11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 30 marzo 2020

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« Il mio sposo dice: “Io sono Mu'Sah Al-Lisaen. Questa è mia moglie Nass'Hya. E lei…” » indicando Lys’sh « “… è nostra figlia Fath’Ma.” » presentò Midda, offrendo voce ai gesti privi di significato proposti da Duva e dando, agli stessi, un senso più che adeguato nel confronto con la domanda loro rivolta « “Sono un mercante di Y’Lohaf. E sono qui per tentare di ampliare la mia rete di vendita.” »
« Y’Lohaf… eh? » esitò la guardia, aggrottando appena la fronte « Il tuo nome è y’shalfico, ma la tua carnagione è un po’ troppo scura per essere tale. » denotò, in una considerazione non scevra di un certo, prevedibile razzismo di fondo, mascherato da scrupolo nell’assolvimento del proprio dovere « E dove sono le tue mercanzie… mercante?! Qui non vedo nulla al di fuori delle tue donne, a meno che tu non intenda vendere proprio loro… »

Ovviamente Midda non si lasciò cogliere impreparata da tali osservazioni.
Ben conoscendo la mentalità tanto di Y’Shalf, ma così come di Kofreya, Gorthia e di qualunque altro stato del sud, e una mentalità necessariamente pregiudiziosa nei riguardi di persone di etnie palesemente diverse, e di etnie provenienti dal nord e, in particolare, dai regni desertici centrali, non aveva escluso la possibilità che la presentazione di “Mu’Sah” potesse suscitare qualche reazione dubbiosa.
Ma ben conoscendo anche l’origine della gran parte dello stile di vista proprio di Y’Shalf, ella non avrebbe potuto neppure negarsi l’occasione di una facile replica a quell’osservazione. Così, dopo aver atteso che Duva compisse altri gesti, riprese a parlare a suo titolo…

« Il mio sposo dice: “Mia madre era una nobile figlia del regno di Far’Ghar, conosciuta da mio padre durante un viaggio a nord. La mia carnagione potrà essere più scura della vostra, ma il mio cuore, y’shalfico e far’ghario, è sicuramente più puro rispetto a tutti i vostri, nell’ubbidienza ai precetti dei nostri dei e nella fedeltà al nostro amatissimo sultano.” » sancì quindi Midda, prestando ben attenzione a non calcare eccessivamente i propri toni, da umile sposa y’shalfica, di una frase volutamente non priva di una certa orgogliosa arroganza, e un’arroganza che ineluttabile avrebbe avuto a dove contraddistinguere la figura di “Mu’Sah”, al di là della brutalità propria del suo aspetto.

Se, in quel di Y’Shalf, odio nella propria forma più pura avrebbe avuto a dover essere intesa per tutto ciò che avrebbe potuto riguardare Kofreya e i suoi abitanti, al contrario ammirazione nella propria forma più pura avrebbe avuto a dover essere intesa per tutto ciò che avrebbe potuto riguardare Far’Ghar, regno del lontano nord, sì, e pur origine ideale di tutta la cultura y’shalfica, che, nei propri aspetti peggiori, si era proprio ispirata a quel di Far’Ghar.
Poter far vantare, quindi, a Duva una discendenza far’gharia, in quel di Y’Shalf, sarebbe equivalso ad attribuirle un attestato di merito a confronto con il quale nessuno avrebbe avuto più a rivolgersi arrogantemente a suo discapito… non allora, né mai. E, della propria corretta valutazione in tal senso, ella ebbe a poter verificare gli effetti in maniera abbastanza immediata, nel momento in cui, a scandire semplicemente il nome Far’Ghar, un moto di eccitazione non poté ovviare a risultare evidente nei loro interlocutori, i quali non scattarono ovviamente sull’attenti ma, sicuramente, furono tentati di reagire in tal maniera, per l’improvviso, ma da lei tutt’altro che imprevisto, rispetto che si ritrovarono a provare nei riguardi di una sì eccellente figura.

