11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 19 febbraio 2017

RM 049


« La guerra è qualcosa di così vasto, di così complesso, che difficilmente, chi ne parla, riesce a esprimerne l’effettiva natura… » proseguì ella, innanzi all’attenzione dei propri commensali, inclusa Maddie che, al di là della preoccupazione per quanto avrebbe potuto sfuggire involontariamente alla propria mentore, non avrebbe potuto ovviare a dimostrare un’avida sete per quel genere di informazioni, per i particolari che avrebbe potuto decidere di condividere con tutti loro « Generalmente la guerra è descritta come o bianca, o nera: qualcosa di giusto, di necessario, di sacro nella difesa di valori più elevati rispetto all’identità di coloro che in essa combattono e muoiono, in maniera tale da colmare, con le gesta degli stessi, epiche sonate che ne esaltino l’eroismo e ne alimentino il mito; o qualcosa di sbagliato, da evitare, un male incommensurabile che, da sempre, falcia vite innocenti nel sol nome dell’interesse di pochi, dell’avidità, dell’egoismo o dell’egocentrismo di coloro che la invocano come un falsamente ineluttabile bisogno. » spiegò, con tono serio e pur tranquillo, per propria scelta, per propria natura, così confidente con la guerra dal potersi permettere di parlarne come di una cara, vecchia amica e avversaria, così come, probabilmente, avrebbe compiuto se le avessero chiesto di raccontare loro della vera Carsa Anloch, colei che, forse, dopo sua sorella Nissa, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la sua più fedele alleata e, contemporaneamente, la sua più temibile nemica.
« La realtà, però, come tutti sappiamo, difficilmente tollera una simile dicotomia… raramente prevede una divisione tanto netta fra posizioni così contrapposte. » proseguì, accompagnata da un silenzio assoluto, e dallo sguardo di tutti fisso sulle proprie labbra « Così come fra il giorno e la notte esistono non solo l’alba e il tramonto, ma anche l’aurora e il crepuscolo, e molte altre sfumature; anche nella guerra non è tutto o bianco o nero. Non è tutto o giusto o sbagliato. E, soprattutto, la guerra è qualcosa di estremamente concreto, di estremamente materiale, e non, semplicemente, un’idea, un concetto, una posizione politica. La guerra è un’esperienza sensoriale devastante. E’ la vista di membra mutilate e di corpi squartati, di compagni che cercano di rianimare corpi ormai privi di vita di chi non vogliono abbandonare e di infami che si fanno, al contrario, scudo con i corpi ancora vivi di chi, per loro, nulla è se non un sacco di carne. E’ il suono delle grida di chi viene ucciso e di chi uccide, riscoprendo la parte più selvaggia, più barbara della propria natura in nome di una sola esigenza… sopravvivere. E’ l’odore di sudore e sangue, feci e urina, che nella morte si mischiano e impregnano il suolo, sotto ai propri piedi, così come le vesti che indossi. »
« … cielo… » sussurrò il signor Mont-d'Orb, abbassando lo sguardo, nel non riuscire più a sostenere l’immagine così tratteggiata, da quelle parole, innanzi ai propri occhi… e, ciò non di meno, neppure avendo la possibilità di rifuggire da essa in tal maniera, essendo stato, tutto ciò, ormai proiettato all’interno della sua mente, in qualcosa che, temeva, lo avrebbe accompagnato quella notte in qualche terribile incubo.
« La guerra è svegliarsi ogni giorno ringraziando gli dei tutti di essere ancora vivi… nella consapevolezza più vera, più concreta e assoluta di quanto fragile, precaria, sia la nostra condizione mortale, di quanto effimera, fugace, sia la nostra esistenza, abitualmente considerata qualcosa di ovvio, qualcosa di banale, qualcosa di scontato, del quale godiamo senza alcun merito, che viviamo, sovente, senza alcun reale diritto… e che, proprio nella guerra, richiede invece il proprio inestimabile tributo. » continuò, ancora con tono sereno, non desiderando imporre a quelle parole un significato diverso da quello loro già proprio « Tributo nel ricordarci come, quella che per chi è lontano da tale realtà potrebbe essere sol considerata un’altra, normale, noiosa, giornata di lavoro, una semplice bega da affrontare, persino, senza troppo entusiasmo; abbia a doversi riconoscere qual un dono prezioso, più di ogni altro, perché, per chi vive la guerra, per coloro per i quali essa è l’unica realtà che concessa, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto potrebbe rappresentare tutto ciò che resta loro da poter vivere. Un dono che, in tutto ciò, non ha mai a dover essere sprecato, in maniera altresì imperdonabilmente blasfema. »
« Detto così, però, sembra quasi che la guerra sia qualcosa di necessario per ricordarci quanto possediamo… e quanto sprechiamo, lontano da essa. » obiettò Rín, offrendo in ciò dimostrazione di aver ascoltato con attenzione l’intero discorso, e di non voler rifuggire innanzi al medesimo, al contrario offrendo riprova di voler argomentare meglio la questione.
« La vita potrebbe essere definita tale in assenza della morte…? » domandò, per tutta risposta, la Figlia di Marr’Mahew, avendo incontrato, in passato, abbastanza creature straordinariamente longeve da risultar addirittura immortali, in misura tale da essere più che consapevole della sola conclusione possibile a tal quesito « Il giorno sarebbe ancora tale senza la notte…? »
La giovane restò per un lungo momento in silenzio di fronte a quella questione apparentemente retorica, e che pur intuì a non dover essere affrontata come tale, non, quantomeno, nel non voler mancare di rispetto a colei che tanta passione aveva posto nella propria esposizione: « Comprendo… » annuì poi, aprendosi in un lieve sorriso « E’ come quando, girando per strada, le persone mi osservano con imbarazzo. » asserì, a sua volta assolutamente quieta in quella constatazione.
« Poiché vederti impossibilitata a camminare ricorda loro quanto dovrebbero essere altresì grati di ciò che hanno… e nel merito del quale, al contrario, non hanno mai speso neppure un istante per rendere grazie. » confermò Midda, in parole che, chiunque altro avrebbe potuto considerare, allora, qual potenzialmente irrispettose nei riguardi dell’interlocutrice, soffermandosi a un livello di interpretazione straordinariamente ipocrita di quel confronto, e che, al contrario, non ebbe minimamente a rischiare di essere frainteso qual tale da parte del soggetto protagonista, riconoscendo, in ciò, anzi, un sincero tributo alla sua forza, alla carisma con il quale, ella, ogni giorno affrontava la propria infermità senza sconforto, senza scoramento alcuno.

