Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
giovedì 6 aprile 2017
RM 095
Seppur non propriamente considerabile all’interno dell’annovero dei guerrieri allor impegnati a combattere seguendo l’esempio offerto da Midda Bontor, secondo le parole così scandite da Lys’sh, un’altra straordinaria figura si stava egualmente facendo faticosamente, e sanguinosamente, strada in direzione della giovane ofidiana, in tal senso sospinta dalla premura propria del timore di saperla là sotto da sola, a confrontarsi con chissà quanti possibili nemici: Carsa Anloch.
Nella fattispecie, nel mentre di quelle ultime parole, Carsa si stava mostrando allor impegnata sulle scale volte a ridiscendere ai livelli inferiori, là dove, equipaggiata, nella mancina, ancor di una delle proprie scarpe convertite in non improvvisate arma, mentre, nella destra, di una daga recuperata lungo il percorso, si era ritrovata a essere impegnata, contemporaneamente, da tre diversi aggressori. La sua seconda scarpa, pur estremamente apprezzata, era rimasta violentemente conficcata nell’ultima sua vittima, in conseguenza all’assassinio della quale, pertanto, ella si era ritrovata costretta a sostituirla, in maniera non particolarmente originale, con l’arma della medesima guardia da lei così abbattuta. E, per quanto, ovviamente, ella fosse una straordinaria combattente con qualunque arma da fuoco, al pari di qualunque arma bianca, indubbia avrebbe avuto a doversi considerare, tuttavia, una sua esplicita preferenza in favore di armi meno dozzinali rispetto a quella serie di lame prodotte in serie, probabilmente a livello industriale, e prive, altresì, di quell’anima che solo un sapiente fabbro avrebbe saputo porre all’interno di una sua creazione.
Non un mero discorso di superficiale raffinatezza, eccentricità o di superiorità da parte sua, quindi, quanto e piuttosto una valutazione personale, e pur, non per questo, meno che obiettiva, nel merito di quanto un’arma di qualità maggiore avrebbe potuto vantare una resa migliore all’interno di una battaglia, distinguendo, più facilmente, il successo dalla disgrazia, la vita dalla morte: quelle daghe industriali, create senza arte alcuna, avrebbero sicuramente potuto essere considerate efficaci nel privare un antagonista della propria esistenza, della propria vita, ma, ciò non di meno, non altrettanto efficienti rispetto a quanto, una diversa arma, più equilibrata, meglio disegnata, avrebbe potuto pur permetterle di conseguire. Al di là di un discorso di efficienza, comunque, ella era perfettamente consapevole di quant’anche l’efficacia avrebbe avuto a doversi considerare di fondamentale importanza, soprattutto nel momento in cui, in alternativa, avrebbe avuto a poter essere una sgradevole condanna a morte per se stessa e per la propria sorella d’arme, motivo per il quale, disappunto a parte, ella aveva comunque accolto a sé quella daga, e lì la stava allor impiegando nella ricerca di una rapida vittoria nel confronto dei propri tre avversari.
« Il fatto che io abbia una certa urgenza di proseguire oltre, a voi proprio non concerne minimamente?! » domandò, ovviamente retorica e, anche, ironica, la mercenaria, nel mentre in cui, con la destra, deviava un affondo diretto al suo stomaco e, con la mancina, bloccava uno sgualembro dritto altrimenti destinato a conficcarsi a metà fra la sua spalla e il suo collo.
Delle tre guardie lì schierate in ostacolo alla sua ridiscesa, solo una avrebbe avuto a doversi riconoscere qual umana, mentre le altre due figure, pur umanoidi, difficilmente avrebbero potuto essere equivocate qual tali, per quanto la loro natura, umana o meno, ben poco valore obiettivamente avrebbe avuto a dover possedere, nel momento in cui, altresì, l’unica, reale informazione fondamentale avrebbe avuto a doversi riconoscere quella nel merito della loro brama di sterminarla. Così, nel mentre in cui la spada nella sua destra si poneva estemporaneamente bloccata da quella mossa volta a escludere a un’altra lama, gestita da una delle due chimere, la deliziosa intersezione con le sue carni e, parimenti, la scarpa nella sua mancina di poneva impegnata a preservare la sua integrità fisica a fronte del tentativo di condanna suggeritole dalla guardia umana; l’altra chimera ebbe a illudersi di poter approfittare della situazione per imporle un montante con la propria lama e, in ciò, di squarciarle, longitudinalmente, l’intero ventre, a partire dal pube, o poco sopra, fino alla gola, o poco sotto.