« Il mio sposo dice anche: “Per quanto concerne le mie merci, vi posso assicurare che il genere di affari che io sono solito trattare non prevede grandi ingombri, ma soltanto grandi valori.” » soggiunse ancora Midda, a replica anche per il secondo punto, nel mentre in cui, ancora, le guardie stavano scendendo a patti con la rivelazione precedente « “E pur comprendendo il logorio psicologico e fisico che può essere proprio del vostro pur importante incarico di sorveglianza, non posso che essere francamente irritato dalla trivialità con la quale avete offerto riferimento a mia moglie e a mia figlia.” »

E se pur, ovviamente, Duva non aveva detto nulla di tutto quello, né tantomeno aveva neppur immaginato di poter dire nulla di tutto quello attraverso i propri gesti, ella non mancò di reggere il giuoco della compagna, offrendo un’altra smorfia di disgusto a discapito del proprio interlocutori, nell’intento di condannarli per la propria mancanza di rispetto, e quella mancanza di rispetto che, fosse dipesa da “lui”, sarebbe stata espiata a suon di frustate…

« P-perdonaci, nobile Mu'Sah… » si affrettò a replicare il portavoce delle guardie, subito piegando il capo e offrendo un vero e proprio inchino in favore di quel perfetto sconosciuto, e quel perfetto sconosciuto che, pur, in grazia alle parole scelte dalla Figlia di Marr’Mahew, era riuscito lì a risultare più che convincente nel proprio ruolo di gran signore « … avessimo saputo prima dell’arrivo tuo e della tua sposa e della tua figlia, avremmo agito diversamente. » tentò di giustificarsi, obiettivamente rammaricato di quanto pronunciato, sicuramente con troppa noncuranza.

Midda, ringraziando il burqa allor decisamente utile a celare l’espressione necessariamente divertita che altrimenti avrebbe contraddistinto il suo volto, tornò a indirizzare il proprio sguardo in direzione di suo “marito”, in attesa di un’eventuale nuova presa di posizione da parte del medesimo.
E Duva, ancora una volta ben interpretando il proprio ruolo, lasciò saggiamente trascorrere qualche interminabile istante prima di riprendere “voce” in capitolo, tornando a muovere le proprie mani e a gesticolare un qualche, ultimo e definitivo messaggio per i loro interlocutori.

« Il mio sposo dice: “Non intendo portarvi rancore.” » comunicò quindi la donna guerriero, ancora nel proprio ruolo di voce per la propria complice « “State soltanto assolvendo al vostro incarico, per la gloria di Y’Shalf e del nostro sultano: che gli dei possano custodirvi.” »
« Grazie, nobile Mu'Sah… » si inchinò nuovamente la guardia, subito ritraendosi, ovviamente imitata in tal senso anche da tutti i propri compari, per offrire libero passaggio al nobile signore « … grazie! » si ripeté, chinandosi ancora una volta « E che gli dei possano benedire te e tutta la tua nobile famiglia. » augurò, a beneficio suo e della sua sposa e della sua figlia, e di quella sposa e di quella figlia che pur, pocanzi, non aveva avuto esitazione a insultare gratuitamente nel non ravvisare la benché minima ragione per avere a offrire qualcosa di più a tre sconosciuti, apparentemente stranieri sol desiderosi di apparire quali y’shalfichi per trarli in inganno.

Ma per quanto corretta, in effetti, fosse stata quindi la prima impressione dell’uomo, la messinscena orchestrata dall’abilità verbale di Midda e dal trucco arrangiato di Lys’sh, nonché dall’interpretazione adeguatamente misurata e credibile di Duva, permise loro di guadagnare l’ingresso a Y’Rafah. E di guadagnarlo, in contrasto a ogni aspettativa iniziale, ovviando un insalubre passaggio attraverso le fogne della città, con i loro osceni miasmi che, certamente, poco avrebbero avuto a giovare a tutte e tre, e, soprattutto, alla giovane donna rettile; quanto e piuttosto attraverso l’ingresso principale e quell’ingresso che, così, ebbero a varcare a testa alta, in groppa ai propri equini sodali i quali, dal canto proprio, avevano così ovviato a ritrovarsi spiacevolmente abbandonati al di fuori della città dopo che pur, per tanto lungo viaggio, avevano avuto a comportarsi a dir poco egregiamente.
Ovviamente, però, lì entrate in quel di Y’Rafah, la loro avventura non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual conclusa, quanto e piuttosto qual soltanto appena iniziata.

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