11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 26 ottobre 2013

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« Le ragioni per le quali sono venuto qui, oggi, probabilmente trascendono la tua capacità di comprensione, femmina umana… » dichiarò, in un misto di rabbia, rassegnazione, delusione e, forse e persino, di amarezza, nel confronto con l’occasione per lui in tutto ciò apparentemente mancata « … perché se, su un fronte, ero pur consapevole di quanto osceno sarebbe stato ipotizzare una qualunque alleanza con voi, esponenti inferiori di una razza inferiore; dall’altro non avrei potuto negarmi interessamento nei vostri riguardi, soprattutto alla luce di quanto occorso l’altra volta, delle capacità da voi dimostrate. Purtroppo, però, mi rendo conto di quanto soltanto la prima parte della mia più istintiva reazione avrebbe avuto a doversi considerare corretta! »
« Un’alleanza…? » domandò Duva, anticipandomi del tempo proprio di un semplice battito del mio cuore, nello scandire quell’interrogativo esattamente come io stessa l’avrei offerto se non avresse sopperito lei a una tale incombenza « ... quale fronte potrebbe mai trovarci accomunati, in misura tale da concedere spazio a un’alleanza fra noi?!... »

E se anche, per un istante, abbandonando toni faceti in favore di espressioni più serie, il dialogo fra noi parve trovare quella via che, probabilmente, da parte di Nero era stata inizialmente presa in esame come possibile; un solo, semplice attimo dopo tutto degenerò, sicuramente complice il comportamento stolidamente polemico sul quale Duva e io avevamo tanto insistito, nel ritrovare il nostro ipotetico avversario, e pur, sino a quel momento, soltanto interlocutore, votare in favore di una diversa risoluzione e, nel dettaglio, una risoluzione rivolta solo e unicamente allo scontro con noi.
Fu così che, per la prima volta, ebbi occasione di venire alle mani con Nero. E che, per la prima volta, ebbi modo di porre alla prova l’effettiva potenza del mio nuovo braccio destro, qual risorsa difensiva e offensiva, non tanto richiedendogli di interagire con comuni avversari ma, mio malgrado o mia fortuna, ritrovandomi costretta al confronto con ben altre due braccia a esso del tutto equivalenti. Due braccia che, se solo avessero avuto possibilità di libero arbitrio, nel gestire quell’intera questione, non lo escludo, sarebbero state ben liete di farmi a pezzi, letteralmente… e dopo di me di ridurre a brandelli anche la mia compagna di prigionia. Un’eventualità indubbiamente spiacevole, innanzi alla prospettiva della quale, pertanto, non ebbi alternativa alcuna alla lotta. Non che, sino ad allora, mi fossi dimostrata particolarmente desiderosa di altro genere di confronto con lui.
Ad aprire le danze, in quel ballo con la morte, pertanto, fu il mio antagonista. E benché, generalmente, io tenda a offrire sempre la prima mossa alle mie controparti, per poterne studiare le scelte tattiche, lo stile di combattimento e, in ciò, per potermi riservare la possibilità di valutare con relativa quiete la migliore reazione con la quale rispondere a tutto ciò, oltre che, ovviamente, la migliore via con la quale porre fine a tale conflitto nel minor tempo possibile, o, comunque, con il minor rischio possibile; in quella specifica occasione, non voglio negarlo, ritrovarmi a subire la prima offensiva rischiò di costarmi molto più di quanto non mi sarebbe piaciuto ammettere nella possibilità, per lui, di concludere quella pericolosa partita già alla prima mossa. Perché l’impeto con il quale egli si fiondò contro di me, e scagliò in mio contrasto la violenza di una coppia di devastanti pugni, uno diretto al centro del mio petto e l’altro al mio basso ventre, avrebbe potuto, troppo facilmente, troppo banalmente, frantumarmi membra, ossa e interiora, lì costringendomi a ricadere a terra come una bambola rotta, come un burattino a cui fossero stati tagliati i fili.
Per mia fortuna, unica ragione per la quale, oggi, sono in grado di essere qui a narrare questa vicenda allorché a farla narrare ad altri in mia vece, nel condividere, in ciò, le cause della mia morte con tutti coloro che, in questi anni di mia esistenza in vita, hanno dimostrato un qualsivoglia interesse nei miei riguardi; la mia formazione all’arte della guerra, e, nel dettaglio, della sopravvivenza, non ha mai avuto a doversi intendere qual conseguente a un profilo di ordine meramente accademico, all’impegno di un qualche istruttore, di un qualche maestro d’armi, quali pur non mi sono mancati negli anni, volto a educarmi alle movenze da porre in essere a fronte di una minaccia. No. Se nel mio mondo sono arrivata a essere conosciuta con l’appellativo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra, ciò è stato soltanto perché, nel confronto con