A dimostrare quanto allora avesse inteso le ragioni di colei presentatale con il nome di Carsa, nonché, forse, a volerle ricambiare il tributo rivoltole con un gesto altrettanto sincero nel merito dell’esperienza di guerra da lei vissuta, e lì appena condivisa con loro su sua esplicita richiesta, Nóirín si allontanò dal tavolo e si mosse fino a posizionarsi accanto all’ospite, per poi poterle, allora, concedere uno stretto, forte abbraccio colmo di significati più di mille altre parole, più di mille altri discorsi.
E Midda, a quel gesto, non ebbe a sottrarsi, ricambiandolo, al contrario, con sincero affetto, non potendo ovviare a correre con il proprio pensiero, con la propria mente, all’immagine della gemella perduta, e, nel rispetto del monito appena espresso, sperando… pregando affinché Maddie, in quel presente o nell’avvenire, prossimo o remoto che sarebbe mai potuto essere, non potesse mai commettere l’errore di allontanarsi da sua sorella, di rovinare quella giovane così straordinaria, così come, sciaguratamente, e pur senza volontà alcuna in ciò, ella aveva fatto con Nissa.

« Grazie… » sussurrò Rín, liberandola da quell’abbraccio e retrocedendo appena da lei, nel timore, infondato, di averla potuta porre in qualche modo in imbarazzo in tutto ciò.
« Non ringraziarmi. » scosse il capo la mercenaria, sincera in quel cortese rifiuto « Non merito la tua gratitudine, giacché, credimi, sono tante le colpe che porto con me... la responsabilità delle quali non ho mai rinnegato e mai rinnegherò, ma che, ad alcuno, mai augurerei. » commentò, volgendo, in quelle ultime parole, il proprio sguardo e la propria attenzione verso la sua allieva, nella speranza che, in tutto ciò, ella potesse cogliere, e comprendere, il più importante insegnamento che mai avrebbe potuto avere la possibilità di trasmetterle.

L’unico insegnamento che, nel giorno in cui, alla fine, la resa dei conti con Anmel fosse giunta, sarebbe stato in grado di concederle la possibilità di non perdere tutto quanto, di non rinunciare a quanto di più prezioso in quel momento possedesse, per insistere, ostinatamente e ciecamente, nel seguire gli stessi errori, gli stessi sbagli, commessi da ogni altra Midda, in ogni altro mondo da lei, fino ad allora, visitato.

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