuoco il destino dell’umanità in quella sfida personale.
In ciò, in una situazione di apparente e assoluto equilibrio fra due antagoniste fra loro non soltanto identiche ma, anche, contraddistinte da identiche colpe e responsabilità, soltanto una consapevolezza avrebbe potuto offrire agli alleati della Figlia di Marr’Mahew la coscienza di essersi schierati sul fronte che, nella terrificante semplificazione che qualunque canzone avrebbe potuto produrre di quegli eventi, sarebbe stato indicato qual quello degli eroi: la certezza che, quanto compiuto in quegli ultimi trent’anni da parte di Nissa Bontor era stato solo e unicamente votato alla distruzione della propria gemella; nel mentre in cui ogni sforzo di Midda Bontor era stato solo e unicamente votato alla propria autodeterminazione, alla definizione della propria identità, in quella ricerca di uno scopo, di una ragione, che avrebbe dovuto essere propria di qualunque essere mortale.
Ma, al di là di qualunque fantasia volta a reinterpretare l’orrore di quella guerra e di quel momento, quanto allora in corso non avrebbe potuto, purtroppo, essere facilmente ricondotto alle dinamiche di una qualunque ballata o canzone. Non, quantomeno, nell’incertezza della sua conclusione, dell’epilogo a cui quegli eventi avrebbero potuto condurre.
Perché allora più che mai in passato, la vittoria di colei che era stata indicata qual progenie della dea della guerra, la vittoria di colei che era stata eletta ed acclamata qual signora e campionessa della città del peccato del regno di Kofreya, la vittoria di colei che era stata in grado, addirittura, di abbattere un dio, seppur minore; non avrebbe dovuto essere considerata così certa. Né, tantomeno, era lì considerata certa da parte della medesima, intimamente pronta a incontrare la propria prediletta dea Thyres, nella speranza, quantomeno, di non essersi sbagliata nel merito della sua esistenza.
« Così si risolve tutto, sorella?! » domandò la regina dei pirati, liberando il proprio tridente dall’ascia di lei soltanto per porre un paio di passi di distanza fra loro, prima di assumere una postura di guardia, nel non voler in alcun modo sottovalutare il pericolo da lei rappresentato « Un ultimo combattimento fra noi, per lasciare che siano le nostre azioni a definire chi fra noi abbia a considerarsi degna di sopravvivere e chi no…?! »
« Non è ciò che hai sempre voluto? Mi hai aggredita il primo giorno che sono ritornata a Licsia, desiderando sfregiarmi a mani nude… e da allora non hai mai rinunciato a questo tuo scopo, neppure quando se riuscita, effettivamente, a squarciarmi metà viso con la tua lama. » rievocò la mercenaria, non indietreggiando rispetto alla posizione lì raggiunta e, ciò non di meno, cercando di assumere una postura di guardia, per quanto nell’assenza di una seconda mano a cui offrire riferimento, maneggiare un’arma impegnativa quanto un’ascia da battaglia non avrebbe reso semplice tale scopo « Che tutto si concluda come è iniziato, quindi: tu e io… fino alla fine. »
domenica 4 agosto 2013
2022
Avventura
041 - Addio... Midda Bontor
« C’è stato un tempo in cui ho apprezzato la tua capacità, madre, a reinterpretare la realtà secondo i tuoi interessi, in accordo con i tuoi desideri e i tuoi piani… » le riconobbe il semidio, nel corpo dello shar’tiagho, non trascurando nel mentre di tale asserzione di prestare cura alla propria incolumità, in uno sforzo non banale e non scontato, almeno dal suo punto di vista, così come a quella dei propri compagni di ventura, in un impegno non maggiormente naturale rispetto all’altro « Quella stessa capacità che ti permette ora di credere veramente che possa essere tuo viscerale desio quello di distruggere questa donna, ignorando quanto la realtà dei fatti sia all’antitesi di una simile interpretazione. »
« Perché, al contrario di quanto tu sembri tanto ansiosa di voler dimostrare, a te stessa e al mondo intero, non ha da essere riconosciuta quale tua prerogativa la sua distruzione ma viceversa: in ella, infatti, è proprio tutto ciò che può essere in grado di porre fine a ogni tua ambizione, a ogni tuo piano di dominio, su questo e su ogni altro mondo. E tutti lo sappiamo. » riprese e subito puntualizzò, correggendo il senso della frase da lei appena pronunciata e, in ciò, la sua interpretazione, prima che le fosse concessa una qualche altra occasione di intervento a tal riguardo « Lo so io. Lo sai tu. E lo sa bene persino quel vecchio uccello di fuoco, che a questo scontro ha indirizzato i passi di questa donna che solo per un semplice scherzo del destino, della sorte, nonché per la propria ostinazione, è divenuta mia moglie. Forse la mia ultima moglie. Un cammino, il suo, che non può neppure essere più considerato qual un futuro, nell’essere ormai divenuto presente. Un cammino, ancora, che presto sarà un mero ricordo passato, del tutto privo di valore. Così come ogni tuo sforzo per tentare di negarlo… »
