Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
mercoledì 20 novembre 2019
3100
Avventura
060 - La resa dei conti
E se quel mutaforma era stato sconfitto, ed era stato sconfitto in grazia all’operato di Midda Bontor e dei suoi compagni di ventura, i membri dell’equipaggio dell’ormai distrutta Kasta Hamina, la mente dietro a tutto ciò avrebbe avuto a doversi ancor riconoscere operativa in quel di Loicare, all’interno dell’omni-governo del pianeta. E fino a quando quella mente, quell’oscura presenza non fosse stata identificata e sconfitta, la minaccia così da essa rappresentata non avrebbe avuto a potersi fraintendere qual eliminata. Anzi.
Ragione per la quale, per quanto la propria morale non avesse a potersi considerare appagata da quell’improbabile alleanza, egli avrebbe accettato tutto quello che da essa sarebbe derivato, per un bene superiore.
« Hai ragione… Rawn. » sospirò egli, scuotendo appena il capo « Ricordatevi, comunque, di parlare il meno possibile questa sera: per quanto siate stati indubbiamente ammirevoli nell’apprendere la lingua franca, il vostro accento è ancora qualcosa di terribilmente indefinito e, certamente, non quello proprio di due esponenti dell’alta borghesia di Loicare. »
« E’ un peccato che tu non ti sia potuto far accompagnare da qualcun altro. » osservò a tal riguardo la donna guerriero, stringendosi appena fra le spalle a dimostrazione dell’obbligatorietà della scelta compiuta « Ma, fra tutti i membri della nostra allegra compagnia, soltanto Be’Sihl e io abbiamo avuto a che fare direttamente con Anmel e siamo da queste parti da tempo utile a poter sperare di mistificare la nostra effettiva origine… » puntualizzò, a dimostrazione di quanto la scelta, a tal riguardo, avesse a doversi considerare praticamente obbligata « … ergo, cercheremo ugualmente di far quadrare le cose, tutti noi offrendo il nostro miglior viso al non ottimale giuoco a cui stiamo venendo costretti. »
« Da quanto tempo sono via da Loicare il dottor Dragde e sua moglie…?! » domandò Be’Sihl, intervenendo nella questione con intento quanto mai propositivo « Avendo scelto proprio loro fra tutti coloro che avresti potuto selezionare, immagino che siano lontani da casa da un certo numero di anni… quanto sufficiente a rendere questa nostra messinscena sufficientemente credibile. »
« In effetti sono via da oltre dieci anni… e, questa sera, non dovremmo incrociare alcuno fra coloro i quali li hanno conosciuti di persona. » confermò Pitra, ben seguendo la logica proposta dall’interlocutore e condividendola nel proprio valore « Ho capito cosa vuoi suggerire e concordo… » annuì pertanto, ad anticipare quanto egli avrebbe potuto ulteriormente argomentare « … il vostro accento “esotico” potrebbe essere giustificato dalla lunga permanenza nei sistemi periferici. »
« Beh… accento o non accento, ormai credo sia tardi per ripensarci. » sorrise Midda, suggerendo la conclusione di quella parentesi e di quella parentesi sopraggiunta in tempistiche decisamente tardive rispetto al corrente sviluppo degli eventi « Sbaglio o stiamo atterrando…?! » domandò, offrendo riferimento alla sensazione provata nella parte inferiore del petto, in conseguenza alla rapida discesa a terra del veicolo antigravitazionale sul quale si stavano muovendo, una sensazione ormai tutt’altro che inedita dal proprio personalissimo punto di vista e, ciò non di meno, ancor ben distante dal potersi considerare potenzialmente piacevole, sotto un qualunque punto di vista.
Nessun errore, ovviamente, avrebbe avuto a esserle addebitato in tal senso, laddove, effettivamente, in rapida discesa avrebbe avuto a doversi intendere il loro mezzo di trasporto, giunto, alfine, sino alla loro prefissata meta: il Teatro dell’Opera della capitale.