l’orrore di una battaglia, ho imparato a offrirmi in maniera così naturale, così spontanea e, forse, addirittura psicologicamente dipendente, da non avere neppure necessità di ponderare sulla reazione da offrire innanzi a un qualche pericolo, all’aggressione di un antagonista, sia esso umano, mostro o quant’altro, in misura tale da aver maturato un istinto tanto affinato da risultare incredibilmente prossimo a un certo grado di precognizione e, in ciò, utile a permettere al mio corpo di reagire ancor prima che la mia mente abbia, effettivamente, elaborato il contesto a contorno. E così come, in passato, ero riuscita a eludere offensive delle quali, teoricamente, neppure avrei dovuto avere speranza di maturare consapevolezza; in quella nuova occasione, in quel nuovo momento di battaglia impostomi, agii e reagii con completo autocontrollo innanzi a un attacco tanto violento quanto incredibilmente repentino nei miei confronti, permettendomi di eluderlo, ed eluderlo con un movimento rotatorio del mio arto destro, a intercettare i suoi e a deviarli nelle proprie traiettorie, non soltanto con una velocità che non concesse a Duva di apprezzare quanto fosse occorso, ma, anche, che rese difficile persino a me stessa riconoscere che ciò fosse effettivamente accaduto, con tutto quello confrontandomi quasi come in un sogno, senza quel grado di profonda coscienza per giungere al quale, ciò non di meno, sarei sicuramente morta.
Contenuta, così, la prima, devastante, carica, ebbi appena l’intervallo di tempo proprio di un fremito di ciglia per ipotizzare una qualche risposta. Risposta che, nell’intrattenere ancora, con la destra, le braccia di Nero, venne affidata alla mancina e, in particolare, a un montante che si riversò, con impeto da parte mia privo di moderazione, in direzione del suo mento, nell’augurio di riuscire a nuocergli il più possibile. E dove anche la violenza di cui avrei potuto essere promotrice con il mio pugno sinistro non avrebbe in alcun modo potuta essere posta a confronto con l’energia che, in grazia al recente innesto, era stata garantita al mio arto destro, sono pronta a dichiarare, senza correre il rischio di apparire priva di modestia in ciò, che il mio antagonista ebbe comunque ragione di accusare tale mia replica. Non nel ritrovarsi il cranio frantumato dalla violenza del mio attacco, ovviamente, così come sarebbe potuto altrimenti essere, ma, comunque, nel ritrovarsi sbalzato all’indietro, probabilmente più in conseguenza alla sorpresa derivante da tal gesto che all’effettiva violenza del medesimo, non ricadendo al suolo soltanto in grazia al sostegno che, in tutto ciò, gli fu concesso, provvidenzialmente, dalla parete alle sue spalle, quella stessa parete appoggiato alla quale lì ci aveva atteso.
Riconoscendo, ciò non di meno, al mio avversario le proprie giuste doti, non posso ora che ammettere quanto indubbiamente ammirevole ebbe a dimostrarsi la sua capacità di confrontarsi, in tempi rapidi, con ogni, eventuale, disorientamento conseguente al colpo subito, dal momento in cui, al di là dell’estemporaneo successo del mio contrattacco, egli si volle riservare un’incredibilmente minima opportunità di recupero, riuscendo a recuperare quasi istantaneamente il controllo e, in ciò, tornando immediatamente a ipotizzare di aggredirmi, quasi nulla fosse, allora, occorso fra noi, quasi quello avesse a doversi considerare, qual pur non era, né avrebbe più potuto essere, l’esordio del nostro confronto.
Ma dove anche, un solo istante prima, egli aveva potuto vantare dalla propria un certo fattore sorpresa, utile a concedergli persino la possibilità di confidare in un qualche successo a mio discapito; quel secondo attacco non avrebbe potuto che essere considerato per quello che era: ovvero, appunto, un secondo tentativo, la speranza di una riscossa, e, in questo, del tutto impossibilitato a pretendere, da parte mia, qualunque genere di sbalordimento, a meno di non prendere in esame l’ipotesi di una mia totale, e, perdonate, sufficientemente improbabile, perdita di senno. In ciò, a fronte della sua seconda aggressione, ebbi lì tempo sufficiente per meglio valutare in che direzione sospingere i miei sforzi, scegliendo, senza alcuna esitazione, di strapparmi repentinamente l’asciugamano, già allentato, dal corpo, per gettarlo, aperto, in direzione di Nero, qual diversivo, nella speranza che, se pur non sarebbe stato utile a frenarlo, quantomeno avrebbe dovuto ottenere quale risultato quello di rallentarlo, nel mentre in cui a me sarebbe comunque rimasta maggiore libertà di movimento rispetto a quanto non avrebbe potuto concedermi quell’inutile impiccio dalla presenza del quale non sarebbe per me potuta sostanzialmente derivare alcuna utilità.


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