11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 9 agosto 2019

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Negando a Be’Sihl l’opportunità di formulare una replica, e con essa una proposta, il primo colpo in contrasto alla Kasta Hamina li ebbe allor a raggiungere e, non diversamente dal resto dell’equipaggio, a catapultare prima in aria e, subito dopo, a terra. E se pur, all’interno della cucina, così come dell’armeria, lame e coltelli non avrebbero avuto a doversi fraintendere qual mancanti, in quel momento, in quel frangente, né la cuoca, né l’ex-locandiere avevano ancora avuto opportunità di afferrarne uno o, anche e soltanto, di tirarlo fuori dai cassetti nei quali, ordinatamente, Thaare manteneva tutti i propri strumenti, ragione per la quale, entro i confini propri di quell’ambiente, non ebbe allor a ripetersi la tragedia che, a loro insaputa, in quello stesso, preciso momento, si sarebbe iniziata a consumare all’interno dell’armeria, per colpa di quelle lame non ancor riposte, non ancor ricollocate su supporti, o all’interno di contenitori, entro i limiti dei quali non avrebbero avuto a potersi più considerare dannosi.
Ovviamente, lame a parte, il volo, tanto per Thaare, quanto per Be’Sihl, non ebbe a doversi fraintendere esattamente qual confortevole. E, in effetti, fu solo questione di un paio di pollici se lo shar’tiagho ebbe a evitare di ritrovarsi la testa aperta come un melone maturo, in conseguenza all’incontro con lo spigolo di un mobile: un rischio, quello di morire, al quale egli avrebbe avuto a dover prestare, possibilmente, maggiore attenzione rispetto a chiunque altro, laddove, se ciò fosse accaduto, la nanotecnologia impiantata all’interno del suo corpo dall’intervento di Desmair avrebbe avuto occasione di prendere il sopravvento, e di trasformarlo, in buona sostanza, in una sorta di zombie tecnologico, e uno zombie il comportamento del quale, allora, sarebbe stato quantomeno imprevedibile, anche e soprattutto a potenziale discapito dei propri compagni di viaggio.

« Per tutti gli dei… » aveva gemuto, in ciò, l’ex-locandiere, in quello che, dall’esterno, parve essere un commento rivolto, in linea generale, a quanto accaduto e che, altresì, dal proprio personale punto di vista avrebbe avuto a dover essere più correttamente interpretato qual un’esclamazione a margine del rischio che, nella propria quasi morte, e nella propria quasi morte per qualcosa di così stupido, tutta la nave si era ritrovato allor a correre: un’esclamazione, sì, di contrarietà per tutto ciò e, al contempo, anche di implicito ringraziamento per quanto comunque avvenuto… e per la grazia che, nell’evitare quello spigolo, gli dei avevano voluto concedergli.
« … non avrei saputo dirlo meglio… » aveva replicato Thaare, precipitata a sua volta gambe all’aria e piombata, dolorosamente, sul proprio fianco destro, ricadendo con tutto il proprio peso sul proprio braccio, e in ciò imponendogli un urto non gradevole, per quanto, fortunatamente privo di danni permanenti « … che diamine può essere successo?! »

Rialzandosi lesto da terra, con il sangue che già pompava violentemente all’interno del suo corpo l’adrenalina, e quell’adrenalina della quale, nel corso dell’ultimo anno, egli aveva iniziato a essere spiacevolmente vittima, Be’Sihl si mosse rapido a prestare soccorso alla compagna di viaggio, nell’aiutarla a rialzarsi da terra e nell’assicurarsi, in ciò, che non si fosse fatta male. Giacché, se pur anche a lui, quel volo, aveva imposto dolore, tale dolore avrebbe avuto a doversi considerare rapidamente dimenticato, non soltanto in grazia a quella scarica di adrenalina, o alla preoccupazione per la morte che, in quel momento, avrebbe potuto piombare su di lui, ma anche e soprattutto per effetto, comunque, di quella nanotecnologia all’interno del suo corpo, e di quelle microscopiche macchine che, nella loro presenza, contribuivano a mantenere il suo corpo sempre nel miglior stato di salute possibile, riservandogli una sorta di fattore rigenerante del quale, presto o tardi, tutti avrebbero avuto a maturare coscienza, in un momento in cui, alla fine, il suo segreto, e quel segreto che, sino a quel momento, era stato custodito con assoluta discrezione da parte di Lys’sh, e dello stesso Desmair, avrebbe cessato di essere realmente tale… con tutte le conseguenze del caso.

