11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 12 gennaio 2010

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L
e camere della locanda riservate alla straordinaria figura nota come Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, non avrebbero potuto essere giudicate, dallo sguardo di un nobile, di un ricco signore, quali particolarmente lussuose, capaci di ostentare opulenza, per quanto, in verità, nel confronto con la media cittadina, esse avrebbero comunque dovuto essere giudicate persino eccessive nella propria offerta. Se, infatti, il minimo indispensabile, e il massimo abitualmente proposto, all’interno di una stanza propria di un simile contesto avrebbe dovuto essere considerato, al più, uno stretto e scomodo letto, giudicabile qual più che sufficiente a far riposare le proprie membra quando necessario, nello spazio che ella aveva imparato a considerare quale propria casa, dimora personale alla quale poter far sempre ritorno in conclusione a ogni proprio viaggio, a ogni propria impresa, la donna avrebbe potuto ritrovare, a lei offerta, una tutt’altro che modesta presenza di annessi, accessori, corredi, impossibili da non gradire, da non apprezzare, e tali da impreziosire oltremodo quella sua particolare proprietà.
Innanzitutto, in fondamentale contrasto alla consuetudine vigente non solo all’interno di quell’edificio, ma anche di tutte le strutture similari in città, duplice sarebbe dovuta essere considerata l’offerta riservata alla donna guerriero, dal momento in cui due sarebbero dovuti essere conteggiati gli spazi lì preposti a suo uso privato, a suo personale diletto, di dimensioni contenute, certamente, ma comunque tali da poter essere impiegati per la realizzazione alternativa di almeno due diversi alloggi minori. In conseguenza di ciò, indubbiamente, quella che avrebbe potuta essere considerata quasi una proprietà privata della donna guerriero, a lei in tutto e per tutto dedicata, avrebbe dovuto essere giudicata quale una rara e costosa eccezione alla regola generale, a quella pur considerabile quale abitudine all’interno della capitale così come in tutto il regno. Un’eccezione, quella, che pur, personalmente, il suo fruitore non avrebbe potuto sgradire, non avrebbe potuto evitare di apprezzare, con sincero trasporto, addirittura con passione, là dove lo spazio aggiunto, solitamente ovviato, sarebbe dovuto essere identificato quale quello proprio di una stanza da bagno privata, con una vasca, una tinozza in legno, la quale mai il buon Be’Sihl avrebbe scordato di riempire di acqua calda, per soddisfare le esigenze della propria migliore cliente e amica, e alla quale mai ella stessa avrebbe mancato di ricorrere con estrema gioia soprattutto in occasione di ogni ritorno dalle più impervie missioni, dalle più improbabili imprese che ogni angolo del suo corpo, della sua pur candida pelle, puntualmente, avrebbero ricoperto di un lurido retaggio, al punto tale da renderne difficilmente intuibile l’esatta tonalità, l’effettivo candore.
L’area confinante a tale stanza da bagno, poi, ad essa quasi doppia in ampiezza, avrebbe dovuto essere riconosciuta quale la camera da letto vera e propria, all’interno della quale, in aggiunta alla ricchezza pur già definita dalla prima, altre gradevoli esclusive avevano da sempre permesso di riconoscere alla loro proprietaria un piacevole soggiorno, nonché la possibilità di considerare quella non semplicemente quale la stanza di una locanda, quanto, piuttosto, una vera e propria abitazione. Così, accanto all’immancabile profferta rappresentata da un giaciglio, non eccessivo nelle proprie proporzioni sebbene, anche in un passato tutt’altro che remoto, fosse riuscito a concedere ospitalità non solo alla mercenaria ma anche a suoi eventuali ospiti, figure protette lì soggiornanti insieme a lei, sarebbero dovuti essere considerati alcuni mobili, tutt’altro che indispensabili, tutt’altro che ovvi, e pur parte integrante di quell’ambiente, di quel particolare contesto. Tre, in particolare, erano state le presenze principali lì concesse agli sguardi di eventuali visitatori: una cassapanca, chiusa con un robusto lucchetto di cui solo la mercenaria aveva la chiave e all’interno della quale avrebbe potuto conservare i propri beni; un armadio, atto a ospitare il suo pur non limitato vestiario per quanto ella fosse solita indossare sempre i soliti abiti, rinunciando alla vanità in favore della praticità; e, soprattutto, uno scrittorio, vero e proprio simbolo di ricchezza, nonché espressione chiara, intellegibile, di una propensione propria della donna alla lettura e, ancor più, alla scrittura, qualità tutt’altro che diffusa in quelle terre, capacità tutt’altro che comune nella maggior parte degli uomini e donne non solo all’interno di Kriarya, città del peccato, ma di tutto il regno di Kofreya e dei confinanti Tranith, Y’Shalf e Gorthia, se non, probabilmente, dell’intero continente di Qahr.
Di tutto quello, di tutto ciò che un tempo era stato pur un ambiente caro nel cuore di Midda e, in conseguenza, anche del suo anfitrione, Be’Sihl Ahvn-Qa, ormai, purtroppo, non restavano altro che resti carbonizzati, legno bruciato fin nel proprio midollo, consumato nella propria integrità, non diversamente dalla fine, indegna, che pur aveva coinvolto la stessa mercenaria, colei che tanto, in tutta la propria vita, si era impegnata al fine di dimostrare quanto anche un comune mortale, una semplice donna, avrebbe potuto imporre la propria volontà sul fato, sugli dei tutti, se solo avesse avuto la forza d’animo necessaria per sostenere simile prova.
E proprio quella simile, tragica e tremenda, conclusione, lo stesso locandiere non aveva ancora trovato animo, cuore, di accettare, di considerare effettivamente occorsa…