Una dichiarazione, quella che Desmair volle rendere propria, che nel confronto con un testimone superficiale, uno spettatore poco attento a quegli eventi e ai loro sviluppi, avrebbe potuto apparire quale una facile provocazione, un intento retorico nei suoi riguardi, senza la benché minima speranza di successo, senza la più elementare possibilità di presa sulle emozioni di una madre a lui del tutto avversa, da sempre e per sempre, non per una qualche, effettiva, ragione, ma forse, e solamente, per un semplice, e del tutto immotivato, disinteresse alla sua esistenza, nel non averlo mai riconosciuto qual nulla di più di un danno collaterale nel percorso che le aveva permesso di arrivare al potere di cui allora faceva sfoggio, nel legarsi in maniera estremamente intima, carnale addirittura, all’essenza di un dio, per quanto minore, e ormai defunto, quale era stato il dio Kah. Una dichiarazione, ciò non di meno, che egli non osò neppure per un istante supporre qual gratuita o retorica, ma che studiò attentamente, persino nei propri semplici tempi, nella propria mera cadenza, al fine di potersi considerare certo di ottenere il massimo effetto nei confronti proprio di quella donna, sua madre, che, primo fra tutti, avrebbe potuto vantare di conoscere, e di conoscere alla perfezione: tanto, per lo meno, dal potersi dire certo che ella non avrebbe potuto tollerare delle accuse rivolte a un illusorio fraintendimento, a una fraudolenta distorsione, della realtà, né, tantomeno, a una consapevolezza in tal senso condivisa addirittura e in accettabilmente tanto con lui, quanto e peggio con la fenice, la Portatrice di Luce, che, in sé, incarnava da sempre il principio opposto a quello dell’Oscura Mietitrice.
Così, a dispetto dell’eventuale aspettativa dei meno attenti, Nissa Bontor non si riservò alcuna reazione di moderato sdegno nei suoi confronti, preferendo, al contrario, esplodere violentemente in sua replica, in sua risposta, lasciandosi trascinare, per lui in maniera tutt’altro che inattesa, dalle proprie emozioni, e da tutta la propria mai perduta umanità. Quella stessa umanità che, tuttavia, allora avrebbe potuto costarle una vittoria in principio a dir poco implicita e, nonostante tutto, ormai, ben lontana dal potersi considerare non soltanto ovvia ma, forse e addirittura, realmente possibile.
« Figlio ingrato. Cane maledetto capace soltanto di mordere la mano di colei che ti ha messo al mondo e ti ha nutrito. Ignobile creatura, indegna della vita che ti è stata donata e pur, a essa, così fermamente aggrappato da esserti spinto, addirittura, a questa ridicola pantomima, nel ricercare rifugio nel corpo dell’uomo amato da colei che chiami moglie e che come marito, chiaramente, non ti ha mai onorato. » scandì, furente, nel ripiegare nuovamente il proprio scettro, il proprio tridente, in una posizione parallela al suolo e, nel compiere ciò, indirizzandone la punta verso il proprio diretto interlocutore, allora completamente dimentica della stessa donna guerriero di cui pur stava ancora parlando, a cui pur stava ancora offrendo riferimento, per concentrare il proprio interesse, la propria attenzione e la propria furia in direzione di quel nuovo obiettivo, un obiettivo che, nelle sue intenzioni, sarebbe rimasto tale ancora per poco « Il sangue di tuo padre ti ha sempre protetto dalla violenza dei nostri attacchi. E benché noi abbiamo tentato in ogni modo di ucciderti, ancora appena nato, ogni nostro espediente si è rivelato totalmente inutile, terribilmente vano! » rievocò, a dimostrazione di quanto mai, in lei… in Anmel, quantomeno, non vi fosse mai stato alcun pur vago sentimento di amore materno nei suoi confronti, non fosse mai stata vittima di un qualche legame emotivo nei riguardi di colui che pur, oggettivamente, era suoi figlio, un figlio da lei non soltanto inizialmente desiderato ma, anche e addirittura, ostinatamente cercato.