« Tutto bene…?! » le aveva domandato, nel mentre in cui ella ebbe a rimettersi in piedi.
« Sì, ragazzo… tutto bene. » aveva replicato ella, dimostrandosi evidentemente scocciata, ma non per quell’interrogativo, quanto e piuttosto per quanto accaduto.

E se pur simpatico sarebbe stato riflettere sua quanto, dall’alto della propria maggiore età, Thaare avesse avuto, al solito, a definire “ragazzo” un uomo ormai più prossimo al mezzo secolo di vita che all’età della fanciullezza, quanto accaduto non avrebbe potuto concedere spazio ad alcun futile chiacchiericcio, ad alcuna banalità.
Quello e, subito dopo, l’annuncio che la voce del capitano ebbe allor a proclamare attraverso l’interfono…

« Qui Lange a tutto l’equipaggio… » era intervenuto, nell’evidente tentativo di riprendere il controllo della situazione « … procedura tredici, ripeto, procedura tredici. Tutti ai propri posti… »
« Procedura tredici…? » aveva ripetuto, quasi fra sé e sé, Be’Sihl, ripercorrendo mentalmente il breve elenco delle procedure di emergenza per comprendere cosa egli avrebbe voluto intendere con quelle parole « Non riguarda il distacco della sezione di coda della nave…?! »
« Esattamente… » aveva annuito la cuoca, storcendo le labbra verso il basso in segno di disapprovazione, e facendosi, se possibile, ancor più scura in viso, malgrado la propria carnagione già decisamente tendente al bruno non avrebbe potuto rendere giustizia a tale metaforica espressione « Qualsiasi cosa stia accadendo, non è nulla di buono, se il capitano è disposto a rinunciare a tutto il carico. »
« I bambini! » aveva quindi esclamato Be’Sihl, rendendosi conto di non avere idea di dove potessero essere Tagae e Liagu, nell’averli lasciati nella stiva insieme agli altri, e nell’aver, quindi, a considerare l’evidenza di quanto, certamente, con qualcuno avessero allor a essere, e, ciò non di meno, nell’invito proprio a raggiungere i propri posti, avrebbero avuto a dover ritornare alla loro cabina, a quella piccola cabina che la loro famigliola condivideva affettuosamente, stringendosi in quattro fra soltanto due giacigli.
« Meglio che tu vada da loro, considerando che Midda avrà già il suo daffare nel distribuire le armi a tutti… » aveva allor suggerito Thaare, annuendo nuovamente seria a quell’esclamazione, e a quell’affermazione che altro non avrebbe avuto a dover rendere il giusto onore allo shar’tiagho, in una legittima preoccupazione paterna verso i propri pargoli « … qui me la cavo da sola. »

E laddove, a fronte di tale indicazione, insistere sarebbe stato sì premuroso da parte sua, e, ciò non di meno, probabilmente sgradito dalla propria interlocutrice, lo shar’tiagho non fece altro che accennare un movimento di consenso con il capo, e sussurrare un « Grazie… » prima di avere a correre fuori dalla cucina, per riattraversare la nave nel solo intento di raggiungere i propri figli, e di assicurarsi che potessero star bene.

Un intento che, tuttavia, nel confronto con la stretta scala che l’avrebbe condotto al livello superiore, e al livello proprio degli alloggi, lo vide colto di sorpresa da un secondo colpo, da una seconda violenta scossa, che, non trovando allora spazio sufficiente a sbatterlo in aria e poi a terra, si limitò a sballottarlo, violentemente, all’interno del claustrofobico passaggio, mandando il suo avambraccio mancino a impattare, con spiacevole impeto, contro un gradino e, in tal impeto, oltre ad aprire un taglio di almeno cinque pollici a metà del suo stesso avambraccio, lasciandogli avvertire il sordo e gradevole suono di una frattura, e di una frattura probabilmente riconoscibile in corrispondenza della sua ulna, nel confronto con il dolore per la quale, allora, egli non poté ovviare a imprecare a denti stretti in avversione a chiunque, o a qualunque cosa, in quel momento, stesse provocando quegli scossoni.

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