11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 maggio 2012

1594


C
ome ella non aveva mai stolidamente negato, un duello, una battaglia, avrebbe dovuto essere condotta con la mente ancor prima che con il corpo, con il proprio intelletto ancor prima che con la propria forza, a dispetto di quanto dai più professato. Non che l’energia fisica non fosse necessaria a sopravvivere, non che agilità e velocità non fossero sovente doti indispensabili a sottrarsi al nemico, ma, al di là di quanto palese, quanto ovvio e addirittura retorico, anche il ruolo del cervello avrebbe dovuto essere riconosciuto qual valente all’interno di un conflitto, valente, quantomeno, a trasformare una sconfitta certa in una sconfitta possibile, o una sconfitta possibile in una vittoria probabile.
Conscia di ciò, ove troppo spesso sopravvissuta solo in conseguenza diretta a simile principio, Guerra non avrebbe mai potuto trattenersi dall’evitare di tentare di tradurre l’ormai sempre più vicina sconfitta, per mano di bakeneko, in una vittoria, concreta o no che essa avrebbe potuto riconoscersi nell’eventualità di una propria prematura dipartita. Perciò, ove anche ormai stremata, in conseguenza della troppa stanchezza e del troppo sangue versato, ella trovò ancora una volta occasione per ribellarsi, per contestare la definizione di morte a lei promessale per quanto era avvenuto. Ribellione che si concretizzò, in primo luogo, proprio nelle parole da lei pronunciate, alle quali ne seguirono delle altre, sempre nella lingua franca di Hyn.

« Se credi che mi dispiaccia per la tragica morte della tua compagna, o per quella che presto sorbirai, ti sbagli di grosso. » definì, errando nella scelta del verbo "sorbire" in luogo al verbo "subire", ma non per questo concedendo una qualche comicità a quel momento, sufficientemente teso da non ammettere ilarità alcuna « Non ho mai avuto problemi a uccidere altri esseri umani miei simili, e non me ne farò mai alcuno a uccidere una qualche creatura mitologica, neppure essa fosse l'unica rimasta. Non, per lo meno, se il mio incarico mi richiede l'esatto opposto. »
« Tutto per soldi!... » sussurrò esso, riuscendo a recuperare un certo controllo sulla propria voce « Non sei migliore di tutti coloro che ti hanno preceduta e che sono morti nel tentativo di ucciderci. » osservò, forse nel desiderio di porla in imbarazzo di fronte a qualche propria ipocrisia in tal senso.
« Non ho mai preteso di esserla. Se non per il fatto che loro hanno fallito e sono morti, mentre io tornerò indietro, con le vostre teste o con ciò che ne rimarrà… » puntualizzò ella, sorridendo appena « Comunque, se ti può consolare, i soldi sono attualmente l'ultimo dei miei problemi. Certamente non li disprezzo, ma la mia spada e sospinta dalla volontà di offrire un significato a una vita forse sin troppo lunga, impegnando in ciò che da sempre mi ha contraddistinta: la guerra! »

Apparentemente distratta da quelle chiacchiere, ella avrebbe potuto essere facile preda per qualcosa che esso, in tal momento di ricercato dialogo stava preparando discretamente a suo discapito, abbandonando l'idea di un confronto diretto, rivelatosi purtroppo un fallimento, e concentrando le proprie forze in una direzione ben diversa, quella dell'uso di una sorta di potere stregato, per così come già anche annunciato dalla descrizione dei bakeneko offerta dal molto onorevole Yu-Hine. Ma ella, al di là delle proprie parole, e dell'impegno speso per pronunciarle nel modo più corretto possibile, non si sarebbe concessa un nuovo momento di distrazione qual quello che già si era troppo ingenuamente concessa con la gatta donna, restando, al contrario, ancor più concentrata di prima, ove possibile.
Così, nel momento in cui un fulmine scaturì dalla bocca della creatura, apertasi di scatto, ella agì d'istinto ancor prima che in conseguenza a un qualunque ragionamento, gettandosi verso il suolo al proprio fianco e lì rotolando per eludere il destino di morte in tal modo promessole. E il fulmine, dirigendosi là dove prima avrebbe dovuto ma più non era, e non trovandola, proseguì oltre il proprio cammino, andando a colpire un albero poco distante e squarciandolo in due, longitudinalmente, dal suolo al cielo, e sotto al cielo lasciandolo fumante, per l'energia da esso posta in tal senso. Una forza devastante che, se solo avesse raggiunto la donna guerriero, sicuramente nulla avrebbe lasciato della stessa, riducendola, nel migliore dei casi, a un mucchietto di cenere fumante nell'identico modo dell'albero.
In tal azione, se ancora vi sarebbero potuti essere dubbi, si confermò la natura stregata di quella creatura, laddove le consuete creature mitologiche da lei mai affrontate in passato difficilmente rispettavano tanto puntualmente le descrizioni fornite e, soprattutto, raramente avevano il dono della parola. Ovviamente vi sarebbe potuta essere una qualche spiegazione a entrambe le questioni, riducendo tale apparente potere a una qualche capacità a lei sconosciuta o da lei non ancora compresa: ma nel considerare come prima di quei mostri si fosse scontrata contro un elementale e contro un oni, sempre più palese sembrava essere la conferma dell'esistenza di un qualche evocatore dietro a tante creature. Un qualche evocatore che, nella fattispecie, aveva deciso di giocare con la mercenaria sbagliata.