« Tuttavia, ora, quel sangue non ti protegge più. La tua immortalità è stata revocata per mano di colui alla quale avresti dovuto rivolgere tutta la tua gratitudine per essa. » continuò, mentre una nuova, incredibile carica di energia nera si iniziò ad accumulare sulla triplice estremità della sua arma, preludio di un attacco che, allora, sarebbe stato completamente dedicato al figlio ormai disconosciuto, ripudiato, per quanto impossibile sarebbe stato per una madre negare il proprio ruolo nel suo concepimento « E per nostra mano, ora, anche l’ultimo barlume di vita a cui ancora ti stai ostinando a stringere in maniera indegna del tuo nome e del tuo retaggio, ti sarà sottratto. Perché il tuo nuovo corpo, figlio, non tornerà integro dopo che l’avremo cancellato dal’’esistenza stessa! » concluse, confermando in quelle parole quanto già reso sufficientemente palese dai suoi gesti e, ancora, quella propria condanna a morte che già aveva formulato un anno prima, il giorno in cui aveva richiesto al proprio divino amante di liberarsi definitivamente di quell’inutile fardello, di quell’osceno ingombro che in misura inaccettabile stava riuscendo a interferire con i suoi piani, con le sue ambizioni, malgrado l’esilio impostogli al di là della medesima realtà.
E se, probabilmente, quell’aggressione, quell’offensiva, sarebbe stata in grado di compiere quanto promesso, nell’eliminarlo in termini radicali dal regno dei vivi al quale neppure l’intervento del dio Kah era stato in grado di separarlo, nell’annichilire, senza alcun particolare impegno, il corpo mortale di Be’Sihl, ultimo ed estremo suo rifugio; tale occasione non le venne mai concessa, non le venne mai garantita, nel disperdersi di tanta energia distruttiva, di tanta dirompente forza assassina, non in contrasto a quelle membra mortali, quanto e piuttosto verso il nulla sopra di loro, verso il vuoto cielo imperante sopra le loro teste, là dove, per quanto letale, quel raggio di morte non sarebbe mai stato in grado di pretendere alcuna vita, di richiedere alcun sacrificio, né umano, né non.
Un cambio repentino di obiettivo e di traiettoria, che non ebbe a dover individuare propria ragione in un estremo mutamento d’opinione o di iniziativa da parte della stessa sovrana di Rogautt, altresì allora e ancora convinta, con tutta la propria volontà, a spazzare irrimediabilmente quell’essere dal Creato; ma che ebbe a essere straordinariamente giustificato dall’intervento di colei che, in tutto ciò, era stata imprudentemente posta in secondo piano, era stata estemporaneamente accantonata, qual priva di importanza o di valore, salvo, tuttavia, non essere né l’una, né l’altra, né desiderando potersi vedere additata qual tale. E di ciò, ella, Midda Bontor, non mancò di riservarsi occasione di precisazione, di puntualizzazione, nel desiderio, forse infantile o forse soltanto umano, di aggiungere al danno, da lei in tal modo già subito, anche la beffa, e la beffa derivante dalla consapevolezza di quanto ciò fosse accaduto soltanto per propria indiretta responsabilità, laddove se solo non si fosse concessa di distrarsi, non le avrebbe garantito una simile, straordinariamente propizia, opportunità…
« Errore da principiante, sorella cara! » sorrise, seppur in maniera estremamente tesa, nel mostrarsi lì, inaspettatamente, con la propria ascia di battaglia puntellata al di sotto del tridente della controparte, a spingerne la punta verso l’alto, così come, un solo istante prima, aveva permesso a Be’Sihl, e indirettamente anche a Desmair, di sopravvivere « E, giusto per non trascurare nulla… giù le mani dal mio uomo! Questa volta, per davvero! »
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