11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 23 febbraio 2018

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« … Thyres… »

Fu questione di un fugace attimo. Laddove, un istante prima, ella avrebbe avuto a doversi ancora considerare presente, un attimo dopo un letale raggio laser ebbe a muoversi perpendicolarmente al suolo, e a muoversi con velocità tale da apparire non dissimile da un muro di luce, fugacemente apparso e, parimenti, fugacemente scomparso: un muro di luce che, se solo avesse avuto opportunità di raggiungerla, l’avrebbe allora tagliata in due, in maniera netta, condannandola a morte senza che neppure ella potesse rendersene pienamente conto. Ma, allorché trovarla là dove, un semplice battito di ciglia prima, ella ancora avrebbe avuto a doversi riconoscere, quel muro di luce la vide ben tre gradini più in basso, osservando, non senza un certo timore, quella promessa di morte, e di una morte tanto assurda da risultare, a buon titolo, persino grottesca.
A salvarla, allora, non ebbe a considerarsi semplice fortuna, o una qualche coincidenza del caso, quanto e piuttosto la sua incredibile agilità, la sua mirabile velocità, la sua straordinaria attenzione al dettaglio e, accanto a tutto ciò, l’ausilio di quella sempre più apprezzabile, e apprezzata, maschera trasparente, la tecnologia della quale, allor impegnata a tradurre in luce le tenebre, ebbe a offrire un quasi accecante allerta su quanto, accanto a sé e sotto ai suoi piedi stava per avvenire, mostrando, per una frazione di secondo, il laser in caricamento qual una luminosa, e allor minacciosa, aura attorno a sé. E se, pur, soltanto una frazione di secondo avrebbe potuto esser riconosciuta lì volta a separare l’idea dall’azione, tale frazione ebbe a dimostrarsi, per lei, più che sufficiente al fine di ovviare al peggio, e all’esito necessariamente grottesco di tutto ciò.
Ma dove, in tal successo, ella avrebbe potuto riservarsi indubbia ragione di entusiasmo, simile celebrazione ebbe a dover essere necessariamente posticipata, e posticipata nel confronto con nuovi, inquietanti bagliori di morte che, tanto ai propri fianchi, quanto alle proprie spalle, quanto e ancor peggio innanzi a sé, iniziarono a comparire lungo i muri, il soffitto e i gradini sotto di sé, promettendo, allora, soltanto un esito tragico a tanto impegno, a tanto sforzo nel confronto con tale impresa. Ma laddove, chiunque altro, al suo posto, non avrebbe esitato a farsi cogliere dal panico nel porsi a confronto con tutto ciò; Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, non ebbe a battere ciglio, scattando in avanti e traducendo quella che, sino a quel momento, era stata una lenta e prudente avanzata in una corsa folle, una discesa quasi simile a una planata, e a una planata lungo quei gradini, e lungo quei gradini improvvisamente rivelatisi qual parti integranti di una trappola mortale. Una folle corsa, un volo verso l’oscurità sotto di lei, e l’ignoto in essa celato, che, saltando almeno tre, talvolta quattro o persino cinque, gradini alla volta, la vide essere sempre in grado di sfuggire a quelle pareti luminose che, oltre a ferirle gli occhi, nel confronto con l’enfasi propria della maschera, avrebbero potuto sgradevolmente ridurla a pezzi se soltanto fossero riuscite a raggiungerla, eventualità a confronto con la quale, ella, francamente, non avrebbe voluto aver a ritrovarsi.

« … va bene accelerare un po’ la discesa... ma così mi pare anche troppo… »