In ciò, solo l’ineccepibile abilità guerriera della donna le permise di sopravvivere a quella che, altresì, avrebbe potuto essere una condanna quasi certa, vedendola, in tal stallo, decidere di balzare, letteralmente, al di sopra dei tre antagonisti, sfruttando anche una leggera posizione di superiorità conseguenza di un paio di gradini di vantaggio rispetto agli altri, per potersi, non soltanto, disimpegnare dai due avversari con i quali si era venuto a formare lo stallo, ma, anche, eludere l’aggressione del terzo, pur, veramente, per un fugace istante, in grazia di una sincronia tale da rendere sostanzialmente irripetibile quel gesto, anche laddove le fosse stata concessa maggiore tranquillità. Sospinta, infatti e allor, più dall’adrenalina del momento che da una qualche, effettiva, decisione razionale, Carsa slanciò i propri muscoli, le proprie membra e il proprio corpo tutto in un’incredibile carpiato, che la vide roteare al di sopra dei propri ipotetici carnefici per riatterrare, in maniera meravigliosamente controllata, complici anche i nudi piedi, al di là di quella barriera umana, oltre quell’impellente pericolo, arrivando, persino, a ritrovarsi alla loro spalle, in quello che, pertanto, da svantaggio era così stato tramutato in un vero e proprio vantaggio.
Fugace, effimero, labile, e pur sempre un vantaggio: vantaggio che, quindi, ella ebbe a non sprecare, nel rigirarsi immediatamente e, altrettanto immediatamente, nel restituire il favore a colui che aveva così tentato un montante a suo discapito, imponendogli il medesimo colpo, il medesimo movimento ascendente della lama della daga lì guidata dritta lungo la perpendicolare mediana del suo corpo, a percorrerne l’intera schiena dai glutei sino al collo, lì aprendo un terrificante squarcio che ben poche speranze di sopravvivenza avrebbe potuto promettere.
« Diamine! » esclamò, non senza una certa soddisfazione innanzi al risultato di quella mossa incredibilmente azzardata e che pur, in un istante, era stata in grado di capovolgere completamente la situazione, almeno in riferimento alla propria nuova, disgraziata vittima, il cui corpo morente ebbe così a piombare senza controllo alcuno sui gradini davanti a sé « Sono brava. Che ne dite? Sono brava, no…?! » domandò ai due ancora in vita, quasi a voler cercare rassicurazione da parte loro nel merito della propria incontrovertibile bravura, della propria palese abilità.
E se, per tutta replica, i due cercarono, nuovamente, di sopraffarla, rigirandosi verso di lei e, rapidi, cercando di abbatterla prima che, un’ulteriore errore, potesse negare loro non soltanto tale possibilità ma, ancor più, la propria stessa esistenza in vita; ella ebbe a dimostrarsi più rapida di entrambi, imponendo al proprio corpo una subitanea rotazione e, in tal gesto, guidando la daga in suo possesso, quella lama tanto dozzinale e pur, comunque, adeguatamente efficace, ad aprire loro, con un sol gesto, un profondo taglio sulle cosce, non guidato dal mero caso, dalla pura sorte, quanto da una decisamente accurata conoscenza anatomica dell’organismo umano, e in quel caso speranzosamente anche di quello della chimera umanoide innanzi a lei schierata, nel merito della posizione dell’arteria femorale, la recisione della quale non avrebbe loro concesso la benché minima opportunità di salvezza. Così, quasi senza neppure rendersi conto di essere già morti, i due ebbero a ritrovarsi condannati a un rapido dissanguamento, nel mentre in cui, con pochi, semplici, passi indietro, Carsa ebbe a poter iniziare a porre distanza fra sé e loro, non tanto per timore di quanto ancora avrebbero potuto compiere in quegli istanti loro rimasti, quanto e piuttosto per concedere loro rispettoso spazio innanzi all’arrivo della propria morte.
« Sì… » annuì, a rispondere alla propria stessa domanda, con una certa soddisfazione non tanto nella dipartita dei propri antagonisti, quanto e piuttosto nelle modalità con le quali l’ostacolo lì da loro rappresentato fosse appena stato risolto « … sono davvero brava. » confermò, concedendosi un leggero sospiro, un’effimera pausa psicologica da tutto quello « Forse anche un po’ troppo per voialtri. Perdonatemi, per questo! »
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