11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 26 ottobre 2012

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« A nulla… » ammise la donna guerriero, con estrema onestà intellettuale « Anche Berah è morta. E l’intero equipaggio è stato posto in pericolo di vita, in contrasto a un’avversaria ben peggiore rispetto a quanto non avrebbe già potuto essere una semplice regina dei pirati. » commentò impietosa verso se stessa e verso le proprie responsabilità nella faccenda, scuotendo mestamente il capo.
« Mi fa piacere l’idea che tu convenga con me l’evidenza di tutto ciò. » asserì la cacciatrice, annuendo e approvando la risposta offertale « In ciò, spero bene, accetterai quindi l’idea di quanto io sia costretta ora a compiere, la morte che io sono obbligata a pretendere, da te, qual compenso per le tue mancanze, per le tue colpe e, di conseguenza, per la mia prematura e ingiusta fine. » affermò, serenamente « Dopotutto, tu non mi hai mai vendicata. E credo che sia legittimo, da parte mia, pretendere soddisfazione in tal senso. »

Un’argomentazione ineccepibile, quella della donna figlia dei regni desertici centrali, che non avrebbe potuto trovare la Campionessa di Kriarya in aperta opposizione alle sue ragioni, alle sue motivazioni. Al contrario, se solo in giuoco non vi fosse stata la propria stessa sopravvivenza, il proprio avvenire, probabilmente  ella sarebbe stata la prima a pretendere la propria stessa condanna, la propria stessa morte, qual giusto, doveroso compenso per le proprie mancanze, così come dall’altra appena asserito, qual punizione per il proprio agire dissoluto, invece di risoluto, come sarebbe stato giusto attendersi da lei, per vendicare la memoria di chi era morto innocente, placandone lo spirito. Forse, se all’epoca ella non si fosse concessa distrazioni di sorta, non si fosse permessa di allontanarsi dal mare all’ingiustificabile proposito di rifugiarsi ad amoreggiare fra le montagne, al tempo presente, nel giorno odierno, l’ombra di Ja’Nihr non avrebbe avuto ragione alcuna di presentarsi al suo cospetto, pur animata dal sangue di quel Pozzo maledetto, per pretendere in prima persona la vendetta di cui mai le era stato concesso di godere.
Inerme, per tale ragione, la mercenaria restò nel momento in cui lo spettro le si portò innanzi e, allungando entrambe le mani verso di lei, l’afferrò saldamente per il collo, facendo forza in quel punto, serrando dita forti come una morsa attorno a una tanto fragile zona, negandole ogni possibilità di respiro, ogni occasione di ulteriore parola o di semplice alito. Quelle mani, forti, incredibilmente forti, forse allenatesi in contrasto ai feroci e giganteschi predatori felini di quelle lontane terre settentrionali, ora si stavano rivolgendo contro un tipo ben diverso di preda. Una preda che, se solo non si fosse ribellata e non fosse riuscita a liberarsi quanto prima, avrebbe presto perso coscienza di sé e, subito dopo, si sarebbe irreversibilmente addormentata, di quel sonno eterno nel quale, prima di lei, la stessa Ja’Nihr era stata costretta a precipitare.
Facile, estremamente facile, sarebbe stato per lei, per la donna guerriero, riuscire a liberarsi del triste carico di dolore e di morte che avvertiva gravare sul suo cuore e sul suo animo, accettando quella condanna, quella giusta condanna, qual una punizione legittima e necessaria, per lei anche occasione di fuga, di alienazione da ogni propria responsabilità, da ogni propria colpa, e da tutta la frustrazione, da tutto il soffocante peso a ciò conseguente, persino più stringente, se possibile, di quelle mani di sangue, invocanti il suo sangue, pretendenti la sua vita e il suo futuro, in quanto indegna di viverli per la triste, cupa e soffocante ombra su loro proiettata dal ricordo di tutti coloro che, Ja’Nihr inclusa, erano morti per lei, al suo posto.  Facile, certamente. Estremamente facile, addirittura. Ma ella, raramente nella propria vita aveva preferito la via più semplice, raramente si era incamminata lungo il percorso più facile, nella consapevolezza di quanto, nulla le sarebbe mai stato concesso senza sforzo, senza impegno, senza fatica e, soprattutto, senza sacrificio. Una maturità da lei conquistata quand’ancora bambina, e pur, nelle proprie effettive implicazioni, solo diversi anni più tardi, quando per la prima volta le era stato richiesto un prezzo estremamente alto per tutte le scorciatoie delle quali si poteva mai essere servita, di tutte le scelte compiute non ricercando la via più corretta, quanto quella più semplice, a posteriori purtroppo tutte rivelatesi più gravose rispetto a ogni possibile alternativa.
Così, anche innanzi alla possibilità di essere finalmente liberata da ogni peso gravante sul proprio cuore e sul proprio animo, anche innanzi alla possibilità di fuga lì suggeritale da Ja’Nihr, a cui pur era incredibilmente legata e della morte della quale mai si sarebbe potuta perdonare, Midda Bontor rifiutò di arrendersi, rifiutò di accettare la fine dei giuochi, pur consapevole di quanta sofferenza, di quanto dolore e di quanti sacrifici, ancora, avrebbe dovuto sicuramente affrontare nel futuro immediato e non solo. E in tale rifiuto, per quanto ormai quasi svenuta, quasi priva di contatto con il mondo a sé circostante, ella convogliò tutte le proprie ultime energie nel braccio mancino, e lo sollevò ancora una volta, guidandolo e, con esso, guidando la propria lama bastarda, a un terrificante montante diretto al ventre, e all’addome tutto, della propria amica di un tempo. O, quantomeno, di colei che avrebbe desiderato poter considerare qual propria amica, se solo il tempo avesse loro concesso maggiori possibilità in tal senso.
E come già pocanzi, come già avvenuto per Nass’Hya, anche Ja’Nihr deflagrò improvvisamente nel contatto con quella lama o, forse e ancor più, in conseguenza alla scelta da lei abbracciata. Non una scelta di sconfitta, di resa e di abbandono all’oblio, quanto una scelta di impegno e di lotta, una lotta non tanto in contrasto alle proprie colpe, quanto, e piuttosto, in contrasto a tutto ciò che avrebbe potuto impedirle di completare il proprio percorso di espiazione. Un percorso che, qual ultima tappa, non avrebbe potuto escludere un confronto finale con la principale responsabile di quasi tutte le morti che ella sentiva pesare nel proprio intimo: sua sorella, gemella, Nissa Bontor.

