11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 30 aprile 2017

RM 119


« E ora, bando a ulteriori indugi, permettetemi di presentarvi i nostri ospiti… » proclamò il conduttore di quell’assurdo spettacolo, quella sorta di tributo alla guerra e alla morte attraverso il quale egli desiderava non soltanto ottenere vendetta, ma, anche, riscrivere la Storia, per così come aveva fin da subito proclamato, nel mentre in cui l’inquadratura continuò ad ampliarsi, andando a includere sempre più elementi del paesaggio attorno a lui, una vera e propria foresta, e non una foresta qualsiasi, ma una foresta all’interno di un’enorme cupola, probabilmente un’oasi volta a terraformare un qualche pianeta o un satellite privo di atmosfera che egli, in tal maniera, aveva tramutato nella propria arena personale « In ordine sparso… Har-Lys’sha, mezzosangue ofidiana. »

In contemporanea all’annuncio di Kah, il piccolo riquadro comprendete Lys’sh si estese a includere l’intero schermo e, un attimo dopo, una porta ebbe ad aprirsi alle spalle della giovane così, ora, protagonista della scena, la quale, dopo un attimo di esitazione, nell’alternare lo sguardo fra il proprio schermo, e di conseguenza la telecamera che la stava inquadrando, e la soglia dischiusa alle proprie spalle, decise di dirigersi in direzione della stessa, muovendosi con la propria consueta e innata grazia. E a dimostrare quanto ella si fosse preparata seriamente per la prova che lì l’avrebbe attesa, che avrebbe atteso tutti loro, Desmair, osservando attentamente il proprio schermo, ebbe a cogliere l’assenza di calzature ai suoi piedi, laddove, soltanto in tal modo, soltanto nel non fasciarsi le estremità inferiori all’interno di pesanti scarponi, ella avrebbe potuto assicurarsi non soltanto una maggiore velocità di movimento ma, ancor più, la possibilità di muoversi nel silenzio più assoluto, secondo quella caratteristica sovrumana per lei derivante dal proprio sangue ofidiano.
L’inquadratura, fissa nella posizione originale all’interno della cella, ebbe a seguire la sensuale sagoma della donna, tale anche laddove vestita in abiti militari, fino al momento in cui ella raggiunse l’uscita della cella dischiusasi sul fronte opposto della stanza: solo in quel momento, con un rapido cambio di scena, chiunque fosse alla regia di quell’evento, ebbe a mostrare nuovamente il volto di Lys’sh in primo piano e, da lì, ad ampliare l’inquadratura sempre più, fino a dimostrarla a un’estremità dell’oasi, immersa nel verde della foresta lì abilmente coltivata. E non appena ella ebbe a superare la porta, questa ebbe a richiudersi alle sue spalle, sigillandola all’interno di quel nuovo, incredibilmente vasto, ambiente, che qualcuno avrebbe potuto egualmente considerare una prigione, e che pur, in quel frangente, avrebbe chiaramente presto assunto la connotazione di un campo di battaglia.

« … Howe Ahlk-Ma, umano. » proclamò la voce di Kah.

Un’identica sequenza, un’eguale scelta registica, vide il ruolo di protagonista della scena passare da Lys’sh a Howe e, in ciò, l’intera sequenza riproporsi, con una porta dischiusa alle spalle dell’uomo, la camminata verso tale soglia e l’arrivo all’interno della foresta, in un punto, chiaramente, diverso da quello nel quale aveva avuto possibilità di entrare la propria compagna.

« … Be'Wahr Udonn, umano. » continuò, accompagnando l’ingresso in scena del biondo « … Heska Narzoi, umana. » proseguì, man mano che i propri antagonisti, i propri prigionieri, accettavano di entrare all’interno dell’arena, nel proprio ruolo di moderni gladiatori « … Ma’Vret Ilom’An, che qualcuno potrebbe anche conoscere con l’antico nome di Ebano, umano. »

