11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 1 dicembre 2017

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La prima a giungere a lei fu una canissiana, dal fisico scolpito e quasi mascolino nelle proprie proporzioni, per quanto le curve ben visibili dei suoi seni ne avrebbero tradito, comunque, l’identità sessuale. Dimostrandosi sufficientemente intelligente da rendersi conto di non poterla affrontare con la propria arma al plasma, a meno di non voler rischiare di ucciderla, la sua antagonista giunse a lei estraendo, da dietro la schiena, una coppia di pugnali dalle lunghe lame, affilate su un fronte, seghettate dall’altro, sulle impugnature dei quali avrebbero avuto a dover essere identificati, anche, dei tirapugni dorati, a rendere polivalente l’impiego di tali armi. Ipoteticamente superiore, quindi, alla donna guerriero tanto per struttura e massa, tanto per implicite abilità fisiche derivanti dalla sua specie, quant’anche per equipaggiamento, laddove, altresì, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto lì a dover essere considerata armata solo di una più corta lama, quell’estemporanea antagonista avrebbe potuto possibilmente rappresentare per lei una minaccia, nell’ipotesi in cui, altresì, ella non avesse reagito ovviando allo scontro fisico per concludere, in effetti, il loro confronto ancor prima che potesse avere inizio, scagliando, con un colpo straordinariamente preciso e rapido, la lama del proprio pugnale dritta nell’orbita oculare destra della controparte, conficcandone i quattro pollici di freddo metallo in quel cranio squisitamente morbido in tal puntuale frangente e sancendone la fine ancor prima dell’inizio di qualunque diatriba.
Una scelta, quella da lei resa propria, che benché le avesse allor permesso di ovviare a quel primo incontro, non avrebbe potuto essere costantemente ripetuta, non laddove, benché sufficientemente equipaggiata al di sotto del proprio giaccone, ella non avrebbe potuto certamente permettersi di sprecare tutte le proprie risorse in gesti così plateali o, presto, nell’evidente disparità di forze lì schierate, ella si sarebbe ritrovata priva di risorse con le quali tener loro testa. Una scelta, ciò non di meno, alla quale la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco non avrebbe voluto rinunciare non tanto nel timore del confronto diretto con quella canissiana, che si sentiva sufficientemente confidente di poter uccidere persino ricorrendo ai suoi stessi pugnali seghettati, quanto e piuttosto allo scopo di potersi riservare occasione per offrire, nel contempo di quell’offensiva fisica a discapito della donna cane, anche una seconda offensiva psicologica a discapito di tutti i suoi compagni, di tutti gli uomini in nero lì presenti, e lì diretti, alle spalle della stessa, a cercare occasione di confronto con lei. Quella morte, tanto plateale e volutamente tale, infatti, non avrebbe potuto allor essere ignorata da alcuno e, nelle menti di tutti loro, avrebbe necessariamente sollevato dubbi e timori, perplessità e paure nel confronto con chi, allora, capace di dispensare morte e di dispensarla in maniera tanto rapida, tanto precisa, all’interno di un contesto nel quale, al contrario, ella avrebbe avuto a doversi considerare, a doversi ritenere, a doversi riconoscere qual svantaggiata, qual destinata a una rapida sconfitta, fosse anche e soltanto, appunto, per la devastante disparità numerica lì esistente.
Forse del tutto indifferenti alla morte della propria compagna, o forse intimamente preoccupati di seguirne il medesimo destino e, ciò non di meno, impossibilitati allora a prendere una diversa decisione rispetto a quell’aggressione, a quell’offensiva ormai lanciata e non più annullabile, altri due uomini in nero sopraggiunsero a distanza di un battito di ciglia alla donna guerriero, uno, stolidamente, ancor reggendo la propria arma laser, l’altro, dimostrando maggiore prontezza e lucidità di pensiero, già convertitosi all’arma bianca, a quegli stessi manganelli elettrificati con i quali ella aveva già avuto occasione di confronto e in grazia ai quali, evidentemente, egli sperava di potersi riservare una facile opportunità di predominio a suo discapito. Attendendoli immobile sino all’ultimo istante, Midda Bontor volle tuttavia riservarsi occasione di proiettarsi in avanti, verso di loro, proprio quand’ormai meno essi avrebbero potuto attendersi una simile, folle decisione, vedendola progredire, impavidamente, verso di loro e verso le loro armi come se nulla folle, oltretutto, allor, disarmata. E se pur, ella, in tal frangente, avrebbe potuto riservarsi maggior prudenza nel levare il proprio braccio destro nei confronto con i manganelli elettrificati, escludendo da parte degli stessi qualunque effetto negativo a proprio potenziale discapito, laddove il nucleo all’idrargirio presente all’interno del suo arto artificiale avrebbe compiuto, nuovamente, quel meraviglioso miracolo volto ad assorbirne l’energia per ricaricarsi; ella preferì non volgere alcuna fiducia nei confronti di colui che, con il dito sul grilletto di un’arma laser, in preda al panico avrebbe potuto aprire il fuoco e finire con il ferire non tanto lei, quanto e ancor peggio i due pargoli da lei protetti, e poco distanti alle sue spalle. In ciò, quindi, con il freddo metallo cromato della propria destra, ella ebbe a raggiungere quell’arma e a sgretolarla, letteralmente, in una pressione devastante; nel mentre in cui, con la propria mancina, allor libera di muoversi nell’assenza di qualunque lama a contraddistinguerne l’estremità, ebbe a riservarsi confronto con il suo compare, confronto con quei manganelli elettrificati, forse riservandosi in tutto ciò un eccesso di rischio nel momento in cui, allorché evitarli, ella volle affrontarli, e affrontarli andando ad afferrarne, saldamente, l’impugnatura di uno, al di sopra della mano destra del loro proprietario, al solo scopo di tentare di sfruttare il fattore sorpresa derivante da un tale azzardo per volgere, a suo esplicito discapito, quella stessa arma, andando a farla appoggiare dritta sul suo volto e, in tal punto, scaricandone la carica energetica. Così, nel mentre in cui il primo ebbe a ritrovarsi semplicemente disarmato, il secondo ebbe a scoprirsi, direttamente, svenuto sotto gli effetti di quella scarica che egli stesso avrebbe voluto imporre alla propria antagonista, ricadendo inerme al suolo.
