Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
sabato 6 febbraio 2010
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Avventura
017 - Memento mori
Ignaro della consapevolezza divenuta propria della principessa Nass’Hya, e successivamente trasmessa inevitabilmente anche al proprio signore e sposo lord Brote, nonché di quella inaspettatamente maturata da parte di Carsa e di Be’Sihl, a seguito del confronto con il contenuto di quella cassapanca, il giovane scudiero della Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto riservarsi occasioni di gioia, di entusiasmo in quel frangente, gettatosi altrimenti furioso, sconvolto, ed estremamente imprudente, nel cuore della folla della città del peccato, per la seconda volta nell’arco della stessa giornata.
Poche ore, in verità, erano trascorse dal risveglio di Seem, dolce momento in cui egli si era felicemente ritrovato accanto all’amata Arasha, immerso fra le sue calde braccia, non potendo evitare di gettare il proprio sguardo sul mondo intero con entusiasmo, con gioia, felice della propria vita e di tutto ciò che sembrava caratterizzarla, là dove ogni traguardo prefisso, dopotutto, sembrava essere stato raggiunto, sembrava essere stato conquistato, donandogli in questo una pienezza invidiabile, bramata da molti ma concretamente ottenuta da pochi. A proprio vantaggio in tal senso, in simile ricerca di completezza, certamente, egli avrebbe potuto addurre un’ambizione lungi dall’esser sfrenata o priva di confini, uno spirito lontano dal potersi considerare costantemente insoddisfatto, al pari della maggior parte dei membri della razza umana, compreso forse anche il suo ex-cavaliere, la stessa Midda Bontor, e in questo capace non desideroso, perennemente, di nuove sfide, di nuovi traguardi da raggiungere e violare, riservandosi altresì l’opportunità non banale, non scontata, di poter osservare, di poter valutare in maniera corretta, l’enorme tesoro già posseduto, il vero valore di tutto ciò già presente nella propria stessa esistenza. Molti, per simile ragione, avrebbero potuto considerarlo un sempliciotto, ingenuo e sprovveduto, indegno di tutte quelle ambizioni da lui stesso così negate, appartenente, per propria stessa natura, ad una categoria di gregari, certamente utili nel rapporto con i veri dominatori, con i grandi signori i cui soli nomi, forse, sarebbero potuti restare incisi a lettere d’oro nella severa trama della storia: in tale affrettato giudizio, però, tutti coloro che similmente si sarebbero espressi, avrebbero in tal modo mancato di cogliere quella altresì evidente, lampante, verità da lui incarnata, un principio basilare e pur troppo spesso dimenticato, se non addirittura rifiutato, secondo il quale la felicità sarebbe dovuta esser ricercata nella propria costante quotidianità e non in epici risultati acclamati dalle folle. Raggiunto il ruolo che desiderava al fianco della propria signora, nonché allietato nella propria vita dall’amore della propria amata, al fanciullo null’altro sarebbe potuto interessare, senza malizia, senza colpa, anche dimentico del dolore della morte del proprio maestro, comprendendo come il rimpianto per i defunti non avrebbe mai dovuto imporsi con forza tale da negare la vita a coloro che ancora non lo erano.
Poche ore, così, erano trascorse dal risveglio di Seem, eppure una vita intera sembrava psicologicamente separarlo da tutto ciò che era stato il suo mondo fino a quel mattino. La sua signora, colei per servire la quale tanto si era messo in gioco, si era impegnato, rivoluzionando la propria intera esistenza, era stata prima uccisa, poi arsa, e, ancora, addirittura, trasformata in uno zombie: immagini già angoscianti, già terrificanti, alle quali, ora, avrebbe dovuto essere aggiunta, sommata, quell’ultima beffa, quell’ingiuria finale in sua opposizione, offesa alla quale la sua psiche non sembrava poter più reggere, il suo intelletto non sembrava potersi più opporre, ritrovandolo, in ciò, spinto sull’orlo della follia. Un dolore tanto forte, tanto acuto, il suo, quale non aveva più provato fin dall’epoca della sua infanzia, dal giorno in cui l’innocenza, l’ingenuità, tipica di un bambino cresciuto sognando le gesta di un eroico padre, per così come narrate dalla madre, si erano ritrovati a confronto con l’amara realtà del mestiere proprio della sua stessa genitrice, una fra le molte professioniste che affollavano le vie della città del peccato. E così come, all’epoca, egli aveva cercato nella fuga una soluzione, rinnegando tutto ciò che era stato in conseguenza di quella scoperta, ancora una volta, oggi, egli stava confidando in tal, probabilmente puerile, via, una speranza di affrontare lo sconvolgimento nuovamente imposto sulla sua esistenza, proprio nel momento in cui ogni cosa era parsa, finalmente, indirizzarsi verso il migliore dei mondi possibili.