A ogni nuovo nome una nuova inquadratura, una nuova porta, un nuovo ingresso in scena, presentato innanzi agli occhi di Desmair, il quale, da un lato con timore, dall’altro con impazienza, non avrebbe potuto ovviare ad attendere di sentir pronunciato il proprio nome: timore per l’umiliazione a cui, suo padre, in tal modo non avrebbe ovviato a sottoporlo, e a sottoporlo davanti agli sguardi di chissà quanti spettatori sparsi nell’universo, là dove, molto probabilmente, quell’evento non stava venendo mantenuto privato o, comunque, ristretto a un’attentamente valutata cerchia di eletti; impazienza per la volontà, in un modo o nell’altro, di riuscire ad arrivare a chiudere tutto quello, che ciò fosse occorso con la propria vittoria o con la propria disfatta, con la propria morte, sinceramente avrebbe avuto a doversi giudicare quasi indifferente, giacché, dopo tutto quello che era accaduto, dopo la mutilazione che aveva dovuto subire, prima, e la ricomparsa in scena dell’odiata figura genitoriale, francamente avrebbe potuto accettare anche l’idea di morire in quella battaglia, in quello scontro, se solo ciò, quantomeno, avesse rappresentato anche la fine, e questa volta in maniera definitiva, di Kah.
In tale stato d’animo, Desmair seguì, dopo Ma’Vret, l’ingresso di tutti i propri compagni, i nomi dei quali, puntualmente, vennero scanditi dalla voce del padre, accompagnati, puntualmente, dal dettaglio della propria specie di appartenenza: « … Salge Tresand, umano. », « … Duva Nebiria, umana. », « … Carsa Anloch, nata come Ah’Reshia Ul-Geheran, umana. » e, ancora, « … Ja’Nihr Noam’Il, umana, la mia traditrice!  » non mancò di puntualizzare.

E quando, alfine, solo il nome suo e quello di Guerra mancavano all’appello, Desmair non perse tempo e, mentre ancora sullo schermo stava venendo seguito l’ingresso in scena di Ja’Nihr, egli iniziò ad avanzare nella direzione opposta a quella sulla quale le immagini stavano venendo mostrate, nell’intuire, ormai con assoluta certezza, dove avrebbe avuto ad aprirsi la sua vita di accesso all’oasi, non desiderando concedere, al padre, più soddisfazione di quanta già non gliene avrebbe sicuramente garantita nelle inquadrature successive, le stesse attraverso le quali la sua condizione sarebbe stata esposta al pubblico ludibrio.

« … Desmair, mezzosangue flegetauno, il mio erede reietto. » annunciò la voce di Kah, nel mentre in cui, come previsto, la porta ebbe ad aprirsi e al colosso dalla pelle simile a cuoio rosso venne concessa occasione di avanzare a sua volta nell’arena.

Così egli, indossando, della divisa fornitagli, soltanto i pantaloni, stretti in vita dalla nera cintola, ebbe a entrare a testa alta, decidendo, malgrado tutto, di non volersi dimostrare piegato, di non volersi dimostrare spezzato, e, anzi, di voler dar riprovare di quanto, il suo spirito indomito, fosse nonostante tutto ancor presente a infuocare le sue membra. E, obiettivamente, malgrado le corna che, un tempo, gli avevano adornato il capo, completando con la propria possanza, un’immagine straordinaria e quasi iconografica, non fossero lì più presenti; l’incredibile mole del flegetauno, la straordinaria massa dei suoi muscoli, difficilmente avrebbero permesso a un qualunque antagonista, o, più banalmente, a un qualunque spettatore, di considerarlo meno pericolo, una minaccia meno terribile rispetto al passato, apparendo, forse, meno inquietante, ma non per questo meno imponente.

« Forse oggi morirò, padre! » ruggì, sulla soglia della propria cella, sperando che le sue parole potessero essere udite da chiunque fosse allora testimone del quegli eventi « Ma, te lo giuro, tu morirai con me! »
« Non essere sciocco, figlio mio… » rispose l’altro, sorridendo, e dimostrando di aver ben udito quella minaccia, per quanto, chiaramente, altrove, in lontananza rispetto a lui « … un dio non può morire. » sottolineò, a ribadire la propria nuova condizione.

Poi, dopo un attimo di silenzio, volto a permettere a quel momento topico di non essere in alcun modo inquinato dall’irruenza dimostrata da Desmair, il padrone di casa ebbe a riprendere e concludere la propria presentazione, con l’unica protagonista ancora non schierata all’interno di quell’arena…

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