11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 21 novembre 2010

1045


I
n nome dell'immenso e meraviglioso amore vissuto per il proprio sposo, un tributo sincero per un uomo pur fino a qualche anno prima non conosciuto e neppur immaginato, un sentimento tanto vasto, addirittura, da permetterle di rinunciare persino a qualsiasi ambizione per un possibile futuro da sultana, e, indubbiamente riconoscibile anche in conseguenza di tali scelte, un'emozione tutt'altro che ovvia, che retorica, nella propria presenza, nella propria ispirazione, all'interno di un matrimonio nelle culture, nell'educazione propria di entrambi, là dove abitualmente simile celebrazione, tale contratto si proponeva più utile a sancire un'alleanza fra due famiglie, fra due forze prima estranee e poi, in tal modo, imprescindibilmente solidali, Nass'Hya stava ascoltando ormai da oltre un'ora la narrazione proposta dal proprio compagno e sposo, cercando di dimostrarsi il più accomodante, il più disponibile possibile nel confronto con quanto, del resto, da lei stessa richiesto da parte dell'uomo.
Nel corso di quell'ultima ora, all'interno della stanza riservata al primogenito della coppia, la collocazione di colei un tempo principessa y'shalfica, e ora lady kofreyota, era necessariamente mutata, a volerle riconoscere occasione di maggiore comodità, ritrovandola, per simile ragione, ormai non più in piedi, ma seduta in un angolo della medesima, in prossimità a una stretta finestra bifora, attraverso i vetri della quale la candida luce del maggiore astro notturno lì penetrava, spingeva i propri raggi. In tal nuova postura, ancora e inevitabilmente appariva stretto al suo giovane e materno seno, il suo dolce figlioletto, ancora sorretto fra le sue braccia, dal momento in cui, sebbene dimostrandosi costantemente prossimo al sonno, lo stesso pargolo non aveva offerto riprova di essere disposto ad accettare né la separazione dal dolce tepore del corpo della madre, né, tanto meno, una prematura conclusione del racconto del padre, alla cui voce sembrava bearsi e nel confronto dei silenzi del quale, così come di ogni tentativo di abbandono da parte della donna, egli subito iniziava a protestare, imponendo a gran voce i propri capricci, la propria esigenza di attenzione da parte dei due genitori. Così, nella docile ubbidienza ai desideri della propria sposa e signora, nonché e ancor più nel desiderio di accontentare quella volontà tanto esplicitamente comunicata da parte dell'infante, che mai egli avrebbe potuto sentir soffrire restando indifferente, non più spiegato mercenario e mecenate, guerriero e assassino, criminale lord di una città di criminali, quanto, banalmente, semplice e affettuoso padre, innamorato in maniera irrimediabile tanto della propria splendida moglie, quanto del frutto della loro unione, di quella loro incredibile complicità emotiva, spirituale, intellettuale e fisica, Brote non si era concesso la benché minima occasione di pausa, di incertezza in quella propria narrazione, parlando con tono costante, carezzevole nella propria stessa voce così offerta nei riguardi di coloro che rappresentavano tutto ciò per cui sarebbe valsa la pena di vivere, o, ancor più, per cui avrebbe avuto persino un significato morire e ritornare dalla morte, nel disporsi in loro supporto, in loro quotidiano sostegno, non qual dannato e condannato a cui, in ciò, sarebbe stata negata ogni speranza di eterno riposo, quanto, piuttosto, benedetto e gaudio della propria benedizione, in grazia della quale, solamente, tutto avrebbe potuto avere ancora un senso, un significato, una ragione.
Dopo tanta continua narrazione, priva di interruzioni da parte di Nass'Hya a riprova del proprio pur concreto sforzo, sincera disponibilità verso il proprio sposo, ove anche il semplice riferimento, esplicito o implicito, alla figura di Midda Bontor sembrava esser divenuto simile a un affondo di stiletto diretto al proprio stesso cuore, la donna parve, improvvisamente, negare la predisposizione all'ascolto sino a quel momento dimostrata, dimostrandosi insofferente a quell'ennesima, lunga e sincera sequenza di inni rivolti al nome di colei un tempo amica, e purtroppo ora percepita unicamente quale propria antagonista, nemesi addirittura, in conseguenza delle colpe gravanti su di lei, del male a discapito suo, e della sua famiglia, di cui ella si era resa protagonista volontaria. Di ciò, necessariamente, il signore della torre non poté evitare di avere immediata trasparenza, percependone le emozioni ancor prima che esse potessero essere esplicitate in verbo o gesti e, per tal ragione, arrestandosi nelle proprie parole, nella propria cronaca prima che essa potesse ottenere possibilità di reale sviluppo, prima che il pur già noto fato della chimera o, parallelamente, l'evidentemente connessa maturazione del rapporto fra Midda e Ma'Vret potessero essere rimembrate dalle sue parole, in quel proprio gradito ruolo di bardo per la sposa e il figlioletto.
Ma prima che a Brote potesse essere offerta la possibilità di ritornare fra le ombre da cui era emerso, nel rispettare i voleri della propria signora e, in ciò, nel non insistere ulteriormente su quell'argomento, ragione per lei di una ferita troppo profonda e troppo recente per poter accettare da parte sua una qualche arringa in favore della Figlia di Marr'Mahew, fu la voce stessa di Nass'Hya a comandarne l'arresto, richiedendone, ancora, la presenza accanto a sé.

