11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 24 luglio 2017

RM 204


« Sono ancora indecisa se odiare di più te o me stessa, Ahvn-Qa. » aveva sussurrato in un alito di voce sfuggito fra labbra dischiuse in un sorriso di falsa serenità nel porsi al suo fianco, ad accogliere gli ospiti del “Kriarya” in quella nuova sera di lavoro.
« Bontor… smettila. » le aveva richiesto egli, avvicinandosi al suo orecchio con le proprie labbra, per non essere udito da alcuno, e offrendo esternamente l’impressione di voler condividere qualche commento particolarmente piccante con la splendida donna accanto a sé « Sei una donna meravigliosa. E questo abito ti sta d’incanto… oltre a essere sicuramente più adatto al “Kriarya” rispetto agli stracci che sei solita indossare con tanta caparbietà. »

Parole d’incoraggiamento, quelle dell’uomo, che nulla tuttavia avrebbero potuto togliere all’imbarazzo della sua interlocutrice nel decidere chi odiare di più fra il medesimo e se stessa: il primo, Be’Sihl, per essere stato in grado, malgrado tutto, di convincerla a mettersi tanto in ghingheri in quella che, in fondo, avrebbe potuto essere l’ultima notte della propria vita; la seconda, se stessa, per aver ceduto in maniera tanto banale, complice, sicuramente, la sua vanità femminile, laddove, per una volta, per quella che forse avrebbe anche potuto essere la propria ultima volta, non le sarebbe potuta obiettivamente dispiacere l’idea di sentirsi migliore di quanto, al di là di tutto, non avrebbe potuto dirsi consapevole di essere abitualmente, con i propri consueti abiti. Dopotutto, per lei, sarebbe stato sufficiente volgere lo sguardo a qualunque immagine raffigurante la propria amata gemella Nissa per avere una riprova di quanto, nonostante tutto, un certo genere di abbigliamento più sofisticato rispetto al proprio avrebbe comunque potuto donarle, avrebbe potuto comunque non sfigurare anche addosso a lei: e proprio in tale fallimentare confronto, ella non avrebbe mai potuto ovviare a desiderare di vivere la propria personale fiaba di Cenerentola, scoprendo, al di sotto della fuliggine che abitualmente la manteneva celata, l’immagine di una splendida principessa.
Un desiderio per il quale alcuno le avrebbe imputato colpa e per il quale, tuttavia, ella non avrebbe potuto ovviare a imporsi colpa, in virtù di una mentalità forzatamente antisociale, una linea di pensiero che di certo avrebbe avuto un suo senso in un’altra epoca e che, tuttavia, nei tempi moderni, avrebbe potuto giudicare anche ella stessa, priva di un reale perché, giacché, ormai, persino l’anticonformismo avrebbe avuto a dover essere giudicato qual fermamente regolamentato in termini non meno severi, non meno rigorosi rispetto a qualunque conformismo, snaturandone l’effettiva essenza e rendendolo semplicemente un diverso modo di potersi inquadrare in una qualche classe, in una qualche definizione. Sostanzialmente anarchica nel confronto di ogni regola impostale e, tuttavia, intimamente legata a un senso di legge come alternativa all’ineluttabile perdita d’ogni senso di civiltà, l’ex-detective non avrebbe potuto evitare di vivere un profondo conflitto interiore che, in un frangente sufficientemente stupido qual quello del proprio abbigliamento avrebbe potuto trovare comunque ragione di espressione: e così, benché felice di potersi sentire desiderabile e desiderata in quelle vesti, ella non avrebbe potuto odiarsi per quella stessa gioia, emozione della quale non avrebbe dovuto abbisognare.
E se, in tale conflitto interiore, ella non avrebbe potuto allor ovviare a rivolgere il proprio pensiero a sua sorella, la sua versione migliore, e a loro madre, la quale avrebbe sicuramente gongolato per il piacere di vedere anche la sua svergognata figlia degenere apparir improvvisamente decente nel proprio offrirsi al mondo; ineluttabilmente la donna dagli occhi color ghiaccio non avrebbe potuto che trasalire nel veder comparire sulla porta d’ingresso del “Kriarya” l’immagine della stessa Nissa, rivestita in un sublime lungo abito bianco con rifiniture dorate, nella parte superiore, sfumante in un più vivace rosso vermiglio dalla vita in giù: un’immagine imprevista e imprevedibile che, per un istante, ella aveva avuto a temere potesse essere frutto di un’allucinazione e che, ciò non di meno, un attimo dopo, aveva avuto a maturare devastante certezza non fosse tale, quanto e peggio, riprova della sua effettiva presenza fisica in quel luogo, nell’unico giorno in cui mai avrebbe dovuto farsi viva.