Un commento ironico, e quasi autoironico, il suo, che probabilmente altri, al suo posto, avrebbero giudicato fuori luogo, nella letale situazione nella quale ella si stava venendo a trovare, e nel rischio, di lì a un istante, di ritrovarsi tagliata letteralmente in due, o in più parti, da uno di quegli attacchi, di quelle azioni automatiche programmate qual benvenuto a chiunque, lì, avesse osato avventurarsi in maniera inopportuna, a custodia, a tutela, così come da lei atteso, e quasi e persino invocato, del tesoro lì sepolto.
Un commento ironico, e quasi autoironico, il suo, che pur ella non si sarebbe mai negata, non, a ogni nuovo passo, nello scoprirsi ancora in vita malgrado tutto, non, a ogni nuovo salto, nel ritrovarsi ancora capace di proseguire oltre, al di là di tanta terribile promessa di morte qual, allora, non avrebbe potuto essere che riconosciuta quella intrinseca in quei laser, in quell’attacco continuo e ossessivo a fronte del quale un solo, fugace momento di esitazione avrebbe, necessariamente, comportato la sua morte.
Per colei che, tuttavia, molte altre prove prima di quella, molte altre sfide, molte altre battaglie non si era negata di affrontare in passato, contro uomini, mostri e dei, alcun timore avrebbe potuto essere lì preso in reale considerazione, alcuna esitazione avrebbe potuto essere riconosciuta a contraddistinguerla, neppure nel momento in cui ebbe a rendersi conto che, il senso di comparsa di quei laser, di quelle pareti di luce volte a tentare di sancire la sua prematura fine, non avrebbe più avuto a doversi considerare qual quello iniziale, da destra a sinistra, ma seguendo percorsi sempre diversi, traiettorie sempre disomogenee l’una rispetto alle precedenti. Talvolta il laser giungeva dall’alto, altre risaliva dal basso, a volte ancora da destra, altre, invece, da sinistra: quanto, a prescindere da ciò, sarebbe comunque sempre rimasto immutato sarebbe stato l’effetto finale, quel netto taglio di qualunque cosa esso avrebbe incontrato. E se pur, forse, il suo braccio destro, in grazia all’idrargirio in esso contenuto, avrebbe potuto vantare occasione di resistere a quell’offensiva e, persino, di neutralizzarla, assorbendone l’energia, obiettivamente folle sarebbe stato ipotizzare di restare immobile ad attendere quell’evento, nella speranza che ciò si confermasse sufficiente a vanificarlo.
Purtroppo per lei, tuttavia, più il suo incedere cresceva in velocità, altrettanto cresceva la velocità con cui quelle pareti si attivavano, soprattutto innanzi a lei, nella speranza, in ciò, di riuscire ad arrestarla, di avere successo a frenare quell’invasione, il suo ingresso in quel territorio proibito. E se pur, in principio, persino scontato avrebbe avuto a doversi considerare il suo successo, nella presenza di un minimo, e pur certo, margine temporale fra il suo passaggio e l’attivazione del muro, negli ultimi gradini, nell’ultima tratta di quell’estenuante discesa, ciò non ebbe a risultare altrettanto scontato.
Attraverso la propria maschera, e la sua capacità di visione a dispetto dell’oscurità circostante, la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, si pose in grado di distinguere la sempre più prematura attivazione delle pareti innanzi a sé, sino, in particolare, alla più lontana, all’ultima che avrebbe avuto a dover superare e che, tuttavia, nella distanza di ancora tredici gradini fra lei e tale traguardo, alla velocità alla quale ella stava in quel mentre avanzando, al massimo di quanto non si sarebbe potuta permettere, avrebbe necessariamente finito con il condannarla a morte prima che avesse l’occasione di proiettarsi oltre, risalendo dal basso e, dal basso, dividendola disgustosamente a metà.

« … »

Neppure di imprecare, così, ebbe a riservarsi l’opportunità, nella necessità, allora, di tentare la sorte, di porre in sfida le proprie capacità, in un ultimo, mirabile salto, un balzo che, in tal contesto, avrebbe avuto a doversi considerare più simile a un vero e proprio volo, verso l’oscurità innanzi a sé e verso qualunque altra minaccia lì avrebbe potuto attenderla, per avere una pur effimera, fugace speranza di sopravvivere a quell’ultimo muro.
E se, nella sua mente, per un istante il tempo stesso parve rallentare, sino ad arrestarsi, nel mentre di quel volo, di quel vero e proprio tuffo in avanti, un salto che la vide roteare lungo il proprio stesso asse per cercare di spingere, quanto più possibile, il proprio corpo lungo il soffitto, ad allontanarsi dal moto di quel laser sino a lei; sostanzialmente impossibile sarebbe stato per un qualunque osservatore esterno, per un qualunque testimone di quel momento, riuscire a cogliere l’effettiva dinamica di quanto, allora, in moto, in una tale subitaneità di eventi da risultare addirittura inintelligibili all’occhio e alla mente umana. Così, quanto per lei apparve quasi prossimo all’eternità, in un lunghissimo volo al di sopra di quel raggio laser, disteso in orizzontale, e in rapida risalita verso di lei e verso il suo corpo, pronto a decapitarla, o a dividerla in due parti all’altezza del busto o dei fianchi, o, ancora, a mutilarle le gambe o i piedi; per il resto del Creato sarebbe semplicemente stato inteso qual un repentino cambio di collocazione spaziale da parte sua, un istante prima ancora in corsa tredici gradini più in alto, e, un attimo dopo, rotolando a terra oltre quella parete, miracolosamente non riportando alcun danno.

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