« Stupida… stupida testarda… »

Per quanto, con la propria professione, egli avesse voluto riservarsi una possibilità di vita alternativa a quella propria degli uomini d’arme, avventurieri, militari di professione o semplici soldati mercenari, non avrebbe mai potuto considerarsi tanto ingenuo, superficiale, da non aver mai previsto, ipotizzato, l’eventualità rappresentata dalla morte di Midda Bontor.
Quale donna guerriero e, ancor più, mercenaria, che del superamento continuo di nuovi limiti, di interdizione quasi divine, era praticamente diventata, se non da sempre stata, dipendente, necessitando in maniera costante, continua, irrefrenabile della sensazione inebriante derivante dall’adrenalina all’interno del proprio sangue, impossibile sarebbe stato escludere l’eventualità della sua prematura scomparsa, in un mondo ove, del resto, già i tre decenni di vita che ella, suo pari, era riuscita ad accumulare sulle proprie spalle, avrebbero dovuto essere considerati un traguardo straordinario, incredibile, drammaticamente proibito ai più. Ciò nonostante, dal non escludere l’eventualità di quella scomparsa, all’essere in grado di affrontarla, assurdo, incredibile, sarebbe dovuto essere considerato il divario esistente, abisso con il quale, suo malgrado, Be’Sihl si era, ora, ritrovato a obbligato confronto.

« Non avresti potuto vivere la tua vita come chiunque altro?! Non avresti potuto accettare di rinunciare a questo assurdo e continuo azzardo con il destino, per godere di quanto già ti era stato concesso di avere?! »

A rendere ancor più difficile da accettare, e da gestire, quel lutto, nel cuore dell’uomo, sarebbe dovuto essere considerato, suo malgrado, proprio il contesto, l’ambiente, in cui esso aveva avuto occasione di occorrere, in cui quel brutale assassinio era stato consumato. Non una terra estranea, nemica, lontana e inospitale, così come avrebbe dovuto essere considerato il regno di Y’Shalf, entro il quale ella si era sospinta in tempi recenti; non una cripta oscura, dimenticata dal mondo e posta a custodia di poteri blasfemi, quale quella nella quale ella aveva ricercato la corona della regina Anmel; non una qualche arena, inneggiante alla morte ancor prima che alla vita, esaltante la guerra qual valore universale, così come quella della città di Garl’Ohr all’interno della quale ella aveva conquistato una gloria semidivina; non una landa desolata dalla quale alcuno aveva fatto ritorno, quale la palude di Grykoo, territorio maledetto, dominio incontrastato di legioni di non morti, in contrasto ai quali solo ella si era riservata occasione di sopravvivere fra tutti coloro che, prima di lei, avevano osato spingersi in una simile direzione: Midda Bontor, che tanto con la morte aveva da sempre impavidamente danzato, era stata uccisa nella quiete del sonno in quello che sarebbe dovuto essere considerato, per lei, quale luogo di pace, di ristoro, di protezione.
Una pace, un ristoro, una protezione dell’assenza dei quali, ora, era il suo cuore e il suo animo a rimproverarsi, a tormentarsi.

« Perché qui? Perché ora? »

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