Purtroppo per lui, però, le paure, i timori espressi da parte del locandiere sulle sue possibilità di sopravvivenza all’interno delle mura proprie di Kriarya in un simile stato d’animo, non avrebbero dovuto essere considerate quali fini a se stesse, espressioni di un’eccessiva paranoia, di un desiderio soffocante di protezione nei confronti di quel giovane difficilmente considerabile qual uomo. Dove anche, infatti, egli aveva goduto di una divina benedizione nel corso di quella mattina, riservandosi la possibilità di attraversare con foga nevrotica, le strade affollate di quella violenta capitale, con l’approssimarsi della sera e quella nuova corsa forsennata, priva di ogni controllo, lo avrebbe inevitabilmente condotto alla propria morte, forse, dopotutto, esaudendo uno stupido desiderio suicida in un momento tanto critico.
Per sua fortuna, altresì, ignorata da tutti, qual sarebbe ancora a lungo rimasta se il fato, e l’assurdo comportamento del ragazzo, non ne avessero forzato la mano, un’ombra, un’effimera figura, si stava impegnando fin da quella stessa mattina qual suo vigile custode, attenta nel voler preservare la salute tanto del giovane scudiero, quanto delle altre figure protagoniste di quelle ultime ore.
« Thyres… » sussurrò quell’immagine, seguendo con attenzione i movimenti di Seem dall’alto dei tetti della città, spostandosi con discrezione e agilità assolute, nel non desiderare attrarre a se qualsivoglia indiscreta attenzione « Finirà per rovinare tutto. »
La svolta cardine di quella lunga e faticosa giornata parve imporsi, sciaguratamente, proprio poco dopo che quelle parole di disapprovazione furono pronunciate, quasi a voler offrire immediata conferma alle medesime, oltre che ai timori espressi da parte di Be’Sihl, nel momento in cui, suo malgrado, lo scudiero finì, alfine, per inciampare nelle persone sbagliate, rappresentate, in quel particolare frangente, da un gruppo di muscolosi guerrieri come tanti in città. Mercenari, probabilmente, allegramente diretti verso una delle numerose taverne della città, essi erano sicuramente desiderosi di poter finalmente offrire al proprio corpo del buon cibo e, ancor più, dell’abbondante vino, nel quale sperperare i propri guadagni probabilmente fino a svenire in conseguenza del troppo alcool: in effetti, da lì a qualche ora, quella mezza dozzina di bruti si sarebbe proposta troppo alticcia, ebbra, per poter sostenere degnamente un’occasione di scontro, ma, in quel momento, al contrario, fin troppo sobri tutti loro sarebbero dovuti essere considerati, tali da risultare estremamente pericolosi in un contesto di lotta e, soprattutto, non meno capaci di crudeltà verso un povero malcapitato qual quello, pur involontariamente, catapultatosi contro di loro.
« Ma cosa…?! » esclamò un primo, dalla carnagione resa scura dall’azione cocente dei raggi del sole e dai lunghi capelli ricci, forse naturalmente fulvi e pur, per egual ragione, ora facenti sfoggio di una tonalità estremamente pallida, quasi sbilanciato a terra da quell’impatto.
« Lurida pulce… stai attendo a come ti muovi! » aggiunse un secondo, caratterizzato da pelle più chiara, rispetto al primo, e da corti capelli corvini, reagendo malamente all’urto a sua volta subito, se pur in misura minore rispetto al compagno.
« Mi dispiace… » balbettò, in immediata risposta, il ragazzo, rimettendosi in piedi nel solo desiderio di allontanarsi, di proseguire nella propria corsa, ben lontano dal poter essere considerato bramoso di un qualche scontro di sorta.
« Quella sporca sgualdrina che chiami madre avrebbe fatto bene a gettarti in pasto ai cani, piuttosto che permetterti di sopravvivere fino ad oggi, razza d’idiota! » argomentò, però, un terzo, con arruffati capelli castani e barba incolta, per nulla coinvolto nella collisione e pur, non per questo, maggiormente ben disposto nei riguardi del ragazzo, contro il quale, invece, inveì con ancor più enfasi rispetto agli altri due.
E se anche, chinando il capo e non offrendo repliche di sorta a simili offese, come pur aveva tentato di fare, Seem avrebbe allora potuto riservarsi possibilità di riprendere il proprio cammino, venendo presto dimenticato da parte di quel gruppo, dal momento in cui alcuno fra loro, nonostante tutto, aveva ancora allungato le mani verso le proprie armi, proprio in conseguenza di quelle ultime parole, di quell’ingiuria sicuramente evitabile nei confronti della genitrice pur rinnegata da parte del giovane nel momento stesso della propria fuga da casa, il ragazzo sollevò, al contrario, il proprio sguardo prima rivolto al suolo, per puntare i propri grandi occhi verdi nella direzione di coloro che, chiaramente, ora non avrebbe potuto che considerare quali nemici, forse, addirittura, a lui offerti qual possibilità di sfogo per la rabbia e il dolore che ne stava straziando l’animo, non diversamente da coloro con cui aveva già tentato scontro in quella stessa mattina.
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