« E' tutto qui il tuo potere?! » domandò ella rialzandosi da terra, assumendo, nuovamente, una postura da guardia, e stuzzicandolo, in ciò, sperando di trovare una qualche conferma, o un'eventuale smentita, alla sua deduzione, nella capacità di quel gatto mannaro di emettere scariche elettriche illimitate o in diretta proporzione alle energie rimastegli.

A prescindere dalle proprie quasi certezze, Guerra non desiderava precludersi alcuna via, alcuna possibilità, non volendo chiudere la propria mente su quella diffusa ottusità nel merito di determinati poteri, e desiderando concedersi più aperta possibile a ogni spiegazione. Già in passato, dopotutto, aveva appreso come la maggior parte delle creature capaci di proiettare del fuoco innanzi a sé non ottenevano tal risultato in conseguenza all'utilizzo di un qualche potere, quanto di una reazione chimica interna al loro stesso organismo, tale da combinare, nella fattispecie, due sostanze inermi se prese singolarmente, ma infiammabili al semplice contatto con l'aria laddove mischiate. Ciò non avrebbe spiegato il perché dell'abilità a cambiare forma o della capacità di parlare, ma, a conti fatti, ella non era interessata a ogni spiegazione, ma solo a quelle in grado di spiegarle come sconfiggere un avversario… quell'avversario.
Se, quindi, il bakeneko avesse esaurito presto le proprie scariche, l'ipotesi di una natura stregata sarebbe potuta essere archiviata, e quel mostro si sarebbe potuto definire qual uno strano ibrido fra un uomo e un gatto. O, in alternativa, uno stregone, magari minore, impegnato a dilettarsi con mutazioni fisiche in gatto… spiegazione fantasiosa e pur utile a offrire un perché alla parlantina e alla generazione di fulmini.

« Avanti, dammene un altro e ti mostrerò io il vero potere! » incalzò, senza muoversi, senza spostarsi, senza tentare una qualche evasione o, al contrario, un qualche attacco verso di lui, nel restare altresì immobile, al proprio posto, nel punto da lei eletto qual nuova propria sede.

E se le sue parole avrebbero potuto apparire quali frutto di eccessiva eccitazioni, enfasi, al punto tale da esagerare nell'immagine offerta, i fatti comprovarono tale annuncio. Perché nel momento in cui, nuovamente, esso aprì la propria bocca, non quale semplice bocca umana, ma quali fauci bestiali, e generò dalla profondità della propria gola una scarica elettrica; ella non reagì d'istinto come la prima volta, ma ponderò la propria reazione e, restando immobile, si limitò a levare la propria mano e il proprio braccio destro innanzi a sé, ad accogliere la scarica rivoltale e a convogliarla all'interno di quella struttura di metallo, del suo arto artificiale, frutto di una scienza inimmaginabile nel suo mondo.
E se il suo arto, in metallo, avrebbe dovuto convogliare negativamente l'energia di quel fulmine verso il suo corpo, forse e persino amplificandone gli effetti, quel suo gesto non apparve qual stolido, qual privo di ponderazione, ove nulla di tutto ciò accadde. Il fulmine, infatti, pur colpendo con violenza quella mano e quel braccio, e pur disperdendo contro di esso un'enorme carica, non raggiunse il corpo di Guerra né, tantomeno, compromise l'operatività della sua protesi. Al contrario, come ella non poté che evidenziare immediatamente con trasparente soddisfazione, la incrementò.

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