11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 maggio 2012

1593


L
e unghie della donna gatto bramarono il contatto con la carne della donna guerriero, ma questa, ancora una volta, e per la terza volta consecutiva, rifiutò ogni addebito a proprio discapito, lasciando intervenire quasi ineluttabilmente il proprio braccio destro e, con il medesimo, andando a colpire la propria avversaria, intercettandone l’avanzata e respingendola con forza, con decisione, nuovamente gettandola fra la terra e il cielo, in questa occasione più prossima al cielo che alla terra, a quell’infinito ormai rosato, nell’approssimarsi del tramonto, che agli alberi in prossimità ai quali era voluta restare sino a quel momento. E, in tal modo proiettata verso le stelle, quando essa ricadde al suolo non incontrò, incredibilmente, alcun tronco rugoso pronto ad accoglierla con la propria solidità, con la propria fermezza; quanto, e per lei indubbiamente più apprezzabile, la tanto sospirata erba dalla quale già per due voli era stata separata, ragione in grazia alla quale meno doloroso, meno penoso fu quel terzo fallimento.
Alcuna originalità offrendo rispetto ai confronti precedenti, anche il maschio volle tentare di intervenire in immediata prosecuzione del tentativo della compagna e, nella propria nuova forma ibrida, dimostrò una maggiore prestanza rispetto a quella precedente, già ammirevole e, in ciò, temibile. In questa nuova occasione, tuttavia, Guerra non si volle concedere così passiva come già, proprio malgrado, lo era stata nel confronto con la sua ultima aggressione, ragione per la quale, pur non avendo tempo per caricare un colpo con la propria arma, la sollevò in propria difesa innanzi a sé, sorreggendola, addirittura, in prossimità dell'affilata e letale punta con la propria destra metallica. Elevata tale barriera innanzi a sé, quindi, ella poté ridurre al minimo il danno per lei previsto, allontanando dal proprio busto gli artigli di quella bestia e costringendoli a sfogare la propria furia contro le sue braccia: contro il destro, in offesa al quale nulla avrebbero potuto fossero anche stati di metallo; e contro il sinistro, a cui, altresì, imposero pessimi graffi, fortunatamente non sufficientemente profondi da rischiare di menomarla o, peggio, di ucciderla, vedendola morire dissanguata.
Offesa, quella in contrasto al sinistro di carne, ossa e tatuaggi, che la mercenaria non poté approvare, né accogliere con indifferenza, tale per cui, nel dolore purtroppo trasparentemente percepito, ella si propose protagonista di un incredibile moto di rivolta. E complici tanto l'adrenalina quanto l'idrargirio, la donna non si limitò a respingere con violenza il mostro all'indietro, ma, peggio, lo scaraventò lontano da sé per quasi quaranta piedi. E non ancor paga, sul suo petto lasciò impressa, per la profondità di quasi mezzo pollice, l'orma orizzontale della lunga lama lì proiettata con vigore disumano, ferendolo, certamente, ma ancor più incrinando quasi tutte le costole lì presenti.

« Per la misericordia di Thyres… » commentò ella, osservando le proprie vesti farsi sempre più sbrindellate, nonché sporche di sangue copiosamente versato, in conseguenza di quegli attacchi ferini « Si può sapere perché quando decido di indossare un vestito lievemente più grande di un cingilombi e una fascia per i seni, subito scatta una corsa a denudarmi?! » si lamentò, con tono in parte scherzoso e in parte serio, ove quella situazione non avrebbe dovuta essere riconosciuta quale inedita « Non ho più vent'anni. Girare ora con i seni al vento non è dignitoso, diamine! »

Il verità, il fisico della donna guerriero, così come già gli abitanti del villaggio avevano avuto modo di apprezzare, non avrebbe dovuto essere riconosciuto qual ragione di vergogna come da lei dichiarato. Un lamento, il suo, atto a dissimulare il fastidio psicologico derivante dal dolore fisico per i graffi subiti sul braccio, tagli di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma che, se solo fosse sopravvissuta, si sarebbero rimarginati senza problema alcuno. A tempo debito, quanto meno.
Sino ad allora, compito primario della mercenaria, sarebbe stato quello, tanto ovvio quanto mai semplice, di sopravvivere. Sopravvivere ai propri avversari, in primo luogo, ma anche a se stessa, a quei propri, piccoli errori e fallimenti, in assenza dei quali tutto sarebbe stato probabilmente più facile.

