11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 23 marzo 2011

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« A
quanto pare non sapete proprio comprendere il senso di un rifiuto… » storse le labbra la donna, ancora ironizzando con i propri interlocutori, sebbene questi non potessero apprezzarne gli sforzi in tal senso « Se continuerete a mostrarvi tanto insistenti, l'unico risultato che potrete ottenere è quello di restare soli: ve ne rendete conto?! »

Nel confronto diretto con tale genere di avversari, a nulla sarebbero ovviamente potute servire quelle o altre parole e, a simile riguardo, la donna guerriero non si riservò, né suppose di riservarsi, alcuna possibile illusione: per lei, il continuare a rivolgersi in maniera similmente quieta, tranquilla, consueta a creature del tutto prive d'ogni umanità, e la cui semplice esistenza sembrava prossima a un'offesa stessa al Creato, era e continuava a essere banalmente un mezzo utile a concedersi, psicologicamente, l'illusione di aver a che fare con antagonisti di natura più consueta e, in ciò, mortali e battibili e non, piuttosto, apparentemente immortali e irrefrenabili qual pur essi sembravano essere. Necessariamente, però, ove quella stessa, intima menzogna avrebbe potuto avere ragione d'esistere unicamente nel garantirle occasione di sopravvivenza, mantenendo il controllo, in primo luogo, sul proprio stesso intelletto e, in conseguenza, sul proprio corpo, protrarre in maniera indiscriminata, e fine a se stessa, tale giuoco avrebbe potuto condurla a un risultato del tutto antitetico, qual, solo, sarebbe potuto essere riconosciuto quello di farle sprecare eccessivo tempo, ed energie, in una battaglia che, allo stato attuale, mai avrebbe potuto né concludere, né vincere. Così, come già compiuto innanzi alla legione, la donna guerriero si volle esprimere in favore della soluzione forse meno eroica, e tuttavia indubbiamente più pragmatica, volta non al mantenimento del conflitto sino all'ultimo barlume di vita, quanto, piuttosto, alla ritirata dal medesimo quand'ancora in grado di procedere in tal senso, all'evasione da quel vano confronto in favore del solo scontro degno di poter essere vissuto.
All'ennesimo tentativo, per una pesante ascia bipenne, di spiccare il suo capo dal corrispettivo collo, ella, pertanto, intervenne con la propria destra, questa volta non semplicemente animata dalla volontà di arginare tale offensiva, di parare tale colpo, quant'anche, e preferibilmente, di privare il proprio avversario della rispettiva arma, facendola propria e, subitaneamente, impegnandola in un ampio e vorticoso giro attorno al proprio intero corpo, a spazzare le ossa attorno a sé sospintesi e a ricavarsi, fra esse, una via di fuga allora negatale. E, sebbene la sua arma per eccellenza, da anni, lustri interi, decenni addirittura, avesse da considerarsi la spada, la Figlia di Marr'Mahew seppe dimostrarsi degna del proprio soprannome anche nel giostrare con la diversa mole, e l'incompatibile forma, di quella nuova risorsa, rendendo virtù la necessità purtroppo derivante dall'assenza della propria consueta compagna, dell'abitudinale complice delle sue gesta che, dopo molte, incredibili avventure, sembrava ora essersi drammaticamente perduta. In un moto praticamente perfetto, una doppia circonferenza avente quale proprio centro la figura stessa della donna guerriero, il metallo di quell'arma resa maledetta dai propri, altrettanto maledetti proprietari, infranse senza esitazione alcuna, senza occasione di minimale incertezza, quelle grottesche e parodianti immagini un tempo umane, spargendone le parti per l'intera area a sé circostante e, addirittura, proiettandone alcune fin oltre il bordo del tetto sul quale stavano combattendo, tanta fu la foga propria di quell'atto puntualmente ponderato e destinato a garantirle, al di là di qualunque rapidità intrinseca in quella negromanzia per concedere loro occasione di nuova coesione, tempo sufficiente a essere già lontana al loro ritorno.

« Comprendo come possiate sentirvi a pezzi per il mio rifiuto… » commentò ella, sospirando « … ma non fatene un dramma: sono certa che, entro breve, troverete nuovamente una qualche ragione di vita. » soggiunse, suo malgrado consapevole di quanto quelle parole non avessero da considerarsi gratuite quanto, piuttosto e spiacevolmente, facile profezia.