« Mi… dispiace… » rantolò, rotolandosi a terra non appena libera dalla presa dell’antagonista, cercando di recuperare il controllo sulle proprie corde vocali e sul proprio respiro, sebbene, in un primo momento, persino incapace a muoversi o a pensare, tanto spinta in prossimità a un punto di tragico non ritorno.
« Mi dispiace… » ripeté, quando rimpossessatasi di un minimo di controllo sul proprio fiato e sulla propria voce, quanto sufficiente, per lo meno, per poter sussurrare quelle parole, cercando di ritrovare una posizione eretta, sguazzando spiacevolmente e sempre in misura maggiore in quel sangue frutto di violenza e di assassinio « Mi dispiace, Ja’Nihr. Ma, per quanto tu potessi avere ragione, non ti potevo permettere di porre ora, fine, al mio cammino, alla mia vita. » spiegò, a favore dello spirito ormai lì non più palesemente presente, e al quale, tuttavia, ella non desiderava negare un chiarimento, se non sull’intera faccenda, quantomeno sul perché della propria scelta, della propria ribellione.
« E’ vero… ho sbagliato. E ho sbagliato, in quanto mi sono lasciata sospingere da un sentimento di sconfitta e di rassegnazione, nell’accettare l’interdizione perpetua dai mari, secondo le dittatoriali e crudeli direttive impostemi dalla mia gemella, e nell’acconsentire a negarmi qualunque nuovo contatto con i tuoi compagni o, peggio, con tuo fratello. » specificò, non desiderando concedere alcuna nota di ambiguità a quel proprio monologo « Per questa ragione non posso, ora, accettare con eguale rassegnazione, con eguale senso di sconfitta, la tua volontà vendicativa, per quanto giusta e giustificata. »

In tali parole, ella volle approfittare della situazione non solo per esplicitare in termini meno ambigui determinati concetti, ma anche e ancor più, per cercare di offrire un senso al tutto, una spiegazione all’orrore nel quale stava lì precipitando apparentemente priva di qualunque possibilità di controllo, di qualunque speranza di freno, utile a salvarla, utile a evitarle il peggio alla fine della caduta.
Freno che, tuttavia, ella desiderava crearsi, era pronta a lottare per ottenere, a discapito di qualunque volontà in senso contrario, di qualunque pur legittima pretesa di morte a suo carico.

« Ti prego di perdonarmi, amica mia… » concluse, sempre alla volta della cacciatrice, purtroppo prematuramente perduta « Ti prego di perdonarmi, e di non tormentarmi ancora, con il peso di una responsabilità che non intendo più riconoscere qual mia. Non, quantomeno, nei termini propri del completamento del tuo operato. » precisò, scuotendo appena il capo « Avrai la tua vendetta, Ja’Nihr. Tu e tutti gli altri avrete la vostra vendetta. Ma non sarà il mio sangue ad appagare la vostra brama. Non sarà il mio sangue a placare la vostra collera. »

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