« No… » esclamò ella, levando lo sguardo alla ricerca del volto dell'amato « Non mi lasciare, te ne prego. » lo supplicò, quasi, benché non vi sarebbe stata necessità alcuna di tanta umiliazione da parte sua, dal momento in cui mai egli aveva, né avrebbe, gradito sentire la voce di chi eletta a propria sovrana invocarlo con parole tanto imploranti.
« Mia dolce sposa. » rispose egli, tornando prontamente a lei, nel lasciarsi genuflettere, ora, innanzi alle sue gambe, alle sue ginocchia, e lì subito abbracciandosi con affetto sincero, con dolcezza infinita, nonché con concreta necessità di tale contatto, simile, sotto alcuni aspetti, a un naufrago sconvolto dal moto continuò, incessante del mare, al quale, improvvisamente e inaspettatamente, viene offerta una possibilità di solida presa su uno scoglio « Sono qui… non temere. Mai dovrai pregare per ottenere la mia attenzione, il mio tempo, la mia disponibilità. Io esisto solo per grazia tua e, in ciò, la mia esistenza brama di poter rendere grazia al tuo nome in ogni proprio singolo ed effimero istante. »

Nass'Hya sorrise, in un misto fra dolcezza e amarezza, malinconia e nostalgia, privando il proprio pargolo prediletto del contatto con la mano destra, e ciò nonostante mantenendolo saldamente nella mancina, nel non poter neppure immaginare l'idea di potergli essere di danno, solo allo scopo di potersi riservare la possibilità di allungare quella stessa estremità, ora tremante, verso il proprio sposo, ad accarezzarne delicatamente il viso, a seguirne il profilo con la punta delle dita, godendo e soffrendo, in cuor suo, per quel contatto così meraviglioso, per quell'amore così puro del quale una parte di lei non si sarebbe mai riuscita a considerare meritevole, nel non poter evitare di colpevolizzarsi per quanto accaduto, per l'orrenda tragedia imposta sulla loro famiglia.
Al di là di ogni dolore, di ogni pena, avere il proprio adorato Brote lì, in quel momento, accanto a sé, così incredibilmente appoggiato sulle proprie stesse ginocchia con quel volto che tanto aveva imparato ad amare, riuscì a concederle, come sempre e, purtroppo, solamente per un fuggevole istante, estraneazione dalla realtà, evasione dall'oscenità del mondo purtroppo a loro circostante, quell'intero Creato da cui sarebbe voluta rifuggire, nella speranza di poter, in tal modo, dimenticare ogni evento, ogni dolore, ogni orrore. Una fantasia mortale e pur incredibilmente affascinante, la sua, nella quale ella si lasciò cullare con tranquillità, con serenità, persino con eccitazione, salvo essere improvvisamente distratta da un gemito del pargolo stretto al proprio seno, un vagito soffocato, forse preludio a un nuovo pianto, con il quale il piccolo non sembrò, tuttavia, volerla ora rimproverare per una qualche mancanza di attenzione, quanto, piuttosto, per l'egoismo che le stava imponendo simili pensieri, che le stava concedendo occasione e ragione per una tanto assurda negazione di tutte le proprie responsabilità in quanto genitrice.

« E' così difficile accettare l'idea di proseguire in questo modo, amor mio… » sussurrò la giovane, ritraendo lentamente la mano destra dal volto dell'amato solo per poter tornare a chiudersi attorno al loro erede, a chi, pur sì fragile e necessitante di ogni premura, di ogni cura in quel momento, in futuro avrebbe rappresentato, per entrambi, la sola occasione per ambire all'immortalità, facendosi carico delle loro memorie, del loro sangue e del loro retaggio e trasmettendolo, a propria volta, ai figli che avrebbe avuto « Ma devo riuscire a farlo, devo continuare a guardare al futuro a testa alta, agendo in ciò non tanto per il mio bene, non per una qualche bramosia di gloria personale, quanto, piuttosto, per il nostro piccolo, per il frutto del nostro amore che non merita di restare solo al mondo: dove la crudeltà di Midda Bontor l'ha già privato del padre, che la mia follia non lo privi anche della madre! »

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