Edificio dalle forme classiche, evidente retaggio di un’epoca antecedente a quella delle enormi torri di vetro e metallo che predominavano su buona parte del resto della città, e del pianeta intero, il Teatro dell’Opera avrebbe avuto a poter essere descritto qual uno dei rari retaggi della storia propria di quel mondo, e di quel mondo progredito sì rapidamente, a un certo punto della propria storia, da aver letteralmente spazzato via ogni traccia del proprio retaggio passato, rinunciando alla propria Storia in favore del futuro, e di quel futuro che, tuttavia, forse non avrebbe avuto a meritare tanta attenzione quanta quella così riservatagli.
In ciò, anche nella capitale, ben pochi avrebbero avuto a potersi riconoscere gli edifici di interesse storico al pari di quello, e di quello che pur, proprio malgrado, non si era veduto offrire riconoscere sufficiente rispetto da essere lasciato intatto là dove era stato fondato qualche secolo addietro. Al contrario, e giustificando tale operato con un supposto intento di preservazione e conservazione di quella costruzione di indubbio valore storico, artistico e, soprattutto, musicale, l’intero Teatro era stato fatto letteralmente a pezzi, per essere traslato e ricostruito in una diversa sede e, nel dettaglio, sulla cima di uno dei grattacieli più alti e grandi di tutta Loicare, secondo solo a quello sede dell’omni-governo. Così, quella rara e preziosa testimonianza del passato di quella civiltà, pur preservata nelle proprie forme, si era vista egualmente stuprata nella propria stessa essenza, e, a onor del vero, anche nella propria stessa struttura, e in quella struttura che, approfittando dell’occasione, era stata completamente rivista con la scusa di migliorarne la macchina scenica: una scelta quantomeno discutibile che, almeno a confronto con il personale giudizio proprio di Pitra Zafral, avrebbe dovuto veder portato a giudizio e condannato non soltanto l’architetto responsabile, ma chiunque, prima di lui e al di sopra di lui, avesse preso una simile decisione: purtroppo, ormai, anche quell’intervento avrebbe avuto a dover essere inteso qual appartenente alla Storia… e nulla egli avrebbe potuto compiere in tal senso, anche volendo.
Dal punto di vista architetturale, agli occhi della donna guerriero, quanto lì offertole allo sguardo una volta atterrati, avrebbe avuto così a doversi intendere qual un edificio che, in qualunque altro contesto, e soprattutto nel contesto proprio di una qualunque città del proprio mondo natale, sarebbe probabilmente apparso grandioso, ma che, minimizzato nella propria imponenza dai colossi a lui circostanti, e, soprattutto, dal grattacielo al di sotto di esso, e sopra al quale esso era stato riedificato, non avrebbe potuto che ritrovarsi a essere quasi banalizzato nelle proprie dimensioni. Ma al di là di qualunque necessario giudizio di merito a riguardo delle dimensioni di tale luogo, di tale edificio, la solenne e ricercata compostezza delle sue forme, non avrebbe potuto ovviare a richiamare alla mente della propria osservatrice l’idea di un tempio, e di uno di quegli antichi e dimenticati delubri entro i confini dei quali, in più di un’occasione, nel corso della propria esistenza, ella si era voluta porre alla prova: l’alto colonnato esterno, realizzato su due diversi livelli, così come la presenza di una mirabile coppia di frontoni triangolari al di sopra di entrambe le file di colonne, o, ancora, la grande cupola ovale, posta in grande evidenza da un ottimo impianto di illuminazione in ipotetica corrispondenza dell’amplia sala centrale, non avrebbe potuto ovviare a rievocare simile paragone, a giustificare un tale confronto ideologico… e un confronto idealizzato non sì improprio, nel considerare quanto, per l’appunto, tale luogo avrebbe avuto a doversi intendere, a tutti gli effetti, un tempio, e un tempio votato alle arti musicali, riguardassero queste l’opera lirica, come in quella particolare serata, l’opera sinfonica, o la danza.