Scartando, allora, l'ascia appena conquistata, suo malgrado giudicata eccessivamente scomoda e pesante per essere, per lei, risorsa utile nella corsa che l'avrebbe nuovamente attesa, e, ancora, ignorando la comunque lì presente variegata offerta di spade e lame, fra le quali, era certa, non avrebbe trovato alcuna degna di sostituire la propria, fosse anche, solo e semplicemente, per la lega con la quale la propria era stata forgiata, frutto dell'incommensurabile abilità di un fabbro figlio del mare, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio non si riservò alcuna ulteriore possibilità di freno, di esitazione, proiettando il proprio corpo in avanti, oltre i resti disordinati dei propri avversari, e riprendendo, in ciò, il cammino estemporaneamente interrotto in conseguenza dell'imboscata subita da tali scheletri.
Membra allenate, muscoli atletici e vigorosi, apparentemente instancabili, furono quelli che vennero, in tal modo, posti nuovamente in movimento, scandendo nel loro moto meravigliosamente sincronizzato, coordinato, un ritmo soavemente armonico, addirittura sinfonico, quasi ella non stesse lì impegnandosi in una corsa, e, subito dopo, in un balzo, quanto, piuttosto, nel generare musica con il proprio stesso corpo, trasformato, per l'occasione, in uno zither o in una lira. Tale, indubbiamente, ineccepibilmente, avrebbe dovuto essere riconosciuta la sensualità, il fascino di quella donna, in opposizione all'estetica della quale il fato, in complicità con le sue personali scelte di vita, era stato meno generoso che con molte altre, e più incantevoli, fanciulle e donne, e che pur, in grazia a una quasi assoluta perfezione tanto faticosamente conquistata, nell'essersi forgiata in lunghi anni di costanza, di tenacia e, soprattutto, di audacia, in continue ed estenuanti lotte contro ogni periglio, avrebbe potuto non solo competere, ma anche vincere, qualsiasi confronto con più classiche immagini di femminile beltade. Cuore, respiro, addome, cosce e spalle, gambe e braccia, piedi e mani: tutto venne lì controllato dalla sua mente, senza concreto sforzo tanto ciò avrebbe dovuto essere riconosciuto quale normalità per lei, allo scopo di farla correre, arrampicare, saltare, e ancora rotolare e nuovamente correre lungo le forme sempre irregolari, mai costanti, di quei tetti, in un percorso per lei quasi di allenamento che venne affrontato con quieta tranquillità di notte come di giorno, con le fredde tenebre come con la calda luce del sole, non ritrovandola mai esitante sul punto verso il quale sospingere il proprio intero essere e le proprie singole estremità, quasi ella fosse stata plasmata dagli dei al solo fine di offrire una tanto emozionante dimostrazione di agilità, di dinamismo, di assoluto dominio su sé e sull'intero Creato a sé circostante.
In tanta armonia, eleganza, perfezione, a nulla mai poterono gli scheletri che tentarono di essere per lei ragione di ostacolo, occasione di impedimento nel cammino in direzione della torre di lord Brote, venendo ogni qual volta evitati o, se necessario, rapidamente affrontati, in un'incredibile serie di estemporanee battaglie che mai videro la loro assoluta protagonista ricercare occasione di concreto e assoluto trionfo, ove riconosciuto quale impossibile, ma, più semplicemente, desiderosa di proseguire oltre, di non lasciarsi rallentare, ostacolare da tutto quello e, in ciò, di giungere al proprio traguardo prima del sorgere di un nuovo sole, prima del ritorno della luce su Kofreya e su Kriarya, nell'urgenza, nell'intima necessità, di offrire, al più presto, possibilità di pace, ed eterno riposo, alla propria cara amica, a colei che, purtroppo, non era riuscita a difendere, per quanto, a tutelare la libertà e il futuro della medesima, era già stata pronta, in passato, a porre in dubbio quegli eguali valori per se stessa, accettando un blasfemo matrimonio con un osceno sposo che, per quanto distante, già si era più volte impegnato a tentare di rovinarle la vita.

« E, lo giuro, se anche questa volta scoprirò, quale colpevole di questa assurda follia, il mio tanto amorevole, e amato, Desmair, nulla potrà impedirmi di fare ritorno alla sua dimora per regolare, definitivamente, i termini della mia vedovanza… » commentò fra sé e sé, la Figlia di Marr'Mahew, ancora e sempre ricercando, nell'incubo calato sull'intera città del peccato una qualsivoglia spiegazione, una pur minima ragione utile a comprendere il perché di quanto accaduto, secondo le dinamiche lì occorse.

Era davvero possibile, però, che Desmair, o, più precisamente, un suo emissario, dovesse essere considerato responsabile per quell'orrido delitto? Era davvero possibile che egli avesse agito in contrasto al giuramento estortogli prima delle loro stesse nozze, malgrado, per lunghi mesi non avesse preso alcuna iniziativa in tal senso? E, se non lui, chi altri avrebbe mai potuto avere movente, e, soprattutto, occasione, per compiere una tanto violenta azione servendosi del suo volto?...

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