« Gattacci della malora… » sussurra nella propria lingua natia, in assenza della conoscenza di quel preciso sostantivo utile a definire i propri avversari per quanto ottenuto a suo discapito.

E, nel mentre in cui quella frase venne scandita, fu il turno della gattaccia di tentare un nuovo approccio verso di lei. Approccio che, in questa occasione, essa volle differenziare da ogni tentativo precedente, stanca di essere umiliata dalla propria antagonista e desiderosa, altresì, di umiliarla.
La donna gatto, per tale scopo, mutò a propria volta, concedendosi una progressione maggiore di quella già ricercata dal proprio compagno. Evoluzione, la sua, che la vide abbandonare quasi completamente le fattezze umane per trasformarsi in un grosso gatto, ancora parzialmente in grado di sorreggersi sulle zampe posteriori ma, anche, di correre con quelle anteriori. Ammantata da una pelliccia nera come la notte, essa frustò l’aria con una coda apparsa apparentemente dal nulla, e si mosse verso la propria nemica con una velocità indubbiamente maggiore rispetto a quella precedentemente resa propria.
In grazia a ciò, e alla distrazione che la mercenaria rese ingenuamente propria nel censire le proprie ferite, la donna gatto, o la gatta donna, ebbe la pericolosa occasione di raggiungerla e si aggredirla nuovamente alle spalle. Aggressione che, sfortunatamente, non rimaste contenuta qual la precedente ma, affondando ancor prima che fendendo, vide ben dieci artigli sprofondare all’altezza delle reni della sventurata.

« … hyre… » gemette ella, tesa come una corda di zither, o di yueqin, temendo per un istante che la sua fine potesse essere giunta in quel momento.

Per propria straordinaria fortuna, forse un’insperata benedizione della propria adorata dea dei mari sulla sua rispettosa fedele; nell’essersi trasformata a un livello superiore a quello del proprio compagno, la gatta donna aveva ridotto drasticamente non solo le proprie dimensioni fisiche, restando sì più grande di un gatto, ma indubbiamente più modesta della donna che era pocanzi, ma anche la lunghezza dei propri artigli. Così, quell’attentato, che pur avrebbe potuto costarle la vita se quelle armi avessero avuto maggiore potere di penetrazione, risultò fastidioso, doloroso, ma non letale. Fastidioso e doloroso, in effetti, quanto sufficiente a farla rigirare con impeto verso la propria avversaria, afferrandola all’altezza del capo con la propria mano destra e lì, senza pietà alcuna, stringendo quanto sufficiente da veder i globi oculari balzare al di fuori delle rispettive orbite un attimo prima che il cranio implodesse e il cervello, al suo interno, esplodesse, in una morte tanto rapida, quanto, invero, tremenda, quasi oscena.
Un grido, allora, accompagnò quell’uccisione, grido di dolore che non emerse dalle profondità di una gola morente, quanto da quelle del maschio, dell’uomo gatto rimasto necessariamente a distanza, e in ciò costretto proprio malgrado a contemplare la morte della propria compagna, forse, addirittura, amante. Uno spettacolo che avrebbe costretto chiunque a perdere il proprio senno, a obliare ogni barlume di coscienza, e che per il bakeneko non fu diverso, non fu meno tragico, così come quell’urlo lamentoso non avrebbe potuto evitare di sottolineare, di evidenziare.

« Come… hai… osato? » scandì, tanto sconvolto dal dolore e dalla rabbia, e forse anche dalla paura, da non riuscire a parlare in maniera fluida, scandendo ogni singola parola come una pugnalata « Tu… donna… come… hai… osato?! »
« Vi avevo avvertiti… » minimizzò ella, storcendo le labbra verso il basso per il dolore alla schiena, nel mentre in cui tornò ad assumere una postura di guardia « Io non sono cibo per gatti. Non lo sono stato con la sfinge. Non lo sono stato per tigri e leoni. Non lo sono stato con altre bestie peggiori di voi. E non intendo, certamente, esserlo per voi. » annunciò la propria posizione, per così come già promosso « E ora a te scegliere il modo in cui morire. »

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