E se maestosa, già, non avrebbe potuto apparire la facciata esterna del Teatro, con tutti i propri numerosi dettagli, con le colonne riccamente elaborate, con gli eleganti capitelli di ispirazione vegetale, con i propri fregi al di sopra delle mirabili architravi, nelle tonalità proprie di marmi bianchi, grigi, gialli e rossi, e in preziosi inserti dorati che, pur arricchendo l’opera, non avrebbero potuto ovviare a involgarirla, almeno a confronto con il giudizio proprio dell’ex-mercenaria più famosa di tutta Kofreya, se non di tutto il continente di Qahr; semplicemente superba non avrebbe potuto che risultare la struttura interna, e quella struttura interna che, superato l’amplio ridotto d’ingresso, e un ridotto che, a dispetto della parola avrebbe avuto ad apparire quasi smisurato, e districatisi fra gli innumerevoli corridoi e scalinate volti a convogliare il pubblico nelle varie aree della sala centrale, avrebbe condotto fino al cuore pulsante di quel tempio, e al suo tesoro più importante. Edificata su una pianta a ferro di cavallo, la sala avrebbe avuto allora a presentare un’amplia platea, otto ordini di palchi e quattro gallerie superiori, per uno spazio complessivo di circa quattromila posti. Quattromila posti ben distribuiti in grazia a eleganti poltroncine rosse in un’ambiente che della propria opulenza non si sarebbe riservato alcuna possibilità di vergogna, impegnandosi, altresì e piuttosto, a cercare costantemente di superare se stesso, soprattutto nell’amplia varietà rappresentata dai palchi e da quei palchi quasi sempre facenti riferimento ai medesimi occupanti, e a quegli occupanti selezionati fra le famiglie più ricche e importanti di Loicare il prestigio delle quali, ineluttabilmente, non avrebbe voluto mancare d’essere riflesso nell’arredo di quegli stessi spazi, in una folle gara di ricchezza, e di ostentazione della ricchezza stessa. Quattromila posti che, ancora, per quella particolare serata, per l’apertura della nuova stagione lirica, avrebbero avuto a doversi considerare pressoché inaccessibili a chiunque non avesse per l’appunto diritto a quei palchi, per retaggio familiare o per il ruolo ricoperto, eventualmente, all’interno dell’omni-governo o che, altresì, non si fosse impegnato a prenotarli almeno un paio di anni prima, con un notevole investimento di tipo economico.
Ma laddove, in tutto ciò, semplicemente straordinaria avrebbe avuto a dover essere intesa la possibilità di prendere parte a tale evento, in verità per ben pochi fra i presenti quell’occasione, e quell’occasione loro offerta dalla propria ricchezza, avrebbe avuto un qualche effettivo valore dal punto di vista dell’esperienza lirica in sé, quanto e piuttosto per l’evento mondano: un evento mondano che, riconoscendosi fra i più importanti della capitale, nel particolare connubio lì offerto dal prestigio proprio del luogo, dalla cerimonia inaugurale della nuova stagione e, ancora, dagli ospiti stessi lì straordinariamente presenti, non avrebbe potuto ovviare a essere uno fra i più desiderati per tutti gli abitanti di Loicare e non solo. In effetti, e proprio malgrado, anche la giovane e bella Rula Taliqua, che pur non a Loicare avrebbe avuto a dover essere grata per i propri natali, avesse potuto avrebbe fatto carte false per poter essere lei lì presente, quella sera, in luogo all’amica Midda, per rendere praticamente perfetta la quale pur tanto impegno aveva dedicato: impegno, da parte sua, quindi più che giustificato non soltanto dalla necessità di rendere irriconoscibile la propria compagna di ventura, quanto e ancor maggiormente per renderla il più possibile idonea a una simile serata, e a una simile serata che, nell’intimo del proprio cuore, non avrebbe certamente mancato di invidiarle.
« Accusatore Zafral! » salutò con simulato entusiasmo l’ennesimo perfetto sconosciuto che Midda e Be’Sihl, a seguito dello stesso Pitra, ebbero a incrociare lungo la gradinata a salire fino al terzo livello di palchi, là dove avrebbe avuto a doversi intendere anche lo spazio riservato all’importante magistrato « E’ sempre un onore incontrarla! » sorrise, falso più del braccio destro della donna guerriero, benché quantomeno impegnandosi, pur senza particolare successo, ad apparire sincero.
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