11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 marzo 2020

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Le memorie che Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, avrebbe potuto vantare nel merito di quel di Y’Rafah erano molti. E nessuna, in verità, degna di esser ricordata.
Solo di una cosa, riguardo Y’Shalf in generale, e Y’Rafah in particolare, ella avrebbe potuto provare nostalgia: il seksu di Rabah’Am. E, nell’offrire la giusta priorità all’evoluzione degli eventi, non appena superata la soglia della città, ella non poté ovviare a indirizzare il cammino delle proprie amiche verso la periferia nord-est della stessa, in direzione, per l’appunto, della taverna di Rabah’Am, animata dal più sincero, e quasi nostalgico, desiderio di riassaporare ancora una volta quella particolare delizia.
Ovviamente, del perché nel merito di tale non lineare percorso all’interno della vasta e affollata capitale, né a Duva, né a Lys’sh poté essere offerta, almeno nell’immediato, trasparenza. Ragione per la quale, in buona sostanza, le due donne si limitarono a seguire le indicazioni offerte loro dall’amica, rivolgendole la più completa e incondizionata fiducia, sospinte in tal senso dall’idea, tanto razionale, quanto allor infondata, di essere in qualche modo dirette alla ricerca di quell’ipotetica spada della misericordia oggetto della loro attuale missione. Una ricerca che, allorché condurle in qualche esotico tempio, in un oscuro sotterraneo, o sulla cima di una mistica torre, le vide giungere, alfine, all’ingresso di un edificio comune, e di quello che, al di là di ogni possibile fraintendimento culturale, altro non avrebbe avuto a doversi intendere se non qual…

« … una taverna?! » sussurrò a bassa voce Lys’sh, accanto a Midda, nel contemplare un po’ stranita quanto lì offerto innanzi ai suoi sensi, e, in particolare, al suo olfatto e al suo udito, giacché, per così come da lei lamentato, al di sotto del burqa la sua vista avrebbe avuto a dover essere purtroppo intesa qual posta ancor più alla prova rispetto al solito « E’ qui che troveremo la spada di Kila…?! » cercò lumi, ancora sussurrando e sussurrando, in effetti, non in kofreyota, quanto e piuttosto nella lingua franca che anche Midda aveva avuto occasione di apprendere nelle vastità siderali, e quella lingua che, allor, anche laddove improbabilmente udita da qualcuno, non avrebbe permesso ad alcuno di intendere quanto potessero star dicendo.
« Ovviamente no. » replicò la donna guerriero, egualmente sottovoce ed egualmente in lingua franca, obiettivamente divertita da quella domanda, e dal fraintendimento a essa conseguente « In compenso, qui troveremo la possibilità di un’ottima cena… » sottolineò, a offrire un senso alla loro presenza lì, in quel frangente.
« … capisco… » esitò per tutta risposta la giovane donna rettile, poco convinta del fatto soprattutto in riferimento a Duva, e al fatto che difficilmente ella avrebbe potuto accogliere con entusiasmo l’ipotesi di dover reggere ancora a lungo il giuoco proprio del ruolo così impostole.