« Ma che diavolo…?! » aveva appena avuto il tempo di iniziare a sussurrare, prima di essere individuata dalla gemella, la quale, con passo spedito, si diresse immediatamente verso di lei, ornando il proprio già splendido volto con un amplio sorriso.
« Midda! » l’aveva salutata, ricercando in maniera naturale un abbraccio con lei, soprattutto ora che nessuna giustificazione in merito ad abiti sporchi avrebbe potuto ostacolarla « Sei stupenda… quasi non ti riconoscevo! » si era voluta congratulare, in termini che avevano avuto a risuonare assolutamente sinceri, qual sincera avrebbe avuto a essere considerata la sua ammirazione per lei « In effetti non ricordo neppure quando possa essere stata l’ultima volta che ti ho vista vestita in maniera tanto elegante… giusto al tuo matrimonio, probabilmente! » aveva ridacchiato, accogliendo quella serata con la massima serenità, la massima gioia, anche e soprattutto in conseguenza della sorella innanzi a sé, stretta fra le sue braccia.

E l’investigatrice privata, che pur non aveva neppure potuto supporre di sottrarsi a quell’abbraccio, eccessivamente spiazzata da tutto quello per poter elaborare un pensiero tanto complesso, si era ritrovata necessariamente vittima delle circostanze per qualche istante, prima di riuscire di nuovo a definirsi padrona di sé e, in ciò, di reagire e di reagire in termini adeguati…

« Nissa… » aveva commentato, in un filo di voce, nel separarsi dall’abbraccio della gemella « … tu che cosa ci fai qui? » le aveva chiesto, non trovando parole migliori rispetto a quelle per esprimere il proprio sgomento: non disappunto, come eventualmente avrebbe potuto essere in qualunque altra sera diversa da quella, ma sgomento, nella consapevolezza di quanto improbabile avrebbe potuto avere a considerarsi la sua presenza lì in maniera del tutto casuale.
« Cosa vuoi dire…? » aveva risposto l’altra, aggrottando la fronte nel non comprendere il senso di quella domanda, scuotendo appena il capo « Quando ho letto il tuo invito, quasi credevo fosse uno scherzo. Ma ora che ti vedo qui, sono davvero felice che tu abbia voluto scrivermi… »

Nessuna casualità, nessuna coincidenza: la lunga cicatrice sul suo volto avrebbe avuto a doversi considerare preposta anche a ricordarle tale importante verità.
Una verità che, a fronte dell’assurda presenza, in quella sera, in quel luogo, di sua sorella, della sua gemella, di metà del suo intero mondo, e, obiettivamente, della metà più bella del suo mondo; avrebbe assunto il valore di un terrificante monito, monito volto a ricordarle quanto, seppur sicuramente Desmair non avrebbe potuto permettersi di piazzare una bomba in quel locale, laddove i tempi moderni non glielo avrebbero perdonato, egli sarebbe comunque riuscito a distruggerla, e a distruggerla in maniera persino più dolorosa, senza bisogno di alcun esplosivo, nel limitarsi a colpirla là dove ella più avrebbe potuto soffrire.

« Devi andare via di qui… ora… » le aveva richiesto, quasi una supplica, nell’invocare un suo rapido allontanamento da quel luogo, senza spiegazioni, senza motivazioni, laddove non avrebbe potuto permettersi di perdere tempo per qualcosa del genere « Devi farla portare via di qui dai tuoi uomini… te ne prego! » si era poi rivolta a Be’Sihl, aggrappandosi, folle di terrore, alla sua giacca, stringendola con violenza nelle proprie mani « Ora! »

Ma il proprietario del “Kriarya”, che pur avrebbe potuto allor dirsi sufficientemente confidente con le reazioni emotive della propria interlocutrice da non equivocarne le effettive motivazioni, da non ritenerla una mera messa in scena per futili ragioni, non si era visto garantito neppur il tempo di reagire secondo quanto da lei supplicatogli, nel ritrovare la propria attenzione, così come quella delle due donne innanzi a lui, richiamata verso l’ingresso del locare, là dove un’altra figura aveva appena fatto, allora, la propria prevedibile apparizione…

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