Un’altra donna, in quello stesso istante, ebbe a presentarsi alle spalle dei due, approfittando dell’occasione per sollevare la propria arma verso il centro del cranio della Figlia di Marr’Mahew, e per dimostrarsi, nella foga del momento, troppo coinvolta, per non voler realmente premere quel grilletto, aprendo il fuoco. E laddove, tanto che quell’arma fosse stata semplicemente laser, quanto peggio fosse stata al plasma, improbabile sarebbe stato per l’altra poter sopravvivere a distanza tanto ravvicinata, ritrovandosi nel migliore dei casi un antiestetico foro in mezzo alla fronte o, in alternativa, direttamente privata della propria intera testa, tradotta in un istante in un cumulo di cenere; la donna guerriero non ebbe a riservarsi esitazione alcuna sulla mossa da attuare, ricorrendo nuovamente alla straordinaria forza del proprio braccio destro per sollevare, da terra, il malcapitato al quale aveva appena distrutto la propria arma, per usarlo, in maniera del tutto improvvisata, come una vera e propria arma, una clava umana, nell’afferrarlo al centro del petto e nello scaraventarlo, con un movimento dall’alto verso il basso, sopra colei che, in tutto ciò, ne stava minacciando la sopravvivenza. E se pur, allora, il colpo ebbe a esplodere, nella confusione di corpi generata da quell’atto, l’energia rilasciata da quell’arma, allor rivelatasi al plasma, ebbe a deflagrare confusamente fra i due aggressori, incenerendo le braccia della donna che, in tal maniera, aveva sperato di poter fermare la propria antagonista, e parte della schiena dell’uomo che, allora, era stato impiegato, al contempo, da arma e da scudo, proteggendo, proprio malgrado, colei che pur avrebbe avuto a dover catturare.
Senza tuttavia concedere a quest’ultima, alla donna protagonista di tanta mirabile abilità guerriera, possibilità di riprendere fiato, non che ella ne avrebbe avuto realmente ad abbisognare, altri tre, tutti uomini, sopraggiunsero a lei, cercando, allora, di approfittare della confusione da lei stessa generata per sorprenderla, per catturarla, nel predominare, in grazia al proprio numero e alla propria forza fisica a discapito di colei che, per quanto equipaggiata con quell’arto robotico, non avrebbe avuto allora a doversi considerare un’eccezione, un’unicità nel suo genere e, in ciò, non avrebbe potuto ritenersi, necessariamente, estranea a qualunque possibilità di dominazione fisica: ove, infatti, due si precipitarono direttamente contro di lei, per travolgerla, letteralmente, con il proprio peso, in grazia a una massa corporea praticamente doppia a quella di lei; il terzo ebbe a rivolgere tutta la propria attenzione direttamente al suo braccio di freddo metallo, andando ad afferrarlo e ad afferrarlo, allora, con quelle che, ella, dovette presto rendersi conto avrebbero avuto a doversi riconoscere qual delle protesi simili alla sua, non palesemente artificiali al pari di quel braccio a lei, dopotutto, impiantato all’interno di una struttura carceraria, e per semplici ragioni di lavoro, quanto e piuttosto, in tutto e per tutto, apparentemente umane, di carne e ossa, e probabilmente anche caratterizzate da quell’insieme di percezioni tattili a cui ella avrebbe avuto a doversi considerare estranea da oltre vent’anni e, tuttavia, egualmente contraddistinte da quella straordinaria potenza a lei allor riservata… una potenza, quindi, destinata a negarle l’impiego di quell’indubbiamente importante risorsa.

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