Ma al di là di ogni timore proprio di Lys’sh, la scelta compiuta dalla mercenaria più celebre di tutta Kofreya, e di quell’intero angolo di continente, non ebbe a poter essere disapprovata a posteriori. E a posteriori, per la precisione, nel momento in cui, allora, le tre sorelle d’armi ebbero ad accomodarsi a tavola, e a vedersi servito, in un amplio tegame di terracotta, il seksu.
Il seksu, così come ebbero a scoprire Duva e Lys’sh, altro non avrebbe avuto a dover essere frainteso se non un piatto composto, principalmente, da granelli di semola di grano duro cotti al vapore, e accompagnati, nella propria offerta, da un’amplia varietà di carni e di verdure, abilmente miscelate, nella propria qualità e quantità, secondo le varie ricette e le varie interpretazioni personali dei cuochi. Nella versione propria di Rabah’Am, in particolare, e in accordo alla ricetta più classica della città di Y’Rafah per così come direttamente mutuata dal lontano regno di Far’Ghar, il seksu avrebbe avuto a prevedere un cosciotto d’agnello, di cui la polpa da utilizzare nella parte stufata e l’osso nel brodo, cipolle bianche, zucchine, carote, ceci e uva passa, tutto accompagnato da zenzero fresco, cannella, prezzemolo, pepe nero, sale e zafferano, in un tripudio di aromi e di sapori che non mancarono di deliziare i palati delle tre donne, offrendo ben ragione a Midda per la propria scelta, e la propria scelta volta a condurle, innanzitutto, fino a quel luogo.
Oltretutto, nel rispetto proprio delle leggi locali, quella taverna, al pari di qualunque altro luogo di pubblica aggregazione, accanto a un’area comune, il cui impiego avrebbe avuto a dover essere inteso più che altro qual destinato agli uomini, non mancava di prevedere anche una serie di salette riservate, ovviamente previo pagamento di un giusto sovrapprezzo, per le famiglie, a permettere anche alle donne, principalmente, di avere occasione di consumare il pasto senza, in questo, entrare in violazione con il divieto a mostrare il proprio volto a estranei: una norma sicuramente intollerabile dal punto di vista proprio delle tre amiche, quella propria a imporre un tale controllo patriarcale sulle donne, e, ciò non di meno, una norma allora quanto mai utile, a garantire loro quell’occasione di riservatezza che, altrimenti, non sarebbe stata loro garantita. Riservatezza utile, quindi, almeno per Midda e Lys’sh, a privarsi estemporaneamente dell’incomoda presenza dei propri burqa senza timore di essere scoperte in quanto straniere, e a Duva, seppur ancora impossibilitata a ritornare alle proprie più consuete sembianze, per avere la possibilità, quantomeno, di chiacchierare con le proprio compagne senza in questo compromettere la propria supposta identità maschile.
E così, gustandosi il seksu accompagnato da un leggero vino rosato, utile a ripulirsi la bocca dalla terra lì impastatasi dopo tante ore a cavallo, le tre sorelle d’arme poterono gustarsi quell’inatteso, e assolutamente piacevole momento conviviale, utile a conferire a quella missione il piacevole retrogusto proprio di un’allegra scampagnata, allorché un viaggio potenzialmente letale in una terra straniera e nemica, contraddistinta da leggi patriarcali, misogine e oppressive.

« D’accordo… lo ammetto! » sancì Lys’sh, aprendosi in un amplio sorriso, o, per lo meno, quanto nel suo caso avrebbe avuto a doversi intendere un sorriso, in assenza di labbra a meglio evidenziare tale espressione facciale « Ero dubbiosa nel merito dell’idea della taverna. Ma, in effetti, è stata un’ottima idea! »
« Assolutamente concorde… » confermò a sua volta Duva, con una lunga e splendida fila di denti ritornati del loro genuino e splendido candore originale, in conseguenza all’involontaria pulizia che quel cibo, e quel vino, le ebbero a offrire « Ma Be’Sihl non sa cucinare questo… sekus? »
« Seksu… » precisò Midda, non per dispiacere la propria amica quanto e piuttosto per aiutarla, e aiutarla a prendere confidenza con tutto ciò « … e no. Non, per lo meno, con questa ricetta. Diciamo che fra Shar’Tiagh e Far’Ghar i rapporti non sono mai stati particolarmente idilliaci e, in questo, sarebbe decisamente improprio chiedere a uno shar’tiagho di preparare il seksu secondo la ricetta far’gharia! »

Anche in quel frangente, sebbene la loro riservatezza avrebbe avuto a doversi considerare assolutamente garantita all’interno delle pareti proprie di quella loro stanza privata, le tre donne non si vollero negare l’occasione di continuare a parlare in lingua franca, sfruttando, in tal senso e a proprio peculiare vantaggio, la peculiare possibilità loro così offerta dal conoscere una lingua ignorata da chiunque altro in quell’intero pianeta, fatta ovvia eccezione per Be’Sihl, Tagae e Liagu, che pur, in quel contesto, non erano presenti. In questo, anche nell’improbabile eventualità che qualcuno potesse dimostrarsi interessato al loro dialogo, nulla di quanto avrebbero potuto avere a dirsi sarebbe potuto essere compreso, risultando, piuttosto, qual una successione di suoni del tutto privi di qualunque significato intelligibile.

« E la ricetta shar’tiagha dello… seksu… come è…? » domandò curiosa Duva, aggrottando la fronte all’idea di una possibile disfida culinaria fra due culture nemiche.
« Buona… ma diversa… » commentò l’altra, abbassando appena lo sguardo, quasi in imbarazzo a confronto con quell’indiretta critica a discapito del proprio amato « E poi, per quanto mi dispiaccia riconoscere qualcosa di buono a questa città dimenticata dagli dei, il seksu di Rabah’Am è obiettivamente qualcosa di straordinario, a prescindere dalla sua ricetta: non so quale sia il suo segreto, ma non potete comprendere quanto io sia felice di averlo ritrovato, dopo tanti anni, ancora in vita… e in attività! »

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